Foggiani e garganici insieme per fare fuori il boss. A tentare di uccidere Roberto Sinesi furono i foggiani Giuseppe Albanese detto “Prnion” e Massimo Perdonò alias “Massimino”, il manfredoniano Mario Luciano Romito e il mattinatese Francesco Scirpoli detto “Il lungo”. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Albanese, accusato di tentato omicidio aggravato dalla mafiosità nei confronti di Sinesi e del nipotino di 4 anni che era in auto con il capoclan. Il fatto di cronaca risale al 6 settembre 2016 nel Rione Candelaro di Foggia. Il commando avrebbe agito per agevolare il gruppo criminale Moretti-Pellegrino-Lanza, alleato degli “ex Romito”, oggi rimodulati nel clan Lombardi-Scirpoli dopo l’uccisione dello stesso Mario Luciano Romito, bersaglio principale della strage di mafia di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017.
Roberto Sinesi, al vertice della batteria Sinesi-Francavilla, era in auto con la figlia (rimasta illesa) e, appunto, il nipotino. Nonno e bambino rimasero feriti ma riuscirono a scampare alla morte dopo delicati interventi chirurgici. Sinesi – come nel far west – rispose al fuoco e per questo venne condannato a 5 anni di reclusione per l’utilizzo illecito dell’arma.
Oggi, in seguito ad una lunga inchiesta, Dda di Bari e Arma dei Carabinieri hanno chiuso il cerchio attorno ad Albanese, già detenuto al 41 bis e sotto processo per varie vicende tra cui l’omicidio del pizzaiolo Rocco Dedda risalente al 23 gennaio 2016 in via Capitanata a Foggia.
Ad incastrare Albanese ci hanno pensato anche i pentiti: tra questi l’ex “morettiano” Carlo Verderosa, posto in una località protetta e desideroso di cambiare vita. Il collaboratore di giustizia “confermava – si legge nella lunga ordinanza del gip Ferraro – la presenza dell’Albanese in occasione dell’agguato (nel bar H24 di via San Severo a Foggia, ndr) del 29 ottobre 2016, specificando che lo stesso era il bersaglio di quella azione di cui Francesco Sinesi era il mandante; riferiva anche di diverse circostanze confidategli dall’Albanese, come ad esempio la presenza di un ragazzino con il quale si era nascosto ed era riuscito a sfuggire all’agguato; il collaboratore riferiva anche che il Sinesi ‘ce l’aveva a morte’ con Albanese in quanto sapeva che questi aveva partecipato all’agguato ai danni di Roberto Sinesi (suo padre), e che per farlo lui e i suoi complici avevano utilizzato un’auto rossa (500 L) a bordo della quale vi erano, oltre Albanese, anche Perdonò Massimo, Scirpoli Francesco, Romito Mario; riferiva inoltre che Albanese gli aveva detto che l’agguato ai danni di Sinesi lo avevano fatto con un kalashnikov e con una pistola (circostanza riscontrata dagli accertamenti tecnici eseguiti sul luogo dopo i fatti, e riferiti al numero di armi utilizzate nel corso dell’agguato dai carnefici e dalla vittima)”.
Verderosa ha inoltre riferito di aver saputo da Albanese che alla guida della 500 L rossa c’era Scirpoli, nome noto alle cronache, finito al centro dell’operazione “Omnia Nostra” contro la mafia garganica anche per i suoi rapporti con pezzi deviati dello Stato. In una recente intervista, sua sorella Libera Scirpoli, ex segretaria del Pd di Mattinata, oggi molto attiva in convegni pubblici e sui giornali, definiva il fratello “un debole”, con un carattere non molto diverso dal suo, “studente” e “lavoratore per il Ministero”. Ma secondo la Dda e i carabinieri, Scirpoli è ben altro: ovvero un boss, oggi al vertice della mafia garganica, definito “capo” dal pentito mattinatese Antonio “Baffino” Quitadamo. Al momento, “Il lungo” è detenuto ad Agrigento.
La vendetta nel bar
Albanese, Perdonò, Romito e Scirpoli avrebbero tentato di uccidere il boss rivale il 6 settembre 2016 mentre il 29 ottobre successivo i Sinesi organizzarono la vendetta ai danni di “Prnion” nel bar H24 di via San Severo. In quella circostanza, Albanese riuscì a salvarsi nascondendosi nel bagno del locale, mentre rimase ucciso il 21enne Roberto Tizzano. Una terza persona, Roberto Bruno, anche lui 21enne all’epoca dei fatti, rimase ferita. Per la “spedizione mafiosa” nel bar sono stati condannati in via definitiva a 20 anni di reclusione Francesco Sinesi (figlio di Roberto) e Cosimo Damiano Sinesi (nipote del boss); 30 anni, invece, la pena per uno dei killer, il sammarchese Patrizio Villani, oggi collaboratore di giustizia. Ancora ignoto l’altro sicario.
Su Verderosa “va rilevata – scrivono gli inquirenti nell’ordinanza – la positiva attendibilità riconosciutagli da precedenti pronunce, nonché il concreto apporto conferito a diverse indagini condotte dalla Dda”.
Stesso discorso per il pentito brindisino Andrea Romano che negli anni ha condiviso il carcere con vari esponenti della malavita foggiana. Romano ha riferito che tra gli autori dell’agguato c’era “un ‘albanese’ che viveva a Foggia e il cui soprannome è ‘Prnion’; il collaboratore, inoltre, riferiva in merito alla presenza di un bambino al momento dell’agguato, e che l’auto utilizzata dai sicari era una 500. Va precisato che il Romano – scrivono ancora gli inquirenti -, anche se appartenente ad organizzazioni criminali radicate nel territorio brindisino, si è rivelato conoscitore di diverse dinamiche interne della ‘società foggiana’, avendo trascorso diversi periodi di detenzione con esponenti della criminalità di Foggia, tra cui Mario Lanza ed Emiliano Francavilla“.
Questa ricostruzione – a parere della Dda – varrebbe anche per il collaboratore di giustizia Pietro Antonio Nuzzi di Altamura che – come Romano – ricevette varie confidenze mentre era in carcere a Foggia. “Si ritiene, dunque, che tutti e tre i collaboratori di giustizia risultano intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili – si legge ancora nell’ordinanza -. Tutti e tre i collaboratori hanno reso dichiarazioni tra loro concordanti e ciascuna caratterizzata da diversi riscontri esterni. Il Romano ha ragionevolmente confuso la parola ‘albanese’ intendendola non come il cognome dell’autore, ma come la nazionalità. In ogni caso, ogni ragionevole dubbio sulla corretta indicazione da parte del Romano viene meno allorquando lo stesso individua l’autore dell’agguato con il suo alias, ossia ‘Prnion'”.
Questione di alleanze
L’inchiesta che ha portato all’arresto di Albanese sottolinea ancora una volta l’esistenza di una rete di alleanze mafiose in provincia di Foggia. I Moretti con i Lombardi-Scirpoli (ex Romito) mentre i Sinesi-Francavilla con il clan dei montanari Li Bergolis-Miucci-Lombardone.
Fu proprio il “morettiano” Massimo Perdonò, nipote del boss 72enne Rocco Moretti “U’ Purk”, a tentare di uccidere, insieme ad altre persone, Giovanni Caterino, basista della strage di San Marco in Lamis, un agguato organizzato per vendicare la morte di Mario Luciano Romito. Vicenda per la quale Perdonò è stato condannato a 12 anni di reclusione.
“È evidente che il collegamento tra eventi delittuosi attesta la vitalità dei rapporti tra la mafia foggiana e la mafia garganica – scrivono gli inquirenti -: Massimo Perdonò, esponente della batteria Moretti-Pellegrino-Lanza, attenta alla vita di Caterino, esponente del clan Li Bergolis, dopo che quest’ultimo avrebbe partecipato, il 9 agosto 2017, all’omicidio di Mario Luciano Romito. Un ulteriore recentissimo riscontro sui rapporti tra la batteria Moretti e l’organizzazione criminale garganica si è registrato con l’intervento della squadra mobile di Foggia del 14 aprile 2020 che ha posto fine alla latitanza di Pietro La Torre, Francesco Scirpoli (esponenti del clan originariamente riconducibile a Mario Romito) e Angelo Bonsanto (contiguo ai Moretti), sorprendendo i tre latitanti in un comune rifugio”.
Pentiti
Qualcosa sta cambiando nel mondo della “Quarta Mafia”. Lo dimostra la crescita esponenziale dei pentiti i quali stanno dando una mano notevole alle indagini con rivelazioni scottanti sulle dinamiche criminali degli ultimi 30 anni. Collaboratori di giustizia in netto aumento soprattutto nell’ambiente dei Moretti foggiani e dei Lombardi-Scirpoli del Gargano. Impenetrabili i Sinesi e, soprattutto, i montanari Li Bergolis dove il vincolo familistico è da sempre più forte e radicato. (In foto, Sinesi; a destra, Scirpoli e Romito; sotto, Albanese e Perdonò; sullo sfondo, il luogo dell’agguato al boss)
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