Quel posto sull’aereo per il Brasile se lo meritava più di tutti. E tutti volevamo vederlo partire per Rio. Da nord a sud. Sarà perché é un ragazzo (calcisticamente) sfortunato. Sarà perché tra infortuni suoi e quelli degli allenatori (vedi Lippi che lo lasciò a casa nel 2010) è riuscito a perdersi tre degli appuntamenti top per un calciatore professionista. E non te ne capitano più di tre in una carriera. Sarà per la sua sobrietà, la faccia e l’anima da bravo ragazzo mezzo yankee. Sarà per il suo cognome, tanto comune quanto unico in un paese come il nostro e che è lo stesso di ‘Pablito’, che nel 1982 alzò la coppa del mondo facendone tre al Brasile di Zico. Eppure, niente da fare: Giuseppe Rossi torna a casa. Non è di calcio che stiamo parlando. Chi se ne frega. Aldilà delle qualità tecniche, il ragazzotto del New Jersey non meritava di essere escluso dai 23 del Mondiale per una questione umana. E le questioni umane contano, soprattutto se al suo posto in Brasile ci vanno due come Cassano e Balotelli, piedi magici e braccia rubate all’agricoltura. Il calcio non è fatto solo di dribbling, tunnel e mezze rovesciate (che comunque a Rossi riescono benissimo), né solo di Genny ‘a carogna, scommessopoli, doping, moviola, processi, o di miliardi di euro buttati nel cesso e a pochi chilometri dall’Africa nera. Nel calcio c’è ancora qualcosina di pulito. E’ qualcosa che non si vede e non si tocca mai, ma che si avverte. Si percepisce. Per semplicità le chiamiamo emozioni, ma dentro c’è di più. Pepito vive di questo. Lui è nato negli States da mamma e papà italiani.
Il capofamiglia Fernando ha cresciuto il figlio a pane e pallone. Faceva (è morto 4 anni fa) il ‘soccer coach’ nei college americani. Quando Pepito, a soli 12 anni, viene notato e acquistato dal Parma, il papà molla tutto e lo segue in Italia. Pepito invece inizia ad inseguire un sogno. Quello di diventare un calciatore professionista, mettersi gli scarpini chiodati, bagnare di sudore la maglietta del Manchester United, bere dalla stessa fiaschetta di David Beckham. Riesce in tutto. Gioca nel Parma (all’epoca allenato proprio dall’attuale ct azzurro Prandelli), poi va ai Red Devils in Inghilterra, poi torna in Italia, poi gioca nella Liga, e alla fine torna nel bel paese. A Firenze. Una montagna di gol e tutti a casa. Pepito diventa il numero uno. La sua carriera però si blocca troppe volte e sempre a cavallo degli eventi più importanti. Una serie incredibile di infortuni gli fanno perdere tornei e partite che lui ha sempre sognato. Nel 2010 il Lippi campione del mondo se lo dimentica a casa per chiamare il modesto Iaquinta. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’Europeo 2012. Fa la spola tra Italia e Usa per curarsi. Medici, gambe ingessate, riabilitazioni. E’ il 26 ottobre del 2011 e i ‘sottomarini gialli’ (vengono chiamati così i giocatori del Villarreal) giocano fuori casa contro il Real Madrid. Rossi si rompe il legamento crociato del ginocchio destro.
Viene operato il giorno seguente, con una prognosi di recupero di circa sei mesi. Rientro previsto: aprile 2012. In tempo per giocarsi un posto agli Europei. Quando tutto sembra pronto per rivederlo in campo, il 13 aprile si rompe di nuovo in allenamento. Stessa lesione. Altri quattro mesi fuori che poi diventano dieci. Nel frattempo si perde gli Europei. Persi anche dall’Italia in finale con la Spagna. Cambia casacca. Torna in Italia alla Fiorentina. Della Valle prende il gioiellino quando è ancora infortunato. Gli dà fiducia. Dopo più di un anno e mezzo lontano dai campi di gioco (dal 26 ottobre 2011 al 19 maggio 2013) Pepito riprova il brivido dell’erbetta verde nell’ultima giornata della serie A. Passa tutta l’estate a preparare il ritorno. Studia, si allena come un pazzo e alla prima giornata già la butta dentro. Segna a raffica. Alla Juve dei record ne fa tre. In 4 mesi segna 16 reti. Capocannoniere indiscusso.
Poi, contro il Livorno il nuovo crack. Sempre lo stesso maledetto ginocchio. Altri quattro mesi fuori. Intanto Balotelli passeggia in campo, e Cassano cresce. Solo calcisticamente. Pepito torna di nuovo in campo il 6 maggio, quando manca un mese alle convocazioni per il mondiale brasileiro. Segna anche un gol. Viene convocato tra i 31 papabili. Tra questi, solo 23 prenderanno l’aereo. Gli altri vedranno spezzarsi un sogno. L’ingrato compito di spezzarli spetta a Cesare Prandelli. Domenica sera la lista ufficiale. Pepito non c’è. Il mister ha scelto Cassano. Quello che ogni volta è l’ultima occasione ma poi gliene regalano sempre un’altra. Immeritatamente. Ha scelto Balotelli, l’eterno bambolotto permaloso, arrogante e che “ce l’hanno tutti con me”. Nuovo infortunio per Pepito, ma stavolta il ginocchio non c’entra. Si è spezzato qualcos’altro. Si è spezzato un sogno. Il terzo. L’ultimo.