Una “cattivissima” famiglia in salsa hip-hop. È praticamente una serie che sa di “talent”. Racconta la storia di una famiglia alla guida di un colosso della musica del genere hip-hop. La vicenda ruota intorno alla scelta del capo famiglia di affidare la guida della società, l’Empire, ad uno dei suoi tre figli. Lui, nel giro di poco tempo, sarà reso invalido dalla Sla. I figli sono assai diversi tra loro e la scelta si complica ancora di più quando ci si mette di mezzo pure la moglie di ritorno (in anticipo) dopo aver scontato diciassette anni di carcere. Insomma, una famigliola non esattamente da parrocchia. Tra l’altro, in una Chicago da musical, si respira tutta l’aria delle prime vecchie serie tv statunitensi. Così come, a detta del regista, negli intrecci e nei caratteri dei personaggi principali riecheggia in qualche modo niente meno che Shakespeare. La serie in Usa sta spopolando – anche intorno ai 10 milioni di telespettatori – ma anche in Italia, dove la vediamo su Fox, non sta andando malissimo, pur trattandosi di un genere decisamente lontano dalle abitudini “poliziesche” del popolo delle serie tv. Il finale della prima stagione è stato visto da oltre 17 milioni di persone! Attualmente è in lavorazione la seconda stagione. Sarà, quasi sicuramente, molto ma molto più truce della prima. Fox, “Empire”
Le storie fiacche e poco credibili di sedicenti amori infedeli. Difficile credere che le storie e i personaggi possano essere “veri”. Improbabile che un “tradito” o una “tradita” siano disponibili ad andare in tv a raccontare com’è andata (!). Oddio, si sa che in genere si è pronti a tutto per andare nel piccolo schermo. Dunque, tutto può essere. Peccato che “Alta Infedeltà” non proponga comunque storie particolarmente credibili. E peccato che il loro racconto sia decisamente di “plastica”. Anche qualora le storie fossero vere, allora è la narrazione televisiva che fa cilecca. Ora, le ricostruzioni sono chiaramente fiction. Quelli “veri” dovrebbero essere i narratori, cioè i tre che raccontano davanti alla telecamera ciascuno la propria versione: il traditore, la tradita, il terzo incomodo (declinate ora i generi anche al contrario). Ed è proprio qui che casca l’asino. Che siano quasi certamente attori è fin troppo intuibile. Che non siano nemmeno grandi talenti, purtroppo, è evidente anche questo. Ecco, il nodo è proprio questo: se anche la tv è finzione – e lo è per definizione – allora la sfida diventa proprio la verosimiglianza delle storie che si raccontano. Perché se le storie non reggono, ancor meno reggeranno gli interpreti, come accade in questo poco volenteroso e scialbo finto reality su cui ci si può solo annoiare. Real Time, “Alta infedeltà”
A ciascuno il proprio Gordon Ramsay. In Italia si può seguire ancora solo la prima stagione originale, ossia quella americana doppiata. Nel frattempo negli Usa il programma è finito alla terza stagione e un buon numero di speciali ormai due anni fa. Però, come si dice, meglio tardi che mai. “Bar Rescue” – Bar da incubo – nasce con l’emittente Spike nel 2011 e, proprio come per i tanti – troppi – programmi dedicati alla cucina, alla guida del tutto c’è un esperto della gestione dei bar, tal Jon Taffer – il Gordon Ramsay del settore – che viene incaricato di risollevare le sorti dei locali protagonisti delle puntate. Anche Taffer non viene proprio dalla tv ma dal suo stesso mestiere: a quanto pare guida un’azienda che si occupa proprio di consulenza nel settore di bar e club. Il programma è relativamente “vecchio”, nel senso che la prima tv Usa c’è stata nel 2011 ed è arrivato in Italia solo lo scorso anno. Strano che nessuno abbia ancora pensato ad una versione italiana. Considerata l’altissima concentrazione di bar e locali che c’è in Italia ci sarebbero da riempire annate intere di palinsesti. E invece, per ora, proprio niente. E forse è meglio così. Sky Uno, “Bar da incubo”