Allegria! C’è il funerale! Mai come in questa serie – ancora in onda su Fox in Italia – si esplicita molto bene il concetto di “fine”. “Six feet under” (letteralmente “sei piedi sotto”, in senso di “sepoltura”) ha saputo chiudere le stagioni quando gli ascolti erano ancora alti. La serie tv – targata come molte altre dal canale via cavo Hbo – sembra più inglese che americana. Le sue venature sarcastiche e il tema della morte in bella mostra, senza pudori e con grande ironia ricorda molto esperienze cinematografiche del tipo “Bara con vista” e “Funeral Party” (che sono inglesi, appunto). E va dato atto a Mediaset di averci creduto per prima, con Italia1 nel 2004. La trama ruota intorno alle vicende della famiglia Fisher che, alla morte del capo famiglia, si ritrova a gestire l’impresa di onoranze funebri accanto ai vari accadimenti tipici di ogni famiglia. L’unica vera differenza, rispetto ad una narrazione di tipo banalmente drammatico, sta nel fatto che è la morte la vera protagonista. In ogni puntata si parte dalla dipartita di qualcuno e si va avanti anche con situazioni surreali, come i dialoghi con i personaggi deceduti. Il tutto condito dal classico humour nero che, appunto, ricorda molto più lo stile british piuttosto che certe esuberanze televisive statunitensi. La serie è comunque finita nel 2005 (nel 2008 in Italia) dopo cinque stagioni. Gli ascolti cui si accennava all’inizio viaggiano intorno ai sei milioni. Una chiusura niente affatto scontata, ma quando un filone narrativo si esaurisce meglio non insistere. Fox, “Six feet under”
I “miracoli” festivi di mamma Rai. Alla Rai piace vincere facile soprattutto quando si tratta di feste comandate. Così la Pasqua regala un 21,9% per la prima serata dedicata a un “must” come la Via Crucis in diretta tv con Papa Francesco. Il format è semplice e collaudato, la telecronaca ben curata e la location è di quelle mozzafiato: il Colosseo non si batte. Quasi cinque milioni e mezzo di telespettatori. Un successo annunciato. Meno scontato l’ottimo risultato dello speciale “Porta a Porta” che Bruno Vespa ha condotto poco prima della diretta con alcune interviste, tra cui Domenico Quirico (giornalista de la Stampa rapito in Libia e in Siria), per parlare dei vari fronti caldi e di prospettive di pace. Oltre tre milioni e lo share al 13%. Anche in questo caso la rete ammiraglia della tv di Stato ha fatto centro calando uno degli assi migliori, il “Vespone” nazionale. Raiuno, “Il Rito della Via Crucis” e “Porta a Porta” speciale Pasqua
Non basta un “fake” se non ci credi fino in fondo. Sul fatto che la Rai abbia avuto coraggio a proporre un programma che parla di storia in prima serata su Raitre non ci sono dubbi. Il coraggio l’hanno avuto, perché portare sulle reti generaliste un programma che sarebbe stato perfetto per il canale tematico Rai Storia non era una sfida facile. E se si vanno a guardare gli ascolti, in effetti, non si può nemmeno dire che la sfida sia stata vinta. Ottocentomila telespettatori e il 3,2% di share in prima serata non sono un “successone”. Ma pensare di poter fare di più sarebbe stato davvero pretenzioso. Così Tommaso Cerno, direttore del Messaggero Veneto e firma de l’Espresso – altro giornalista che passa dalla carta stampata al piccolo schermo non senza difficoltà – ha raccolto il guanto, si sta battendo, ma per ora resta suonato. E forse nemmeno per colpa sua. Molti degli elementi proposti nel programma sono tutt’altro che sbagliati (come la storia raccontata per “fake”, ovvero fatti completamente inventati). Ma è davvero difficile stupire quando si ripropone i temi delle guerre mondiali o si riparla delle bombe atomiche. Ma il vero errore, probabilmente, è stato fatto quando tra gli ospiti presenti non si è potuto fare a meno di… Paolo Mieli! L’ex direttore del Corsera è certamente bravissimo, una sicurezza, ma sei stai giocando una partita completamente folle, allora devi attuare una strategia che sia folle abbastanza per sostenere la sfida. E quindi non ti adagi sul vecchio giocatore sempre affidabile, non fai il “catenaccio”, ma metti in campo il genio, il fantasista. Se ti sei inventato pure il “fake” allora non chiami Paolo Mieli. Altrimenti vanifichi buona parte degli sforzi. Ed è un peccato. Raitre, “D-Day”