Oggi, come ogni anno, l’associazione antimafia “Libera” ricorda la strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017 attraverso una toccante cerimonia davanti al monumento situato sul luogo dell’agguato, a pochi passi dalla vecchia stazione del paese. Grande ospite don Luigi Ciotti, da 30 anni in prima linea contro i clan mafiosi italiani.
I testimoni involontari (?) e il basista
Quel giorno tre uomini armati di kalashnikov uccisero il boss Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e i contadini Aurelio e Luigi Luciani, i primi due a bordo di un maggiolone nero, gli altri in un Fiorino bianco.
I due fratelli agricoltori sono ritenuti dagli inquirenti testimoni involontari della mattanza. Va però ricordato che, di recente, un pentito ha fornito una versione diversa dei fatti (leggi qui) spiegando che i Luciani avrebbero custodito le armi a Romito.
Nel frattempo proseguono le indagini sulla strage, un fatto di cronaca che accese finalmente i riflettori dello Stato sulla provincia di Foggia, stritolata da una mafia cruenta e spietata, ma capace anche di infiltrarsi nell’economia e condizionare la politica.
Nel 2018 è stato arrestato Giovanni Caterino, 43enne di Manfredonia detto “Giuann Popò”, condannato in secondo grado all’ergastolo. Per i giudici fu lui il basista della strage. L’uomo avrebbe studiato i movimenti di Romito e fatto largo agli assassini in quella mattinata di sangue di sei anni fa.
Caterino era un fedelissimo del clan dei montanari Li Bergolis-Miucci-Lombardone, grande rivale del gruppo di Mario Luciano Romito, desideroso di vendicare il tradimento di “Orti Frenti” del 2 dicembre 2003, quando alcune cimici piazzate in una masseria incastrarono i fratelli Li Bergolis, capi dell’organizzazione.
Durante il processo a Caterino, il testimone Carlo Magno ha rivelato che uno dei killer della strage sarebbe stato Saverio Tucci detto “Faccia d’Angelo”, noto narcotrafficante affiliato ai montanari. Quest’ultimo glielo avrebbe confidato personalmente. Tucci, però, è stato ucciso ad ottobre 2017 Amsterdam proprio da Magno in seguito ad un affare di droga andato male.

Inevitabile che le attenzioni degli inquirenti si concentrino soprattutto sui Li Bergolis-Miucci-Lombardone desiderosi di eliminare Romito da almeno un ventennio. Il boss manfredoniano era uscito dal carcere da pochissimi giorni e, probabilmente, era intenzionato a rientrare sulla scena criminale, circostanza forse poco gradita anche ad alcuni dei suoi più stretti alleati. Ed infatti non è da escludere che qualcuno possa averlo tradito in combutta con i montanari.
Il presunto ruolo di Miucci e gli “squilli” di Lombardone
Oggi il reggente dei Li Bergolis è Enzo Miucci, 40enne di Monte Sant’Angelo detto “U’ Criatur” di cui Caterino era un fedele adepto. Stando alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, il boss avrebbe avuto un ruolo nella strage.
“Vi è prova certa – si legge in un’ordinanza cautelare relativa a Miucci, arrestato recentemente per droga – che Caterino, appartenente al gruppo Li Bergolis, prese parte al quadruplice omicidio in qualità di ‘bacchetta’, ritirò insieme a Tommaso Tomaiuolo, altro esponente dei Li Bergolis, tre giorni prima, la vettura Ford C-Max utilizzata dai killer per compiere l’azione delittuosa, e che altri esponenti del clan Li Bergolis, tra cui il capo Enzo Miucci, parteciparono all’eccidio, secondo quanto propalato dal collaboratore di giustizia Andrea Quitadamo che apprese tali notizie in carcere dal predetto Tomaiuolo, il quale non fece alcun cenno al coinvolgimento nell’agguato di esponenti esterni al clan di sua appartenenza”.

C’è poi il caso che coinvolge Matteo Lombardi detto “Lombardone”, 62enne pregiudicato, parente dei Li Bergolis con i quali condivise gli anni della faida a Monte Sant’Angelo. Lombardi scontò 14 anni di carcere per omicidio proprio in seguito al “tradimento di Orti Frenti” anche se, intervistato da Daniele Piervincenzi in “Mappe Criminali” su Sky, ha parlato di Mario Luciano Romito come di un fratello.
La mattina della strage, “Lombardone” contattò insistentemente Angelo Tarantino, un uomo di San Nicandro Garganico già noto agli inquirenti. Dalle carte dell’inchiesta sulla strage risultano numerosi squilli da parte di “Lombardone”, tutti senza risposta. Tarantino era stato visto spesso in compagnia di Caterino nei giorni precedenti all’agguato, ma non è tutto. Il sannicandrese era solito frequentare la masseria della zia, una struttura verso la quale fuggirono i killer subito dopo il quadruplice omicidio.
Possibili incastri sui quali carabinieri e magistrati della Direzione distrettuale antimafia continuano a lavorare incessantemente. (Qui la puntata integrale di Mappe Criminali)
Seguici anche su Instagram – Clicca qui