“Ho speso trentamila euro e mi sono comprato il giudice a Bari”. Così Danilo Della Malva, elemento di spicco del clan Raduano di Vieste, si vantava con la moglie di essere uscito dal carcere dopo appena tre mesi. Lo riporta la lunga ordinanza del gip Proto del Tribunale di Lecce che ha portato all’arresto del giudice Giuseppe De Benedictis, dell’avvocato Giancarlo Chiariello e dello stesso Della Malva. Nell’inchiesta sono invece indagati, a piede libero, Alberto Chiariello, 40 anni, Marianna Casadibari, 45 anni, Paolo D’Ambrosio, 52 anni, Roberto Dello Russo, 41 anni, Michele Pio Gianquitto, 42 anni e Antonio Ippedico, 49 anni, gli ultimi due coinvolti nella maxi operazione antimafia “Grande Carro”.
Procura di Lecce e carabinieri hanno svelato un vero e proprio mercimonio per scarcerare personaggi implicati in operazioni antimafia di Foggia e Bari. Cruciale il ruolo del 70enne Chiariello, più volte intercettato in compagnia del giudice compiacente De Benedictis. Incontri al bar, in ufficio o in ascensore allo scopo di allungare mazzette e ottenere provvedimenti in favore dei propri assistiti, tra cui il viestano Della Malva e i foggiani Gianquitto e Ippedico, due professionisti che avrebbero favorito il clan foggiano Delli Carri (costola dei Sinesi-Francavilla) nell’accedere ad alcuni finanziamenti europei.
Pressioni sul perito
“La vicenda di Ippedico – riporta l’ordinanza del gip – è davvero quella che chiude il cerchio e consente di comprendere come il giudice De Benedictis abbia fatto mercimonio della funzione giurisdizionale, mettendosi al servizio dell’amico avvocato”. E ancora: “Nel caso dell’Ippedico il giudice va anche oltre, in quanto sa bene che i gravissimi reati per i quali lui stesso ha messo in carcere l’indagato, non gli consentono di affievolire la misura custodiale in atto con quella domiciliare; l’unico modo per aggirare ‘l’ostacolo’ mandando a casa l’Ippedico senza suscitare uno scandalo, è quello di percorrere la strada della incompatibilità con il regime carcerario per gravi motivi di salute. Ma avendo già rigettato ben due istanze, sulla scorta di due perizie che avevano ritenuto l’Ippedico compatibile con il carcere, ha abilmente fatto pressioni sul nuovo perito, individuato evidentemente in un medico suggestionabile”.

Intercettato dagli investigatori, il 15 marzo 2021 De Benedictis si rivolse così al perito: “Allora, mi devi dire soltanto se questa persona stando in carcere può ricevere ugualmente cure immediate e appropriate, se c’è il rischio che non possa riceverle, me lo dici lo mettiamo alla casa e ce lo leviamo davanti al cazzo“. L’obiettivo era quello di fare leva sulla pandemia da Covid in corso: “Il perito – riportano ancora le carte dell’inchiesta – nell’apprendere che il detenuto era affetto da patologie cardiache, condivideva sì l’approccio ma con prudenza onde pervenire a un giudizio di incompatibilità (‘teoricamente sì perché in realtà, voglio dire la pandemia si sviluppa soprattutto in luoghi chiusi eccetera, quindi con la cardiologia, se dalle documentazioni cardiologiche…’). Al che De Benedictis rincarava sulle patologie cardiache di Ippedico (‘ce l’ha, ce l’ha’) sino a surrettiziamente indurre il perito a un giudizio di incompatibilità carceraria, tant’è che replicava il perito – così ispirato da De Benedictis – ‘ce l’ha e allora…’“.
Poi ancora il giudice: “Ti spiego perché se muore in carcere perché non ha avuto le cure io finisco sui giornali come uno… Se muore a casa sua perché non ha avuto le cure nessuno gliene fotte un cazzo”. In realtà, come ricorda il gip nell’ordinanza, “De Benedictis sa bene che non vi è alcuna incompatibilità in quanto l’ha accertata in maniera rigorosa appena tre mesi prima: peraltro non sono intervenuti cambiamenti, almeno sulle condizioni di salute del detenuto”. Il 31 marzo 2021 ecco il provvedimento: la relazione tecnica depositata dal perito portò alla sostituzione della custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari per Ippedico. L’uomo era rappresentato a Bari da Chiariello e a Foggia dall’avvocato Paolo D’Ambrosio, anche quest’ultimo coinvolto nell’inchiesta per questa vicenda. Sostanzialmente, il legale è indagato solo in quanto co-difensore di Ippedico e firmatario dell’istanza.
Il giudice in ufficio con la mazzetta
De Benedictis decisivo anche per sistemare la posizione di Gianquitto. “In occasione dell’incontro costantemente monitorato, avvenuto il 18 novembre 2020, si è concretizzata la dazione della somma di denaro promessa dall’avvocato Giancarlo Chiariello al giudice De Benedictis per la scarcerazione di Gianquitto Pio Michele, al quale in effetti il giudice, con provvedimento emesso in data 16 novembre 2020 concedeva l’obbligo di dimora in sostituzione dalla custodia cautelare, a seguito di istanza dei legali”. De Benedictis fu immortalato mentre maneggiava la mazzetta: “Estraeva dalla tasca anteriore destra dei pantaloni il portafoglio e, subito dopo, dalla tasca anteriore sinistra un numero imprecisato di banconote; proseguendo, abbassava entrambe le mani sotto la scrivania. Quindi, riponeva le banconote prelevate dalla tasca sinistra nel portafoglio; dopodiché, appoggiava il portafoglio sulla scrivania e, dopo aver tirato fuori le banconote che aveva precedentemente ivi riposto, iniziava a contare”. Nelle carte anche l’immagine del momento.

Il gip: “Abitualità a delinquere”
Per il gip si è trattato di un “costante mercimonio della giurisdizione, piegata ed asservita a scopi illeciti per un arco temporale che va ben oltre quello dell’indagine. Il dato emerge non soltanto dalle concordanti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Tulimiero e Milella (boss barese che sta avendo un ruolo importante anche nei processi alla mafia foggiana), ma anche dalla rapidità e dalla continuità dei fatti per come restituiti dalle operazioni intercettive”. E ancora: “Il giudice De Benedictis (unitamente all’avvocato Chiariello) ha dato prova di una particolare spregiudicatezza – agevolmente apprezzabile anche alla luce delle cautele ed accortezze adoperate, tipica espressione di una logica criminale e di una ormai acquisita abitualità a delinquere: lasciano basiti gli incontri ‘segreti’ all’interno dell’ascensore, la consuetudine di lasciare il telefono prima di ogni appuntamento volto a stipulare l’ennesimo accordo correttivo, il linguaggio criptico utilizzato nelle conversazioni potenzialmente intercettabili”. (In alto, De Benedictis, Della Malva e lo zaino con i contanti trovati a casa del figlio di Chiariello)
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