“Imponenti lesioni cranio-encefaliche prodotte da almeno un colpo di arma da fuoco armata con munizionamento spezzato, che attingeva il Romito in corrispondenza della regione cervicale di sinistra, e della regione occipito-temporo-parietale di sinistra, producendo plurimi complessi fratturativi del neurocranio, con frammentazione del tavolato osseo in corrispondenza delle regioni temporale, parietale, occipitale nonché completo sfacelo del parenchima cerebrale, descrivendo un tramite intracranico obliquo diretto da sinistra verso destra, dall’indietro in avanti”. È la terribile analisi autoptica sul corpo di Mario Luciano Romito, boss di Manfredonia ucciso il 9 agosto 2017 nei pressi della vecchia stazione di San Marco in Lamis. Sono state depositate le motivazioni della sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Foggia che il 30 novembre 2020 ha portato all’ergastolo di Giovanni Caterino, basista della mattanza di mafia. Quel giorno tre killer uccisero Romito, il cognato Matteo De Palma che era alla guida di un maggiolone nero e i contadini Aurelio e Luigi Luciani che si trovavano nella zona della strage.
Per i giudici della Corte d’Assise di Foggia, Caterino alias “Giuann Popò” era a bordo della Fiat Grande Punto che pedinò il maggiolone da Manfredonia fino al luogo dell’agguato, facendo strada alla Ford C-Max di tre killer incappucciati in prossimità della stazione sammarchese in disuso. Caterino avrebbe agito per favorire il “clan dei montanari”, storico gruppo criminale garganico guidato dai Li Bergolis-Miucci con il sostegno delle batterie amiche Lombardi detti “Lombardone”, Pacilli, Frattaruolo e Prencipe. Fedeltà al clan dimostrata da Caterino nel voler rifiutare ogni collaborazione con la giustizia, anche precedentemente al suo arresto dell’ottobre 2018. La strage sarebbe collegata al celebre summit mafioso del 2 dicembre 2003 nella masseria Orti Frenti quando i carabinieri – dei quali Mario Romito era confidente – intercettarono una conversazione tra elementi di primo piano dei montanari che si accusavano a vicenda per alcuni omicidi commessi in area garganica. La mattanza dell’agosto 2017 sarebbe stata organizzata per punire il boss manfredoniano per quei “rapporti” intrattenuti con alcuni militari dell’Arma, ma anche per ridefinire gli assetti di potere negli ambienti mafiosi del promontorio.
“Persone si sono girate contro di lui”
Nella sentenza di 120 pagine sono ricostruiti i drammatici momenti di quella mattina di mezza estate, con il dettaglio delle consulenze autoptiche che evidenziano la crudeltà dei sicari che si accanirono anche sui due Luciani. La C-Max del commando fu data alle fiamme nei pressi della masseria Scola, frequentata da elementi della famiglia Tarantino, protagonista in passato di una violenta faida contro il clan mafioso Ciavarella a San Nicandro Garganico. La Grande Punto utilizzata da Caterino fu intercettata in quella masseria già nel giugno 2017 ma anche in date successive alla strage.
Uno dei tre killer della mattanza mafiosa sarebbe Saverio Tucci detto “Faccia d’angelo”, uomo dei Li Bergolis ucciso ad Amsterdam il 10 ottobre 2017 per un affare di droga andato male. Il reo confesso di quell’omicidio, Carlo Magno, diventato collaboratore di giustizia, parlò così agli inquirenti: “Saverio Tucci mi diceva che faceva parte, era associato con il gruppo che ha ammazzato il pregiudicato… il quadruplice omicidio di San Marco in Lamis… Saverio Tucci mi spiegò che le persone sue, lui mi diceva che delle persone che sono state a casa della moglie di Romito, che erano amici suoi che non stavano più d’accordo con lui e si sono fatti a lui… le stesse persone si sono girate contro di lui e lui faceva parte di questo gruppo”.
Alessandro Mucci, comandante della Seconda Sezione Investigativa del Reparto Crimini Violenti del Ros, “esponeva la seguente tesi investigativa – si legge in sentenza –: Romito Mario Luciano e De Palma Matteo, il giorno 9 agosto 2017, si stavano dirigendo verso la masseria di Ferro Luigi e questo dato conoscitivo risultava noto, presumibilmente, anche al commando armato, dal momento che anche il giorno precedente era stata registrata una visita del Romito e del De Palma presso la masseria del Ferro”.
Il filo rosso che lega Caterino Giovanni, Tarantino Angelo e Tucci Saverio
“L’istruttoria dibattimentale – riporta il documento firmato dal presidente della Corte, Antonio Civita – ha altresì focalizzato l’attenzione sulla frequentazione abituale tra Tarantino Angelo (nipote di Scola Grazia, vedova di Tarantino Luigi vittima di omicidio anni addietro) e Caterino Giovanni, come già evidenziato nella descrizione del materiale probatorio raccolto nel corso del dibattimento”. Per i giudici “non è possibile inquadrare il rapporto tra Caterino e Tarantino in termini meramente neutri, per le seguenti ragioni: il Tarantino era il nipote di Scola Grazia, proprietaria della masseria a ridosso della quale era stata trovata la Ford C-Max adoperata dai sicari per eseguire l’agguato; la predetta masseria, situata in prossimità del locus commissi delicti e del luogo ove venivano ritrovati i resti della Ford C-Max, era il punto di destinazione delle tre sagome dei sicari che si intravedevano dalle immagini estrapolate dalla Cam1 a seguito della distruzione della Ford C-Max; il Tarantino aveva a disposizione l’uso della masseria; era stata registrata, tramite appositi servizi di o.c.p., la compresenza di Tarantino Angelo e Caterino Giovanni presso la suddetta masseria; dall’analisi dei tracciati g.p.s. del veicolo modello Fiat Grande Punto era stata accertata la circostanza che la vettura raggiungeva la masseria di Scola Grazia nei giorni antecedenti e successivi all’agguato; il giorno 9 agosto 2017, erano emersi una serie di contatti tra l’utenza in uso a Tarantino Angelo e quella intestata a Lombardi Matteo classe 1961 (soprannominato ‘Lombardone’), soggetto apicale della criminalità locale e contiguo al gruppo Li Bergolis: in particolare, risultano registrati oltre venti tentativi di chiamata da parte dell’utenza del Lombardi verso quella in uso a Tarantino Angelo durante l’arco temporale in cui si compiva il pedinamento e l’esecuzione di De Palma Matteo, Romito Mario Luciano, Luciani Luigi e Luciani Aurelio”.
Il basista intercettato
Oltre all’utilizzo della Grande Punto, su Caterino pesano alcune conversazioni intercettate dagli inquirenti. Il 40enne manfredoniano si sentiva come “una bomba atomica”. “A me l’arresto ci sta”, diceva. “Il giorno che è morto Saverino mi sono detto ‘mo’ sono morto io’ perché loro tenevano due persone che dovevano uccidere, quelli tengono anche ad altri, però la priorità era a me e a Saverio Faccia d’angelo”.
Stando alla sentenza sarebbe emblematica anche “una conversazione dell’1 marzo 2018 tra l’imputato e Tomaiuolo Tommaso che ha detto al Caterino la seguente espressione: ‘ma tu hai visto chi è che ha ucciso Mario Romito?’. Alla domanda formulata dal Tomaiuolo, che lascia intendere una piena consapevolezza del ruolo attivo del Caterino per i fatti di causa, il Caterino non ha formulato nessuna obiezione alla domanda – riportano i giudici -, conseguendo da tale mancata negazione una sorta di ammissione degli addebiti mossi dall’interlocutore”.
La vendetta mancata
Alla strage di San Marco si collega il tentato omicidio del 18 febbraio 2018 proprio ai danni di Caterino, sfuggito miracolosamente alla morte sotto casa sua in via Pulsano a Manfredonia. Un agguato che sarebbe stato eseguito da foggiani, alleati al gruppo di Mario Romito, per vendicare la mattanza di mafia. Vicenda per la quale è stato condannato in primo grado a 12 anni di reclusione, Massimo Perdonò della batteria Moretti della “Società Foggiana”. In un’intercettazione tra pregiudicati foggiani, emersa durante il processo al basista, si commentava proprio l’agguato fallito a Caterino e si paventava il rischio ritorsioni da parte dei “maschi della montagna” (i Li Bergolis).
La ricostruzione “alternativa”
“La tesi difensiva evocava una possibile ricostruzione ‘alternativa’ in ordine all’individuazione dei mandanti dell’agguato a Romito Mario Luciano”. È quanto riporta ancora la sentenza della Corte d’Assise. “Alla luce delle intercettazioni ambientali effettuate presso la masseria di Ferro Luigi (sodale del gruppo Romito) e l’abitazione della vittima Romito Mario Luciano, a dire della difesa, emergerebbe la circostanza che un sottogruppo del clan Romito avrebbe posto in essere una sorta di scissione dalla fazione di appartenenza, e, conseguentemente, avrebbe messo a punto ed eseguito un progetto criminale volto ad ‘eliminare’ il capoclan Romito Mario Luciano, da pochi mesi ritornato in libertà. Si tratta di una tesi che, per quanto suggestiva e supportata dalle captazioni ambientali, non incide, in alcun modo, sull’attribuzione di responsabilità del Caterino, poiché non esclude, anche volendo avallare la ricostruzione difensiva, un coinvolgimento di soggetti ostili al clan Romito (ossia esponenti del gruppo avverso Li Bergolis), e dunque dello stesso Caterino, alla stregua delle emergenze processuali sopra enucleate. La ricostruzione alternativa prospettata della difesa, pertanto, non determina in alcun modo un’elisione della responsabilità penale di Caterino Giovanni”.
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