Squilli di telefono aprono un nuovo filone nella maxi inchiesta sulla strage di mafia a San Marco in Lamis. Ad oltre tre anni da quel fatidico 9 agosto 2017, gli inquirenti continuano a lavorare per fare luce su quel fatto di sangue. Al momento l’unico colpevole è il basista Giovanni Caterino, condannato in primo grado all’ergastolo. Ora l’attenzione degli investigatori si sta focalizzando su quei telefoni “bollenti” durante la mattanza di mafia. Occhi puntati sulla masseria di proprietà della vedova Tarantino ed in uso anche al nipote Angelo Tarantino (appartenente alla famiglia Tarantino di San Nicandro Garganico). Fu proprio nei pressi di quel casolare che i killer diedero fuoco alla Ford C-Max utilizzata durante l’agguato mafioso. La posizione di Angelo Tarantino ha assunto “ulteriore interesse investigativo – si legge nelle carte – poiché dall’esame dei tabulati telefonici dell’utenza in uso a Matteo Lombardi (classe ’61), peraltro intercettata nell’ambito di questo procedimento”, risultava che il giorno della strage, “in orario prossimo e successivo al compimento del fatto delittuoso”, ovvero “dalle ore 09:09 alle ore 09:57”, Tarantino “riceveva numerosi squilli dall’utenza in uso a Lombardi. Tali squilli si ripetevano alle successive ore 10:38 e sino alle ore 11.24″.
Il nome di Lombardi detto “Lombardone” rievoca “Iscaro-Saburo”, il maxi processo alla mafia garganica che sancì l’esistenza di padrini e picciotti sulla montagna sacra. Ma “Iscaro-Saburo” vuol dire soprattutto Orti Frenti, la masseria di San Giovanni Rotondo dove fu intercettato un summit mafioso che è quasi leggenda, seppur criminale. Un summit che potrebbe avere a che fare con fatti di cronaca più recenti come, appunto, la strage di San Marco in Lamis. Ma andiamo per ordine. Per comprendere il presente bisogna scavare nel passato e tornare in quella masseria, il 2 dicembre del 2003.

Lombardi – all’epoca confidente di un maresciallo dei carabinieri, come emerso dalla sentenza “Iscaro-Saburo” – fu tra i protagonisti di quell’incontro, organizzato nella masseria di Franco Giovanditto (fratello di Gennaro, killer dei Li Bergolis) e dei fratelli Franco e Mario Luciano Romito, anche questi ultimi due in stretti rapporti con alcuni militari dell’Arma. Lo scopo del summit era quello di sanare alcune incomprensioni sorte tra i fratelli Li Bergolis e gli stessi Lombardi (Matteo e il fratello Antonio).
Rapporti incrinati soprattutto dopo gli omicidi di Pasquale Silvestri detto L’Apicanese, ammazzato da Michele Santoro detto “Mangiafave”, uomo dei Li Bergolis, e dello stesso Santoro, trucidato il 25 settembre 2003, poche settimane prima di Orti Frenti. Tra gli omicidi “eccellenti” anche quello di Biagio Silvestri, cugino di Lombardi e dell’Apicanese e di Giovanni Impagnatiello detto Spaccatidd. Lo stesso Matteo Lombardi era finito nel mirino dei Li Bergolis e fu avvisato, involontariamente, dai carabinieri, che da tempo avevano piazzato cimici nella Peugeot 309 di Franco Li Bergolis. L’uomo scampò così ad un possibile agguato sanguinario. I circa due anni di intercettazioni nella Peugeot di Franco Li Bergolis si rileveranno poi decisivi nel maxi processo alla mafia garganica.
Insomma, ad Orti Frenti serviva un chiarimento, soprattutto in merito all’omicidio di Santoro, perpetrato da Lombardi per alcuni screzi nella gestione delle estorsioni e per la ripartizione dei proventi di un furto di bestiame. Nella masseria, come raccontano le carte della sentenza “Iscaro-Saburo”, c’erano Matteo Lombardi, il fratello Antonio, i due Romito, Leonardo Clemente e i fratelli Armando e Franco Li Bergolis. Al termine di una lunga discussione, Lombardone ammise di aver ucciso Santoro e per quel motivo gli furono inflitti circa 14 anni di galera con il rito abbreviato. Eh si, perché alcune cimici, posizionate dai carabinieri in quella masseria, registrarono tutto. Per Lombardi la sentenza definitiva di condanna arrivò a marzo del 2009. Ma quelle registrazioni furono una mannaia per ognuno degli uomini presenti al summit. Tutti pagarono a caro prezzo quell’incontro, i Li Bergolis attraverso lunghe pene, i Romito morti ammazzati in quanto ritenuti confidenti dei carabinieri, Lombardi condannato.
Franco Romito e il suo autista furono uccisi a Siponto il 21 aprile 2009, poche settimane dopo la condanna di Lombardone; Mario Luciano cadde invece nella strage di San Marco in Lamis. I fratelli Li Bergolis, con rito ordinario, furono anch’essi condannati nel marzo 2009 ma solo in primo grado. Dunque perché uccidere Franco Romito con il rischio di peggiorare notevolmente la propria posizione? Furono piuttosto le conversazioni nella Peugeot ad incastrare i montanari che nel 2011, in Cassazione, si videro confermate le lunghissime condanne: ergastolo per Franco, 27 anni per Armando e Matteo. Tutti al 41 bis, carcere duro.
Orti Frenti nella sentenza Iscaro-Saburo
“L’omicidio di Santoro Michele – si legge nella sentenza di Iscaro-Saburo (n.2/09) – è sicuramente un omicidio ‘eccellente’, di quelli destinati a sconvolgere l’assetto criminale del territorio. Rappresentò un duro colpo per il gruppo Li Bergolis: è quanto emergerà chiaramente dalle parole di Li Bergolis Armando il quale rinfaccerà al Lombardi Matteo: ‘Sembra che hai ucciso ad un nostro fratello… quello era un fratello…’, lasciando chiaramente intendere il legame stretto e l’inserimento del Santoro nel gruppo. Il ruolo del Santoro era quello di braccio destro del Li Bergolis Franco con cui condivideva non solo la comune affectio societatis ma molte delle decisioni criminali che hanno contribuito a ridare vigore al gruppo all’esito delle assoluzioni del processo ‘Gargano’ e che con lui aveva deciso di realizzare la uccisione del Mangini Matteo (trafficante di droga ucciso a Manfredonia nel 2001, ndr) componente del clan rivale. Strettissimi sono i suoi rapporti con i fratelli Li Bergolis”.
E ancora: “Sta di fatto che, in data 25 settembre del 2003 è stato attuato con modalità tipicamente mafiose l’omicidio del Santoro Michele: precisamente un commando di almeno due persone, armato con fucili cagionava la morte del suddetto, anche impedendogli di fuggire, e con l’esplosione del ‘colpo di grazia’ in modo da lasciare un chiaro segno sul significato di quell’omicidio. Si tratta – riportarono i giudici in sentenza – di un omicidio che è stato deciso dal Lombardi Matteo come reazione alla notizia appresa dagli investigatori (questo almeno è quanto lui dirà a sua difesa nella conversazione di Orti Frenti) dell’agguato che si stava organizzando ai danni suoi e di suo figlio. Molto significativo è un brano della conversazione: gli animi si sono riscaldati, Lombardi Matteo accusa i Li Bergolis di avergli ucciso tre, quattro amici e che poiché loro lo accusavano di aver ucciso il solo Santoro lui era ancora in credito in questo sconcertante calcolo di dare ed avere. A questo punto interviene Franco Romito il quale tenta di appianare la questione suggerendo che, se Lombardi Matteo si era accusato dell’omicidio del Santoro Michele era necessario giocare a carte scoperte, ‘lealmente’ e che, quindi, anche i Li Bergolis avrebbero dovuto confessare di avere ucciso gli amici del Lombardi”. Ma Armando Li Bergolis non rivelò fatti di sangue che potessero compromettere ulteriormente la sua famiglia. Una curiosità, “i fratelli Franco e Armando Li Bergolis, a seguito delle ‘indagini’ svolte da loro – scrissero ancora i giudici -, avevano avanzato dubbi anche sulla fedeltà del loro fratello Li Bergolis Matteo (il primo genito, ndr) attesa la sua recente assidua frequentazione con Lombardi Matteo”.
Le intercettazioni clou di Orti Frenti
Quel giorno nella masseria in località Orti Frenti, Lombardi era molto agitato. A tratti furioso. Il senso del suo ragionamento era chiaro: io non avevo alcun motivo, alcuno scopo nel fare fuori il Santoro (già vittima di agguato ad agosto 2003, ndr) la prima volta, non vi avevo fatto niente né voi avevate fatto niente a me; sono stato io la seconda volta, ovvero ho commesso l’omicidio, quando mi avete costretto voi perché avevate minacciato, anzi, stavate concretamente preparandovi ad ammazzare non solo me ma anche il mio ragazzo (il figlio, ndr). Questo il leit motiv di tutta la “difesa” dell’uomo.
Matteo Lombardi: L’ha detto mba’ Michel che è morto, che si doveva mangiare il cuore. Che gli ho fatto che si doveva mangiare il cuore mio e doveva uccidere il ragazzo? Che vi ho fatto io, voglio sapere: che vi ho fatto… che vi ho fatto!
Armando Li Bergolis: Ma tu però ci hai ucciso un fratello nostro
Matteo Lombardi: Allora voi me ne avete uccisi dieci allora, se dobbiamo arrivare a sto’ punto. Me ne avete uccisi dieci di fratelli miei, ah, va bene cosi? Ah, allora tu mò, se vai a vedere, quelli ne hai fatto quattro dei miei. Allora io ne avanzo tre?
Armando Li Bergolis: Io non ho fatto a nessuno
Matteo Lombardi: Ne avanzo tre? Ah, non hai fatto a nessuno? Sei venuto a prendere le cartucce da me, sei venuto a prendere
Armando Li Bergolis: Non sono venuto a prendere niente
Matteo Lombardi: Da quando te le ho date io: “Domanda, parla con tuo zio (il patriarca Ciccillo Li Bergolis, ndr)”. Qualunque …incomprensibile…
Armando Li Bergolis: Non so niente, non capisco niente
Matteo Lombardi: Sei venuto a prendere le cartucce… “Tu come dici?” “Che ti devo dire? Parla con tuo zio, parla con tuo zio” o ti ho detto di no? Ti ho detto di no? Parla! Dal primo momento, ti ho detto di non, non lo fare?
Armando Li Bergolis: È un fatto vecchio
Nel prosieguo, messo alle strette, sembra confessare apertamente di essere stato lui:
Armando Li Bergolis: L’unico fatto mò, dicci precisamente il fatto di mba’ Michele e basta, e chiudiamo una volta per sempre. Non dobbiamo stare a dire niente più…
Matteo Lombardi: Sono stato io! Te l’ ho detto o no?
Armando Li Bergolis: Sei stato tu, a posto?
Matteo Lombardi: Sono stato io, a posto
n.i.: No Matteo, io ti ho capito
Matteo Lombardi: La verità è questa
n.i.: Io ti ho capito
Matteo Lombardi: Mò per essere, per essere conclusivo, sono stato io!
n.i.: No, no
Matteo Lombardi Allora, voi me ne avete fatti tre, io ve ne ho fatto uno! Stiamo pace!
n.i.: No, no, no, non dobbiamo ragionare in questa maniera…
Matteo Lombardi: Non hai capito! Io pure voglio sapere chi è stato…
“Lombardi – scrissero i giudici – ha un movente fortissimo per l’assassinio del Santoro Michele: gli è stato, involontariamente, fornito dagli stessi inquirenti che lo hanno avvisato del contenuto di alcune captazioni in cui i Li Bergolis ed il Santoro avrebbero tramato contro di lui. Dall’intero contesto della captazione Orti Frenti si evince chiaramente che il Lombardi Matteo confessa di essere l’autore dell’omicidio, sia pure ponendosi in chiave difensiva”.
Sulla posizione di Lombardi e, dunque, sull’omicidio di Santoro, la sentenza si chiuse così: “Non può essere definito un omicidio di mafia in senso stretto tale da giustificare l’aggravante ex art.7 L.203/91: la motivazione, infatti, non è quella di rafforzare o agevolare il contesto associativo ma quella di difendersi da una presunta, possibile violenza nei confronti suoi e di suo figlio. Lombardi Matteo, del resto, come vedremo, andrà mandato assolto dall’accusa ex art. 416 bis cp non essendoci alcuna prova del suo coinvolgimento nelle attività dei Li Bergolis ed anzi trasparendo dal contesto probatorio il suo risalente contrasto con gli stessi”. Da qualche tempo, Lombardi è tornato ad essere un uomo libero, tanto da rendersi protagonista di quelli squilli sospetti nel giorno della strage di San Marco. Anche i rapporti con i montanari si sarebbero appianati, è infatti suocero di una Miucci, parente di Enzo Miucci alias “U’ Criatur”, reggente del clan.
Da Orti Frenti alla strage di San Marco, due episodi entrati di diritto nella storia più drammatica del Gargano. Vicende forse strettamente legate tra loro, oggi ancora di più dopo le recenti investigazioni. Il lavoro degli inquirenti continua senza sosta. (Nella foto in alto, l’omicidio Santoro; nei riquadri, la strage di San Marco, i fratelli Matteo e Antonio Lombardi, i fratelli Franco e Mario Romito e i fratelli Armando e Franco Li Bergolis)