L’auto dei killer bruciata a poche centinaia di metri dal luogo dell’agguato. È una delle anomalie del 9 agosto 2017, giorno della strage di mafia davanti alla vecchia stazione di San Marco in Lamis. La Ford C-Max usata dai sicari, tre persone incappucciate, fu ritrovata distrutta dalle fiamme nei pressi di una masseria riconducibile alla famiglia Tarantino, balzata alle cronache per la faida di San Nicandro Garganico contro i Ciavarella.
Una masseria “di interesse investigativo”
Nelle motivazioni della sentenza che ha disposto l’ergastolo per Giovanni Caterino, 40enne manfredoniano, basista della mattanza, si parla ampiamente di quella C-Max rubata a Trani l’8 giugno precedente; durante l’attività investigativa, gli inquirenti acquisirono le immagini riprese dalla telecamera di videosorveglianza installata presso l’impianto fotovoltaico sito in località Mezzana delle Querce, nel Comune di Apricena. “Si tratta di un impianto fotovoltaico ubicato ad una distanza prossima dal luogo in cui era avvenuto il quadruplice omicidio – si legge nella sentenza -, nonché dal luogo in cui venivano ritrovati i resti della Ford C-Max carbonizzata, e situato a circa 400 metri dalla masseria dei Tarantino. Dai frame – riporta il documento firmato dal giudice Antonio Civita della Corte d’Assise di Foggia – si osservava del fumo alzarsi dal luogo in cui era stata ritrovata la Ford C-Max bruciata e tre soggetti, i quali si allontanavano a piedi, in direzione della masseria predetta. Gli eventi immortalati dalla telecamera Cam1 risultavano confermati dalle dichiarazioni rese, nel corso delle indagini, da Luciani Antonio (padre di Luigi e Aurelio, uccisi nella strage insieme al boss Mario Romito e al cognato di quest’ultimo Matteo De Palma), il quale, sentito dagli operanti il 12 ottobre 2017, riferiva di aver appreso da un tale F.S. (trattorista presso un’azienda garganica) che, il giorno 9 agosto 2017, quest’ultimo avrebbe notato una macchina e, poco dopo, del fumo proveniente dalla medesima vettura e di aver visto tre persone che correvano a piedi per i terreni, diretti verso la masseria dei Tarantino”. Secondo quanto riportato in sentenza, quella masseria rivestirebbe “un pregnante interesse investigativo” alla luce della “vicinanza sia con il luogo in cui era avvenuto il quadruplice omicidio e sia con il luogo di rinvenimento della Ford C-Max bruciata”.
Il proiettile vagante
Ma perché dare alle fiamme quell’auto a pochi metri dall’agguato mafioso e alla presenza di alcuni testimoni che in quelle ore, siamo attorno alle 10 di mattina, popolavano i campi agricoli del Gargano? In un altro omicidio di mafia, avvenuto il 21 marzo dello stesso anno ma a Monte Sant’Angelo (uccisione di Giuseppe Silvestri), l’auto dei sicari fu ritrovata addirittura nei pressi di Cagnano Varano, a circa 50 chilometri dal luogo dell’agguato.
Stando a quanto trapelato, un proiettile vagante forò una gomma della C-Max impedendo la fuga dei killer, costretti ad abbandonare il veicolo e raggiungere a piedi la famigerata masseria dei Tarantino forse in cerca di supporto. La sentenza evidenzia che durante quei drammatici momenti, Matteo Lombardi, “secondo gli inquirenti – si legge a pagina 29 della sentenza – elemento di spicco della criminalità garganica”, contattò più volte Angelo Tarantino, fermo restando che il cellulare di quest’ultimo, il giorno del quadruplice omicidio, “risultava spento o non raggiungibile”. Tarantino è un altro nome noto agli investigatori per via della sua appartenenza alla famiglia che per anni ingaggiò una faida sanguinaria con il clan Ciavarella.
È inoltre emerso che il sannicandrese conosceva Caterino il quale, come riporta la sentenza, raggiunse “innumerevoli volte la predetta masseria intrattenendo contatti costanti con Tarantino Angelo. Si sottolinea che il giorno 26 ottobre 2017 – si legge ancora –, intorno alle ore 16:18, presso la masseria veniva immortalato, tramite telecamera appositamente installata, un incontro tra Caterino, Tarantino e V.C.”.
Le armi
All’interno della C-Max, ritrovata completamente incenerita, gli investigatori rinvennero una pistola semiautomatica parzialmente bruciata marca Beretta, modello 952 calibro 7,65, cinque bossoli calibro 7,65 deformati e vari frammenti di ogive in piombo. La pistola non risulta tra quelle utilizzate per la mattanza: gli assassini si servirono, invece, di un fucile calibro 12 (arma distintiva della mafia garganica), un kalashnikov e una pistola calibro 9×21. (In alto, la C-Max dei killer; nei riquadri, le vittime Mario Romito, Matteo De Palma e fratelli Luciani)