Sul trasferimento dei fondi per la riduzione delle liste d’attesa da Foggia a Bari e Lecce, c’è un precedente che consolida la tesi della penalizzazione della Capitanata. Quello che è stato definito uno “scippo” – 6 milioni trasferiti da Casa Sollievo agli altri enti ecclesiastici pugliesi – viene confermato da una delibera della Giunta regionale del 2021. In quel caso, a differenza dell’ultimo provvedimento sottoscritto dall’organo di governo guidato da Michele Emiliano, 10 milioni di euro vennero lasciati sul territorio di riferimento e distribuiti tra le strutture private accreditate.
Allora venne stabilito che “al sol fine di mantenere invariati i livelli essenziali complessivi del settore ed evitare fenomeni di mobilità, si rende necessario consentire una circolarità delle risorse all’interno dell’area”. Pertanto venne consentito, all’interno del fondo unico di remunerazione per gli “enti ecclesiastici”, il “trasferimento di risorse finanziarie per 10 milioni di euro verso le case di cura accreditate per l’abbattimento delle liste d’attesa”. Anche in quella circostanza, 20 milioni di euro dell’ospedale di San Pio furono dirottati verso il Miulli di Acquaviva delle Fonti (60%) e il Panico di Tricase (40%), per via della “contrazione della produzione, sia in termini di ricoveri che di prestazioni di specialistica ambulatoriale” dell’Irccs di San Pio.
Nel 2021 non c’è stata alcuna “differenziazione”
Nel 2021, dunque, gli enti privati del sistema sanitario regionale furono considerati “equiparati”, giustificando così la ricollocazione delle risorse assegnate sullo stesso territorio di riferimento (Bari). A parti invertite, con i denari destinati al Foggiano, la Regione ha cambiato completamente approccio. Per comprenderlo, citiamo la replica inviata al nostro quotidiano dopo l’inchiesta: “Sul piano sostanziale la vostra ricostruzione alimenta sospetti e interpretazioni su un tema delicatissimo e ad alto tasso di allarme sociale come quello delle liste di attesa, su cui tutti noi, a ogni livello, perdiamo il sonno per cercare di colmare la distanza tra una domanda sempre più grande e l’insufficienza delle risorse umane e finanziarie che colpisce il comparto sanitario in Italia e nelle regioni del Sud in particolare. Per evitare questi due errori, vi sarebbe bastato interloquire con l’Ufficio Stampa della Giunta regionale, per assicurare un’informazione più completa e precisa. Come evincibile dagli atti approvati dalla Giunta regionale esistono sostanzialmente due fondi: comparto enti ecclesiastici e comparto case di cura private accreditate. Nell’ambito degli Accordi con le organizzazioni datoriali di settore si è inteso redistribuire eventuali risorse non utilizzate da una struttura, nel caso di specie da Casa Sollievo della Sofferenza (sulla base della loro stessa dichiarazione), alle strutture sanitarie facenti parte dello stesso comparto degli ecclesiastici”.
Come è facilmente intuibile, leggendo la delibera n. 1365 della stessa Regione, nel 2021 non c’è stata alcuna “differenziazione” tra i due fondi, visto che i 10 milioni non utilizzati dagli enti ecclesiasici sono stati distribuiti tranquillamente al privato accreditato. Dov’è l’errore allora, se nei suoi stessi atti la Regione stabilisce principi completamente differenti?
Questa penalizzazione incide fortemente sulla possibilità di cura e sul diritto ad accedere a prestazioni sul proprio territorio. La mobilità passiva, infatti, costringe i pazienti a recarsi in altre regioni per esami diagnostici e ricoveri, con un aggravio importante in termini economici per le famiglie (viaggio e alloggio, ad esempio), oltre ad un costo per la collettività che solo per la provincia di Foggia vale 40 milioni di euro ogni anno. Nella maggior parte dei casi si tratta di prestazioni che potrebbero essere espletate traquillamente nelle strutture della Capitanata, se non fosse per il limite dei tetti di spesa, per cui le cliniche private si vedono costrette a respingere le richieste già dopo il 15 di ogni mese o rinviare di molti mesi l’esame.
Uno “schiaffo” alla provincia. Lo sdegno di De Leonardis
Il caso ha sollevato l’interesse della politica, con interpellanze e richieste di audizione in commissione Sanità. “I cittadini della Capitanata hanno diritto di curarsi e devono poter contare su ospedali in grado di fornire risposte rapide – ha dichiarato il consigliere di Fratelli d’Italia, Giannicola De Leonardis – perché è inconcepibile dover ancora prendere tristemente atto che per visite ed esami specialistici bisogna attendere mesi, quando va bene, rispetto a patologie che magari richiedono tempestività nella diagnosi per una cura efficace e non tardiva”.
“L’ultimo schiaffo alla provincia di Foggia sferrato dal governo regionale di centrosinistra del presidente Emiliano è quello relativo al dirottamento di 6 milioni di euro, inizialmente destinati all’abbattimento delle liste di attesa dell’ospedale di San Giovanni Rotondo, verso strutture ospedaliere di altre province pugliesi. La piaga delle liste d’attesa è nota e più volte, in questi anni, ho denunciato tutte le criticità che si riscontrano in Capitanata. La scelta della Giunta Emiliano, invece, va nella direzione diametralmente opposta rispetto a ciò che sarebbe invece logico e necessario fare. In tal senso, il presidente Emiliano e gli assessori Piemontese e Palese devono revocare immediatamente la delibera e prevedere un nuovo stanziamento di fondi accompagnato dalla elaborazione di un piano che preveda il loro investimento su più strutture ospedaliere della provincia di Foggia. Sarebbe un atto tanto dovuto quanto razionale, considerato che la salute delle persone è un diritto e non un lusso”, conclude De Leonardis.