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Home - Mafia nella Bat, “il napposo” ucciso per la supremazia nel narcotraffico. In cella la rabbia di “Codino”, boss del clan

Mafia nella Bat, “il napposo” ucciso per la supremazia nel narcotraffico. In cella la rabbia di “Codino”, boss del clan

Di Francesco Pesante
9 Febbraio 2023
in Inchieste
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Mafia e sangue a Trinitapoli. Nelle carte sull’omicidio del 43enne Giuseppe Lafranceschina detto “il napposo” emerge tutto l’odio tra i clan della Bat. Per l’agguato del 3 giugno 2020, i carabinieri di Foggia hanno arrestato, proprio in queste ore, tre persone. I killer, a bordo di un’Alfa Romeo Giulietta rubata a Trani e poi bruciata, agirono in pieno giorno, giustiziando Lafranceschina mentre quest’ultimo girava in paese su uno scooter elettrico. Manette ai polsi per Salvatore Montanaro, 51 anni, ritenuto il conducente dell’Alfa, Simon Liviu Corduneanu, 25 anni, rumeno, passeggero anteriore e Stefan Corduneanu, 23 anni, anche lui rumeno, passeggero posteriore del mezzo. I tre, stando all’impianto accusatorio e secondo quanto riportato sull’ordinanza della gip De Santis, armati e mascherati raggiunsero via Mulini, nei pressi dell’abitazione della vittima, ed esplosero nei suoi confronti e a distanza ravvicinata numerosi colpi in rapida successione. Un’esecuzione mafiosa in piena regola.

Lafranceschina era ben noto agli inquirenti: giudicato in passato per estorsione e “uomo della famiglia Gallone”, legato da vincoli di parentela e contiguità criminale al boss Cosimo Damiano Carbone ammazzato il 14 aprile 2019 e a Giuseppe Gallone detto “Codino” per via della lunga coda di cavallo ai capelli, esponente di vertice dell’omonimo gruppo “Carbone-Gallone”, acerrimo rivale dei “Buonarota-De Rosa”.

Gli assassini sarebbero contigui proprio a quest’ultimo clan e avrebbero ucciso il “napposo” per assicurare ai Buonarota il controllo egemonico delle piazze di spaccio, soprattutto nell’area delle “case maledette” di Trinitapoli, arginando la scalata dei “Carbone-Gallone” (storici alleati dei foggiani Moretti) e riaffermando, a seguito dell’omicidio di Pietro De Rosa, il proprio ruolo di potere e la supremazia sul territorio.

Omicidio Lafranceschina; nel riquadro, Gallone durante un colloquio in carcere

Durante un colloquio carcerario intercettato e filmato, Gallone e sua sorella manifestarono il loro dispiacere per la morte di Lafranceschina. Il capoclan chiese se dalle immagini registrate fosse stato possibile risalire all’identità dei killer ma la parente disse che erano incappucciati. “Colpa sua non è… mannaggia alla miseria santa. Peccato, mannaggia alla miseria. Non doveva succedere a Giuseppe”, le parole del boss. Poi si mostrò rammaricato per il fatto di non poter fare nulla in quanto detenuto: “Non mi potevano lasciare a me… me la vedevo io, i fatti miei… sono cornuti”, riferito con ogni probabilità agli inquirenti che a suo dire lo arrestarono per evitare ulteriori guerre di mafia.

Del possibile botta e risposta tra clan si parla anche in un’altra conversazione intercettata. A parlare sono i Buonarota, vogliosi di vendicare l’omicidio di De Rosa. “Buonarola Nicola, Buonarota Michele e De Rosa Francesco – si legge – animati da propositi di vendetta programmano azioni di fuoco contro esponenti del gruppo Carbone-Gallone. ‘Li devi sparare in testa… devono provare quello che provo io oggi… noi non siamo Milù che Savino è stato ucciso nel 2004 e stiamo nel 2019 e non ne sta vendetta.. noi non siamo Milù… siamo qualcosa di più”.
Secondo gli inquirenti “tali espressioni” rimanderebbero all’agguato del 30 aprile 2004 realizzato da Cosimo Damiano Carbone e Leonardo Lafranceschina contro Michele Miccoli, scampato miracolosamente alla morte, e suo genero Savino Saracino morto sul colpo, che ritenevano non essere stato vendicato adeguatamente ed indicava viceversa, la ferma volontà di vendicare la morte di De Rosa”.

Secondo quanto riportato dagli inquirenti, il clan Buonarota-De Rosa voleva eliminare “il napposo” in quanto sospettato di intrattenere rapporti con loro volti all’acquisto di modesti quantitativi di sostanze stupefacenti e con l’obiettivo strumentale di attingere notizie sull’assetto e sulle dinamiche criminali del gruppo da riferire alla sua compagine di appartenenza. “Si prende e si stacca la testa a quello… o a quello o al napposo… a uno dei due… il napposo si viene a prendere il ventino… si viene a prendere il ventino e va a riferire…”.

In un clima omertoso, riscontrato in questa vicenda come in molte altre condotte tra Foggiano e Bat, fa notizia l’esistenza di un testimone oculare che in questa inchiesta ha dato una mano rilevante alle indagini. Sentito dai carabinieri, il testimone riuscì a dare indicazioni su colpi esplosi e sulla corporatura dei membri del commando di fuoco. “La persona seduta dietro ha sparato due colpi mentre quella seduta avanti ha sparato un solo colpo. Tutti avevano il passamontagna”.

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Tags: mafia Bat
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