Primi collaboratori di giustizia dopo anni di buio e silenzio. Carlo Verderosa (clan Moretti), seguendo la scia di Alfonso Capotosto (stessa batteria), ha iniziato a collaborare con gli organi inquirenti, per questo è entrato in un programma di protezione e trasferito in località lontana e segreta. Procedure di tutela anche per i familiari. Pentiti e vittime coraggiose, dunque, iniziano a squarciare quel velo di omertà che per troppo tempo ha favorito gli affari della “Società Foggiana”.
Il recente arresto per estorsione di Mario Salvatore Consalvo, Leonardo Ciavarella e Pasquale Nardella (tutti “morettiani”) è scaturito grazie alle denunce sporte dalle vittime (due imprenditori), corroborate dalle dichiarazioni del 38enne Verderosa. Quest’ultimo, temendo per la sua vita, dallo scorso 18 dicembre ha scelto di stare dalla parte della giustizia.
L’uomo, libero da novembre 2019 dopo una condanna a 3 anni e 10 mesi per armi, ha raccontato di far parte del gruppo Moretti dal 2011, e di aver deciso di parlare in quanto temeva che il suo stesso clan volesse ammazzarlo. Il suo nome è legato all’operazione di polizia del 2016 “Ripristino”, sette arresti (tra cui il pentito) per armi e tentati omicidi. Finirono in manette uomini di un certo spessore criminale all’interno della “Società” come Massimo Perdonò, Alessandro Moretti e Francesco Abbruzzese. Dalle indagini emersero personalità spregiudicate, tanto che alcuni degli arrestati maneggiavano pistole alla presenza di minori. Dalle intercettazioni ambientali si sentirono rumori di “scarrellamenti di semiautomatiche” e, insieme, voci di bambini. Inoltre, fu captata una conversazione durante la quale si progettava di uccidere un poliziotto della squadra mobile. Nel 2018, invece, Verderosa fu pizzicato insieme a due sanseveresi con armi e maschere in auto.
Il suo pentimento segue quello di Capotosto, ex braccio destro di Pasquale Moretti, figlio del Mammasantissima Rocco. Arrestato dai carabinieri nel blitz “Reckon” dell’ottobre 2016, Alfonso Capotosto era “il commerciale” del clan, in grado di intessere affari con altre organizzazioni criminali per la fornitura della droga sulla piazza foggiana. Dopo essere finito in manette decise di collaborare.
Chi è sotto protezione da tempo è la testimone di giustizia Sabrina Campaniello, ex compagna di Emiliano Francavilla, boss della batteria Sinesi-Francavilla. Ma in passato anche altre persone hanno aiutato gli inquirenti, tra queste Mario Nero, l’uomo che vide in faccia l’assassino di Giovanni Panunzio e Antonio Niro, il sanseverese che si rifiutò di ammazzare il pm Giuseppe Gatti, venendo meno agli ordini del clan.
Volpe conferma: “Primi collaboratori dopo 13 anni di silenzio”
“Soprattutto dopo la strage di San Marco abbiamo portato a termine, grazie al lavoro delle forze di polizia coordinate dalla procura antimafia, arresti di decine e decine di persone – ha detto il procuratore della DDA, Giuseppe Volpe in un recente incontro sulla legalità organizzato a Foggia -. Abbiamo colpito i clan di San Severo dove per la prima volta si è ipotizzata l’associazione mafiosa. Poi va ricordata ‘Decima Azione’ contro tutti i capi e i luogotenenti delle batterie del capoluogo dauno e, infine, il lavoro fatto a Vieste, città molto appetibile per le organizzazione mafiose che spremono gli operatori turistici e trafficano droga introducendo tonnellate di marijuana dall’Albania. Ci sono stati dieci omicidi e quattro tentati omicidi negli ultimi tre anni ma di recente abbiamo posto fine al business illegale attraverso decine di arresti. Inoltre – ha aggiunto Volpe – siamo prossimi a risolvere i casi di altri recenti omicidi e tentati omicidi. Questo lavoro sta dando i suoi frutti”. Infine, il passaggio sui pentiti: “Mancava dal 2007 un collaboratore di giustizia relativo alle mafie di questo territorio. Oggi noi abbiamo i primi collaboratori”.
Pochi pentiti in Puglia
La strada per contrastare e sconfiggere le cosche passa dalle rivelazioni dei pentiti, ma in Puglia sono appena 167. È quanto emerge dai dati contenuti nella recente “Relazione sulle misure di protezione per i collaboratori di giustizia, la loro efficacia e le modalità generali di applicazione”.
“Il dato pugliese – spiega Paolo Lattanzio, componente della commissione parlamentare antimafia – risente evidentemente della situazione che c’è in tutta la provincia di Foggia: in queste zone il numero dei pentiti è decisamente più basso rispetto a quello che riguarda ad esempio i clan baresi e quindi i numeri complessivi regionali risultano più bassi. Sul Gargano ma anche a Foggia e in altri centri della provincia, le organizzazioni criminali vertono prevalentemente su nuclei familiari; in uno scenario di questo genere – ha detto Lattanzio – quando un affiliato decide di collaborare con la giustizia si trova di fronte a una doppia dissociazione: quella dalla cosca a cui appartiene e quella dalla famiglia. La situazione è diversa in altre realtà come Bari, dove prevale una criminalità organizzata che può essere definita più commerciale”.