La mafia foggiana lo vuole morto e lui, ex collaboratore di giustizia, si è ormai pentito di aver raccontato agli inquirenti ciò che sapeva dei clan della “Società”. A l’Immediato, le parole del 49enne Antonio Niro, l’uomo che nel 2006 avrebbe dovuto ammazzare il pm Giuseppe Gatti su ordine dei boss locali. Dopo giorni di pedinamento, Niro sarebbe dovuto passare all’azione salvo poi ripensarci. Iniziò così un lungo calvario: “Si sa come funziona in questi casi. La mafia se le lega al dito certe cose”. E infatti Niro finì dentro un programma di protezione per poi essere spedito a 1400 chilometri da Foggia. Dal 2007 al 2013 sotto l’occhio vigile dello Stato. In seguito, uscì dal programma iniziando una nuova vita con una nuova identità. Fino ad un banale errore burocratico attraverso il quale le sue generalità e il nuovo indirizzo furono comunicati al suo comune di nascita, San Severo.
E si arriva ai giorni nostri. Il 16 marzo scorso, l’uomo ha trovato un proiettile di pistola calibro 9 nella cassetta della posta. Ieri l’altro, invece, la minaccia è arrivata fino al suo citofono. “Pentito di merda, devi morire”, gli ha detto qualcuno in dialetto foggiano. “Sono arrivati a me anche grazie ad alcune parentele. Sono costretto a girare armato e a cercarmi le notizie da solo. La polizia, dopo le mie denunce, ha comunicato agli organi competenti che io e la mia famiglia (ha moglie e due bambini, ndr) siamo in pericolo di vita ma nessuno si è più mosso. Essermi pentito non è stato proprio un bell’affare. So che giù a Foggia altri potrebbero collaborare ma non lo fanno proprio perché non avrebbero la protezione necessaria (eccezion fatta per la testimone di giustizia Sabrina Campaniello, ex di un boss). Chi potrà mai avere fiducia nelle istituzioni? La giustizia non protegge le persone come me, anzi, ci lascia in mezzo a una strada. Stanno giocando con la vita di due bambini. Se dovessero chiedermi altre informazioni o piaceri non dirò più nulla”. Gira armato Niro, con un 416 bis alle spalle e la paura di essere pizzicato dalla mala foggiana. Una paura che è cresciuta negli ultimi giorni per un altro caso piuttosto simile, quello di Francesco Di Palo, testimone di giustizia scomparso nel nulla il primo aprile scorso. “Non vorrei fare la sua stessa fine” – ha commentato Niro.
La lettera del pentito
Al colloquio telefonico con la nostra testata, ha fatto seguito una lettera che Niro ha inviato alla mail di redazione per raccontare, di suo pugno, gli anni di calvario che tuttora sta vivendo.
Al Direttore de l’Immediato
Mi chiamo Antonio Niro, ex Collaboratore di Giustizia per la DDA di Bari contro la Mafia Foggiana, pentitomi nel 2007 per non aver portato a termine l’omicidio del Sostituto Procuratore di Foggia e coinvolto nel Processo Osiride (racket dei funerali, ndr) e altro. Nel 2013 il mio percorso di Protezione terminò con regolare fuori uscita e dopo aver scontato gli anni di carcere.
Gia nel 2015 i primi avvertimenti in quanto, come da vostra pubblicazione del 25/05/2016 (Le rivelazioni di un pentito), i boss della Mafia Foggiana mi ordinarono di uccidere il pm ma a causa del mio rifiuto ora mi vogliono morto. Numerosi gli episodi intimidatori, fino ad appena due giorni fa. È stata inseguita mia moglie, telefonate anonime sulla rete fissa, telefonate nel condominio dove vivevo per sapere se io e la mia famiglia abitavamo lì, inseguito io stesso e sfuggito a un tentativo di sequestro di persona, quando mi fermarono a bordo di una Lancia rubata. Minacce verbali da mezzi in corsa, ritrovo di proiettili nella mia cassetta delle lettere e per finire, ultimo atto al citofono, due giorni fa quando qualcuno mi ha detto “pentito di merda, devi morire”. Tutto denunciato e messo agli atti che sinceramente credo siano in un cassetto che nessuno mai andrà ad aprire per porre fine a tutto questo. E ora lo Stato mi nega il diritto a vivere. Adesso, però, siamo agli sgoccioli anche perché questi soggetti hanno capito, e credo siano informati, che noi siamo bersagli facilmente attaccabili in quanto la Giustizia non esiste. Prendete atto di Francesco Di Palo di Altamura, Testimone di Giustizia scomparso – diciamo scomparso – due sabati fa e nessuna notizia finora (spero veramente che sia un suo volontario allontanamento ma ci credo poco). Mi è stato chiesto da un giornalista se ci possano essere altri pentiti foggiani. La mia risposta resta del tutto vaga in quanto in questi ultimi anni avevo intrapreso un discorso sulla legalità sperando che altri potessero collaborare.Oggi come oggi non credo che la mia situazione possa invogliare altri a parlare. Io stesso non me la sento di poter dare altre notizie agli investigatori, nonostante essi siano sempre stati corretti e leali nei miei confronti.
Ci tengo a precisare che le mie e nostre richieste non sono né di carattere economico né abitativo. Voglio solo esercitare il diritto a vivere e non essere ammazzato. È un anno che sono alle dipendenze di una ditta che mi ha assunto regolarmente, quindi non sto chiedendo soldi ma solo maggiore protezione e, soprattutto, il cambio delle maledette generalità che la Prefettura ha reso pubbliche.Mi rivolgo al pm che dovevo uccidere: contro di lei lo scrivente non aveva e non ha nulla contro. Le chiedo solo scusa se mi era passato per la mente di poter accettare tale richiesta omicida. Ho una figlia invalida che per tutto quello che sta succedendo è costretta a continui controlli e ricoveri in neuro psichiatria. Noi viviamo blindati in casa. Punto anche a costituire una Associazione Nazionale Collaboratori di Giustizia che prima di fine mese farò registrare per essere utile a chi, come me, resta solo e ha bisogno di aiuto morale e logistico.
Qualsiasi cosa succeda a me e ai miei cari vedrà come unici colpevoli lo Stato e la Magistratura. A breve io e la mia famiglia ci recheremo a Roma per protestare e chiedere che ci venga riconosciuto il diritto a vivere. Infine preciso e dichiaro che tutto quello che mi sta succedendo è legato esclusivamente alla mia collaborazione con la giustizia perché dall’epoca dei fatti, e fino ad ora, non ho mai più commesso crimini come possono evidenziare verbali di accertamenti giudiziari e carcerari. Ringrazio la redazione de l’Immediato per lo spazio dedicatomi. A.N.