Volevano uccidere un poliziotto foggiano. Questo emerge dalle intercettazioni che hanno portato agli 8 arresti (7 eseguiti) di oggi nel mondo della mala locale. In manette persone del clan Moretti-Pellegrino, in guerra con i Sinesi-Francavilla. Si tratta di Francesco Abruzzese, di 38 anni, Giuseppe Albanese, di 35, Mario Lombardi, di 34, Alessandro Moretti, di 24, Massimo Perdonò, di 38, Fabio Tizzano, di 35, Carlo Verderosa, di 45 anni.
In una conversazione fresca fresca del 19 gennaio scorso, Alessandro Moretti chiacchiera con Francesco Abruzzese. Quest’ultimo dice apertamente di voler eliminare Angelo Sanna, ispettore capo della squadra mobile e vorrebbe anche incendiargli l’auto.
“Io sono un killer, bastardo in faccia… quel cornuto di Sanna… lo devo sparare in testa… lo devo sparare… mo gli devo accendere la macchina”. “Non vi è dubbio – scrivono gli inquirenti nel provvedimento di fermo – che l’intenzione omicida è seria, atteso che viene descritto l’autoveicolo usato, indice di una attività di osservazione nei confronti dell’ispettore Sanna”.
Le accuse per gli arrestati sono di detenzione di otto pistole, di una tentata rapina in una gioielleria di Foggia e di una rapina a mano armata. I fatti contestati si riferiscono a dicembre 2015-gennaio 2016 e sono tutti aggravati dal metodo mafioso. Nel corso dell’operazione è stato sequestrato anche un fucile d’assalto russo kalashnikov. Le indagini sono coordinate dai pm Antimafia di Bari Roberto Rossi, Lidia Giorgio e Giuseppe Gatti.
Spregiudicati e pronti a tutto
Durante le indagini sono emerse personalità spregiudicate, tanto che alcuni degli arrestati maneggiavano armi alla presenza di minori. Dalle intercettazioni ambientali compiute in auto si sentono infatti rumori di “scarrellamenti di pistole semiautomatiche” e, insieme, voci di bambini.
“Io capisco roba di matematica… – diceva Moretti a una donna – che sono per dire 3 milioni… mi devi dare 300mila euro, mi devi dare un appartamento”. Moretti raccontava del metodo che avrebbe utilizzato per ottenere denaro dagli imprenditori edili di Foggia. Le estorsioni, infatti, emergono ancora una volta come principale business per i boss della “Società foggiana”. Nel provvedimento di fermo della Dda di Bari, gli inquirenti evidenziano che “il denaro utilizzato dagli esponenti del clan per soddisfare le esigenze dei sodali proveniva prevalentemente da due settori illeciti: rapine ed estorsioni“, mediante “la propria capacità di intimidazione” e “richiamando la fama criminale del gruppo” e “utilizzando minacce crescenti, capaci di sottomettere la vittima”.