“Pagavano tutti”. I pm della DDA di Bari hanno riassunto così il sistema estorsivo presente a Foggia. Da un lato il clan Moretti-Pellegrino-Lanza, dall’altro i Sinesi-Francavilla, due gruppi criminali storicamente in contrapposizione ma che, soprattutto sul fronte del racket, chiudevano affari in sinergia e si spartivano la torta grazie ad una “cassa comune”.
Con una logica puramente ‘ndranghetista, i mafiosi foggiani si erano costituiti come una vera e propria piramide. All’apice i boss, alla base picciotti d’onore e picciotti semplici. In mezzo gli “sgarristi”, i sottocapi, i tesorieri e molti altri ancora. Tutti uniti da un forte vincolo familistico. Il pentito Alfonso Capotosto: “Tu incominci come picciotto. Picciotto d’onore. Dopo tu, se vuoi salire di livello, devi ammazzare la gente e incominci a diventare sgarrista, incominci a prendere di più al mese. 4, 5, 6mila euro. Dipende qual è il ruolo”.
Vittime del sistema parassitario, gli imprenditori locali. Quasi tutti assoggettati alla malavita. Per i pm della DDA “coraggiosi al contrario”, nel senso che accettavano una vita di soprusi, quasi “disumana”.
Nelle 285 pagine dell’ordinanza “Decima Azione”, i giudici scrivono: “Emblematica la cappa di terrore in cui si trovavano le vittime, ad eccezione di Maizzi (titolare pompe funebri, ndr) che ha riferito senza timore alcuno alla Pg la richiesta estorsiva ricevuta. Tutte le persone offese sentite, nonostante il carattere incontrovertibile degli elementi dimostrativi della loro sottoposizione ad estorsione, hanno negato di aver mai pagato il pizzo. Alcune persone offese (titolari dell’agriturismo Rotarott e di Carni&Affini) dopo essere state ascoltate dagli inquirenti hanno immediatamente comunicato la circostanza ai loro aguzzini, tranquillizzandoli di non aver detto nulla. In considerazione della fama criminale rivestita, i membri della Società Foggiana, in maniera tracotante, non si curavano di eventuali denunce ai loro danni, perchè erano sempre pronti a minacciare gli eventuali denuncianti”.
Tra le vittime, è scritto nell’ordinanza cautelare firmata dal gip, Francesco Agnigno, risultano: la gestrice del Caffè dell’Alba, 500 euro al mese; il gestore cooperativa Apod, al quale fu chiesto di versare 200mila euro o di ritirarsi dall’acquisto di 197 terreni a Borgo Incoronata ma non si piegò. Il gestore agriturismo Rotarott, 1500 euro al mese. Un fornitore pneumatici, 5mila euro subito e 500 euro al mese. La titolare di Carni e Affini, 4mila euro a Natale e altri 4mila a Pasqua.
La titolare della discoteca Domus, 500 euro a settimana per un regolare svolgimento delle serate danzanti. Unsocio della azienda di costruzioni Fratelli De Bellis, 3800 euro ogni tre mesi. Onoranze funebri Maizzi, 50 euro per ogni funerale: richiesta respinta e subito denunciata. E ancora, un numero indefinito di gestori di autodemolizioni costretti a versare 450 euro al mese. Una ditta tarantina, assegnataria di lavori di costruzione del Lidl e annesso McDonald’s in corso del Mezzogiorno, 25mila euro in più tranche. Distributore Esso sulla Tangenziale, 1500 euro al mese. Titolare di “Motoferri”, costretto a interventi gratis per riparare motocicli. DG Imballaggi, 5 per cento del fatturato. La Ditta C.D. srl di Foggia, minacce al cantiere in via Cirillo: “Tieni due ore di tempo per smontare tutto coso… prepara 50mila euro e 4mila al mese sennò ti devo uccidere”. Infine Don Uva, con richieste estorsive al vertice di Universo Salute ma l’imprenditore non si è mai piegato al malaffare.
DOMUS
Alessandro Aprile riferì a Gioacchino Frascolla e Raffaele Palumbo che aveva ricevuto l’incarico da parte di Giuseppe Francavilla e Massimo Perdonò di redarguire pesantemente Antonello Frascolla, fratello di Gioacchino, in quanto stava creando problemi presso la discoteca Domus, dal momento che qualche sera prima aveva schiaffeggiato Antonio Bruno ed anche il figlio del defunto proprietario della discoteca. “Antonello ha picchiato al proprietario, gli ha buttato due schiaffi al proprietario del Domus”.
“In particolare – si legge sull’ordinanza –, tenuto conto che i proprietari della discoteca Domus pagavano l’estorsione pretendevano che al suo interno fosse assicurata la tranquillità, l’atteggiamento di Frascolla minava il prestigio della Società Foggiana, situazione non accettabile tanto che Giuseppe Francavilla minacciò con la cintura Frascolla stesso per i suoi atteggiamenti provocatori: “Questa è la casa nostra…vedi che tu stai a casa mia. Non hai capito niente. Nonostante il pesante ammonimento di Francavilla, Frascolla continuava ad azzuffarsi con i clienti all’interno della discoteca Domus, come in occasione del litigio con un cittadino straniero, episodio che spinse la proprietaria del locale a lamentarsi con i suoi aguzzini: “Giustamente dice, se quello va denunciare… io sono costretta a denunciare. Se poi voi non mi risolvete questo problema non vedete più una lira”.
MCDONALD’S E LIDL
Dalle indagini svolte e, in particolare, dalle risultanze delle operazioni di intercettazione all’interno dell’autovettura utilizzata da Antonio Miranda — soggetto contiguo al clan Moretti-Pellegrino-Lanza — e sull’utenza telefonica all’uomo in uso, è stato possibile raccogliere elementi in merito alla consumazione, a partire dal giugno 2017, di attività estorsiva eseguita in maniera ‘unitaria’ e ‘federata’ da parte di appartenenti alle “batterie” Moretti-Pellegrino-Lanza e Sinesi-Francavilla ai danni di una ditta di Taranto che aveva intrapreso lavori edili per la costruzione in corso del Mezzogiorno, di un edificio destinato all’apertura di un supermercato Lidl e come sede di un nuovo Mc Donald’s. Dalle conversazioni telefoniche e tra presenti registrate emerse in maniera univoca il ruolo di esecutore materiale ricoperto da Miranda, il quale si occupò di intrattenere i rapporti con le vittime, raccogliere le somme versate e provvedere a consegnare le stesse ai capi per la successiva spartizione. Dall’attività di ascolto spuntò che Miranda intrattenne continui rapporti con il titolare della Pro Se.Co., sub-appaltatrice per conto della ditta di Taranto, quest’ultima assegnataria dei lavori e chiamata a versare alla mafia 25mila euro in più tranche.
DON UVA
I tentacoli della mafia non potevano risparmiare la società Universo Salute degli imprenditori Telesforo e D’Alba, proprietari da circa un anno del Don Uva, struttura sulla quale i boss si fiondarono immediatamente dopo l’operazione di acquisto. Qui entrarono in gioco Ernesto Gatta e Francesco Tizzano, entrambi del clan Moretti. I due misero in atto ripetute minacce.
Stando alle carte dell’ordinanza, i due avrebbero annunciato “i boom ed i baam”, in tal modo alludendo a possibili esplosioni presso la strutture. Una volta appresa la volontà di denunciare le richieste di “pizzo”, Tizzano gli porse il suo telefono cellulare dicendo di chiamare il 113 e sporgere denuncia. ‘Tanto se veniamo arrestati noi, torneranno qui altre decine di persone con le medesime richieste'”.
“Questo episodio da solo spiega la mafia foggiana e sarebbe da raccontare nelle università agli studenti”, ha detto a l’Immediato il pm della Procura di Foggia, Antonio Laronga, avvicinato oggi dalla nostra testata dopo la conferenza stampa a Bari.
Infine, Gatta disse che avrebbero dovuto assumere lui e la moglie di Tizzano. Anche in questo caso non c’è stato seguito alla richiesta. Una minaccia operata con una richiesta di contenuto sopraffattore in relazione allo stato di sudditanza psicologica delle vittime determinato dalla paura di subire violenze e ritorsioni ai propri beni e dal chiaro riferimento a possibili azioni violente mediante esplosioni. Infine, riferimenti anche a precedenti minacce telefoniche, quanto a D’Alba, compiute da ignoti nei confronti dei suoi familiari.