Erano pronti alla fuga Dario Rizzi e Adriana Vasiljevic, elementi centrali dell’inchiesta Don Uva. Non solo litigi e l’ossessiva gelosia dell’ex direttore generale ma anche il desiderio di scappare via dall’Italia una volta dissipato il patrimonio dell’Ente.
Rizzi, stanco delle bizze della 29enne serba, si lamentava dei continui ritardi sul posto di lavoro della Vasiljevic, ma soprattutto della sua relazione con un altro uomo. A quel punto la giovane, per frenare gli ardori del suo amante, gli ricordava l’idea di una fuga insieme.
Vasiljevic: Smettila di comportarti in questo modo perché non me lo merito. Io innanzi tutto non ti ho voluto prendere per il culo! Ho pensato che dicevi: cazzo! Meh! Proviamoci! Andiamocene insieme!
Rizzi: Io pensavo che stavi scherzando, che stavi scherzando.
Vasiljevic: Scherzando?
Rizzi: Meh! Meh!
Vasiljevic: Te l’ho detto a Roma. Te l’ho ripetuto a casa tua innanzi ad Antonio (Battiante, ndr) e mo’ scherzo! Ti ho detto: ce ne andiamo insieme, tu ci devi essere.
Rizzi: Ma pensavo che, che Antonio tenesse, tenesse il gioco, che si stesse scherzando.
Vasiljevic: Ma si! Vabbè!
Rizzi: Perché no. Dice, dice, no! Quella dice sul serio…incomprensibile…
Vasiljevic: A parte che, a parte che pure tu, tu lo dicevi…
Rizzi: Ma di che cazzo stiamo parlando?
Vasiljevic: Ma tu pure lo dicevi con Antonio sto fatto eh!
La 29enne originaria di Belgrado appare spesso nelle quasi 600 pagine dell’ordinanza del giudice Rossella Volpe. Si parla soprattutto del suo lavoro svolto presso la Congregazione. Un incarico “inutile”. Per questa ragione sarebbe stata la prima ad essere licenziata a seguito della predisposizione del piano di rientro della posizione debitoria dell’Ente. Ovvero il piano da presentare al Tribunale Fallimentare per scongiurare il fallimento richiesto dalla Procura. Ma forte della sua relazione con il grande capo Rizzi, ha sempre salvato la sua scrivania anche grazie al ricatto.
La Vasiljevic era a conoscenza che Rizzi aveva preso soldi in nero, in contanti, dagli appaltatori della Congregazione. “Vediamo che cosa ne dicono gli altri di tutti i soldi che ti sei preso a nero per tanti di quegli appalti che non finiscono mai”. E ancora: “Io le tue palle ce le ho in mano”. Addirittura lo minaccia di mostrare carte compromettenti a un Procuratore della Repubblica e che il contenuto di quei documenti è talmente grave da mandarlo dritto in carcere. Era pronta anche a rovinare la sua vita privata. “Mi manca un’esperienza in carcere – dice Rizzi – e mi piacerebbe andarci a causa tua”. In una perquisizione dei carabinieri il 12 novembre 2012, il Nas di Bari fece visita al domicilio della Vasiljevic e nel suo ufficio recuperando quattro foto formato jpg che la ritraevano in atteggiamenti molto intimi con Rizzi. Secondo gli inquirenti, la donna aveva intenzione di mostrarle alla moglie del direttore generale in caso di licenziamento.
Di contro, il direttore generale la teneva sotto controllo anche attraverso una microspia, piazzata nell’auto della donna da un’agenzia di investigazioni.
Eloquente un’altra intercettazione nella quale l’ex direttore generale studia la maniera per confermare il posto di lavoro all’amante. Ne parla con l’avvocato foggiano, Antonio Battiante. La Vasiljevic, per oscure ragioni, viene chiamata “il papero”.
Battiante: Dario!
Rizzi: Antonio? Ti ho detto il fatto di quell’Amoruso?
Battiante: Eh! Rizzi: Eh! Potremmo sistemare il papero là.
Battiante: Alla contabilità?
Rizzi: Si
Battiante: Che cazzo capisce di contabilità!
Rizzi: Ma forse quello capisce meno di lei.
Battiante: Ma non lo so. Non, non mi sembra l’ufficio adatto.
Rizzi: Ma così ce la scarichiamo capisci? La togliamo da là e si salva pure il culo.
Battiante: Non lo so. Boh! Queste sono cose…
Rizzi: La preparava lei la contabilità a quello eh!
Battiante: Sì ho capito! Ma quello poi…incomprensibile…quale altre attività eh!
Rizzi: E per quello proviamo a vedere no?
Battiante: Sì. Dobbiamo vedere quali erano le attività e le mansioni che faceva sto Amoruso.
Rizzi: È per quello, è per quello.
Battiante: E si!
Rizzi: Eh!
Per il ruolo della Vasiljevic sono indagati Rizzi e Rita Cesa (in religione suor Marcella) in quanto assunsero la giovane serba a tempo indeterminato quale collaboratrice amministrativa presso la sede di Foggia, per un compenso mensile lordo di 2.200 euro. Rizzi, dal 24 febbraio 2011, assegnò l’amante all’Ufficio Stampa e Relazioni Esterne, ripristinando appositamente l’ufficio dopo che, il 3 ottobre 2000, il Consiglio di Amministrazione ne aveva disposto la soppressione in quanto produttivo di spese inutili. Alla Vasiljevic era riconosciuta anche un’indennità dì “superminimo” dell’importo mensile di 350 euro per 13 mensilità, sebbene detto beneficio fosse stato revocato sempre il 3 ottobre del 2000. E ancora, Rizzi, il 10 settembre 2012 aveva piazzato la Vasiljevic alla Direzione Generale con il ruolo di collaboratrice, nonostante l’Ente avesse proceduto ad ulteriori licenziamenti e malgrado le gravi condotte infedeli della dipendente già raccontate da l’Immediato. In relazione all’attività di lavoratrice dipendente presso la Congregazione, la 29enne di Belgrado, nel periodo 2010-novembre 2013 ha percepito compensi, al lordo della ritenuta d’acconto del 20%, pari a complessivi 79.095,01 euro.
L’esoso consulente foggiano Antonio Battiante. “Il Don Uva era il suo salvadanaio privato”
Sin dalla fine degli anni ’90, i “condottieri” che si sono avvicendati alla guida della Congregazione erano pienamente consapevoli dello stato di grave dissesto in cui versava l’Ente ma nonostante questo hanno continuato a fare razzia delle sue risorse, nella evidente convinzione, da un lato, di restare impuniti in virtù delle ‘coperture’ acquisite presso una parte della classe politica locale, dall’altro, che la nave comunque non sarebbe affondata grazie ai trattamenti legislativi di favore di cui continuava a beneficiare. Azzollini docet.
E veniamo quindi a uno di questi “condottieri”, ovvero Antonio Battiante, avvocato, consulente e direttore generale (di fatto) del Don Uva a Foggia. Battiante, professionista foggiano, è centrale nell’inchiesta sulla Casa Divina Provvidenza. Era lui lo specialista dei pagamenti per prestazioni non documentate e inesistenti, tanto da aver contribuito pesantemente ad aggravare la situazione di dissesto dell’azienda.
Il professionista aveva un ruolo di spicco nell’attività illecita in quanto, agendo dietro le quinte, gestiva con lucida spregiudicatezza gli affari della Congregazione, ordendo le trame e concordando con Rizzi le strategie criminose dell’Ente. Battiante suggeriva gli espedienti tecnico/giuridici per eludere l’applicazione delle norme operanti durante il concordato preventivo e l’amministrazione straordinaria, partecipava alle riunioni del Consiglio generalizio deputate all’approvazione del bilancio, le cui poste sono state artatamente modificate su sua indicazione ed esercitava, pur in mancanza di una formale investitura, il ruolo di direttore generale di fatto dopo le dimissioni di Rizzi. “A riprova della disinvoltura con cui l’avvocato Battiante fa dell’Ente una sorta di salvadanaio privato – scrive il giudice nell’ordinanza cautelare -, vi è la conversazione telefonica in cui l’onorevole Lello Di Gioia (probabilmente informato di ciò dal commissario straordinario Cozzoli) riferisce che il professionista aveva inviato alla Congregazione una parcella monstre da cinque milioni di euro.
Conversazione del 14 febbraio 2014: Di Gioia dice a Rizzi: “Quell’avvocato ha mandato un’altra parcella di cinque milioni di euro!” Rizzi: “Ma quelli so’ matti, sono! Sono matti!” Di Gioia: “No, no, l’avvocato, l’avvocato Battiante! Ha mandato una parcella…”
Significative – secondo il giudice – le parole che dirà in seguito Rizzi giustificando l’esosa parcella quale “reazione a non meglio precisate decisioni non condivise”, prese dalla Congregazione nei confronti del super consulente. Una sorta di ripicca. In proposito, lo stesso Rizzi aggiunge che sarebbe opportuno “sedersi e ragionare”, affermazione che trovava il consenso del politico Di Gioia. Secondo il giudice, non è da escludere, considerata l’indole dell’avvocato, che la parcella milionaria inviata alla Congregazione possa essere in tutto o in parte riferita a prestazioni inesistenti che non facevano altro che appesantire ulteriormente la posizione debitoria dell’Ente.
Ma non è tutto. Battiante intascò ben 317.520 euro che l’Ente gli riconobbe per prestazioni non documentate e/o inesistenti nell’ambito dell’attività professionale relativa alla procedura di concordato preventivo. Per l’avvocato foggiano, il Don Uva era un vero e proprio pozzo senza fondo.