Maggio è un mese straordinario per visitare le Puglie. Il mese mariano si presta per attraversare le diversità che caratterizzano i territori con un tripudio di colori: dalle Murge ai Monti Dauni, dal Salento alla Valle d’Itria, si rischia di doversi arrestare dietro ogni curva per la bellezza del paesaggio che sorprende il viaggiatore con nuove sorprendenti e inattese prospettive. Per non parlare del Gargano, che riesce a sommare foresta e coste selvagge, montagna e mare, grandi santuari e modestissime grotte eremitiche, nascoste agli occhi dei più frettolosi e distratti.
Chi sceglie di viaggiare a piedi o in bicicletta potrà entrare lentamente nel paesaggio, fino ad abitarlo, scoprendo una nuova geofilosofia delle pratiche quotidiane: abbandonando la dimensione urbana per scegliere le arterie minori, le strade provinciali e comunali, piuttosto che i tratturi, sarà indotto ad appropriarsi di ritmi conciliati con la natura dei luoghi e con la spiritualità profonda che li pervade.
E’ un effetto dirompente soprattutto per chi ritiene di non avere mai tempo. L’autoassoluzione e il senso di indispensabilità sono messi in discussione ad ogni passo, ad ogni pedalata, ad ogni incontro con l’inusitata e sorprendente dimensione dolce della profonda ruralità delle aree interne. Dove il mese mariano per eccellenza riporta a momenti di grande intensità che nella vita quotidiana si penserebbero perduti: penso alle famiglie che, dopo una giornata d’intenso lavoro, raccolte nella quiete serena delle pareti domestiche, vedono ancora genitori e figli riunirsi attorno a un’immagine della Madonna per pregare il Rosario. Per uno come me, nato altrove e pugliese per scelta e generosa adozione, non possono non tornare alla mente le scene del Gattopardo di Luchino Visconti, se non quelle immaginate nelle pagine di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Oltretutto qui la devozione popolare non sopravvive soltanto nella dimensione intima del focolare. Penso alla festa di Sant’Alberto a Pietramontecorvino, quando il sedici maggio partirà la processione dal piccolo borgo dei Monti Dauni per raggiungere il sito originario di Montecorvino, antica diocesi medievale, per soffermarsi sui resti della Cattedrale che fu dimora del Santo: un cammino di sette chilometri, collettivo, immersi nelle colline dell’entroterra rigoglioso, per celebrare un rito antico eppure totalmente contemporaneo.
La processione è uno spettacolo di colori e di partecipazione. Ogni anno, puntualmente, attraverso ogni condizione sociale e climatica, una lunga scia di donne, uomini e bambini parte dal borgo, preceduta da enormi palii: fusti d’albero lavorati dai residenti, in ricordo di origini boscaiole, che vengono eretti e trasportati a braccia – con l’aiuto di lunghe funi – e addobbati con fazzoletti variopinti, per tramandare la tradizione che voleva le donne del paese impegnate durante l’inverno a realizzare abiti colorati da donare al Santo, come gesto di devozione e come preghiera per la generosità dei raccolti.
A seguire i palii, la statua del Santo avanza lentamente nel mare verde di grano ancora fresco, a spalla, unendo nella devozione gruppi di fedeli provenienti da tre paesi – oltre a Pietramontecorvino anche Motta Montecorvino e Volturino – ma anche le comunità di emigranti che tornano ogni anno per manifestare il proprio attaccamento alle radici e rasserenarsi nella protezione di Sant’Alberto.
Sono lontani i tempi in cui la raccolta dei fazzoletti rappresentava, per i giovani del paese, l’unica occasione per conoscere e incontrare le donne, il cui nome veniva appuntato a un angolo del fazzoletto su un pezzo di carta ed inserito poi, durante la vestizione, sotto la fascia con cui era avvolto il palio. Oggi questo aspetto è totalmente tramontato, travolto dalla modernità dei rapporti e delle relazioni, ma chi parteciperà venendo da fuori, come me, anche quest’anno sarà colpito dalla partecipazione dei giovanissimi, che comunque vivono il momento come un gesto d’amore per la propria bella e per la propria terra, rinnovando un orgoglio che non appare in alcun modo destinato a tramontare.
Un culto probabilmente nato pagano, la cui memoria si perde nella notte dei tempi, che si rinnova cristianamente dal dodicesimo secolo e, con questa formula, ininterrottamente da 125 anni. Vi posso assicurare che vivere questo momento molto intenso insieme alla comunità locale è un vero e proprio privilegio.