Il 28 marzo è entrato in vigore l’articolo 5 del decreto legge numero 47, il cosiddetto “piano casa” a firma del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi e del Ministro dei trasporti e delle infrastrutture, Maurizio Lupi. Il decreto porta il titolo “Misure urgenti di contrasto al disagio abitativo” e lo stesso Presidente Giorgio Napolitano ne ha sottolineato l’urgenza allo scopo di far fronte al disagio abitativo delle famiglie sempre più impoverite dalla crisi. Una premessa questa che ci permette di comprendere il motivo per cui le previsioni dell’articolo 5 sembrino stridere con i proclami e le buone intenzioni dei nostri legislatori e il motivo per cui la sua entrata in vigore ha suscitato forti proteste. Il quinto articolo del decreto stabilisce che “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento ai pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”.
Vale giusto la pena ricordare che la stragrande maggioranza dei “padroni di casa” abusivi e delle loro famiglie arrivano ad occupare gli immobili abbandonati in totale assenza di alternative, a meno che non si vogliano considerare tali la strada, la stazione o altri rifugi di fortuna. Negare tout court la residenza anagrafica a queste categorie di soggetti significa escluderli dal godimento di un corollario di altri diritti, fondamentali, riconducibili ad essa. La residenza anagrafica infatti si configura nel nostro ordinamento come un diritto/dovere spettante a tutti, cittadini italiani, comunitari, stranieri e “senza fissa dimora” e rappresenta il fondamento di diritti costituzionalmente e universalmente riconosciuti: il diritto alla salute con l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale, il diritto al lavoro, all’abitazione e all’elettorato attivo e passivo.
Si tratta sostanzialmente di ciò che assicura alle persone il diritto a partecipare alla vita sociale e politica di una comunità. È evidente che il problema della residenza si pone in particolar modo per gli stranieri irregolari e per i “senza tetto” che notoriamente non possiedono i requisiti necessari per l’ottenimento dei documenti che attestino la loro presenza sul territorio di un determinato comune, tra cui, in primis, una dimora abituale. Come sottolineato dal Presidente nazionale di “Avvocato di strada” Antonio Mumolo, “la negazione del diritto di residenza ad una famiglia che occupa uno stabile comporta l’esclusione della stessa anche dal diritto di richiedere una casa popolare con il risultato paradossale di trasformare il “piano casa” in un nuovo strumento di esclusione e di emarginazione sociale”.
Un commento critico del tutto prevedibile alla luce dell’impegno di “Avvocato di strada” che da anni persegue una rotta diversa in tema di residenza di stranieri e senza fissa dimora e lavora per l’estensione dei diritti ad essa connessa. “Avvocato di strada” ha infatti sollecitato i comuni all’utilizzo dello strumento della residenza nella cosiddetta via virtuale come previsto da una circolare dell’Istat del 1992. È possibile dunque istituire una via formalmente non esistente alla quale viene dato un nome convenzionale allo scopo di assicurare la collocazione della popolazione residente anche degli homeless e degli stranieri irregolari nei registri anagrafici. Anche a Foggia sin dal 2007 esiste la “Via della Casa Comunale” la cui utilizzazione in concreto però non è stata sempre facile.
È stato ed è di cruciale importanza l’intervento di associazioni del territorio come “Avvocato di strada” e “Fratelli della Stazione” che in primo luogo garantiscono che il “senza tetto”, accompagnato agli uffici comunali sia realmente un “abitante” della stazione o di altro luogo. È necessario, secondariamente, che sia indicata la via della sede legale dell’associazione quale indirizzo reale della fittizia via comunale. Lungi dal segnare una battuta d’arresto al già avviato processo di estensione del diritto di residenza, il decreto Lupi può tuttavia costituire un pericoloso ostacolo agli sforzi che al livello locale sono profusi in favore dell’emersione di realtà nascoste di disagio abitativo e sociale. D’altra parte, però, l’impegno delle associazioni non basta. L’auspicio è che il futuro sindaco di Foggia possa farsi promotore di buone prassi applicative in tema di residenza affinché le previsioni nazionali non condannino il diritto dei senza fissa dimora a rimanere ancora e a lungo fittizio.