“Che faccio, le faccio morire?”. Parlavano così delle pratiche. Uno schema tipico, per far ‘balzare’ le società tra i posti finanziabili all’interno delle graduatorie del Psr dopo la richiesta di tangenti. Passaggi di denaro che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti nell’indagine “Radici”, sarebbero avvenuti anche all’interno del bagno dell’assessorato all’Agricoltura. Un sistema che teneva dentro un’intera filiera, con dipendenti pubblici infedeli e “famelici”: “Siamo solo stipendiati”, dicevano per convincere della ‘necessità’ di entrate extra. Uno spaccato disarmante, emerso dopo la denuncia di un consulente che ha deciso di non sottostare allo scambio. Nella ricostruzione, effettuata con testimonianze, intercettazioni e perquisizioni, sono spuntate liste vergate nel dettaglio, con cifre e date della raccolta di dazioni da aziende e consulenti. Un fiume di denaro (2,7 milioni di euro), canalizzato attraverso bandi pubblici su fondi europei, destinato a progetti di tutela del patrimonio boschivo e all’agricoltura, gestito in maniera truffaldina da dipendenti della Regione Puglia, imprenditori e agronomi.
Il metodo
Alcuni passaggi del “metodo” piuttosto rodato sono stati descritti durante un interrogatorio: “La prassi da lui adottata era quella di attendere l’emissione delle graduatorie di ammissione dei progetti, cui seguiva il contatto telefonico con i titolari delle varie ditte ai quali (il responsabile, NdR) chiedeva espressamente delle somme di denaro, rappresentando l’esistenza di problematiche sulle pratiche”. Il sistema viene ricostruito nelle carte: “Il responsabile della misura informava il collega tramite messaggi inviati con l’applicazione informatica ‘WhatsApp’, delle liquidazioni degli aiuti deliberati dalla Regione Puglia in favore delle ditte ‘favorite’ di loro interesse; il referente si incaricava di contattare telefonicamente beneficiari dell’aiuto, chiedendo loro un incontro finalizzato alla riscossione delle indebite somme di denaro precedentemente pattuite; dopo aver riscosso l’illecito compenso, si recava a Bari dove consegnava una parte dello stesso al collega”. I due dipendenti in questione sono Giuseppe Vacca e il “dominus” delle operazioni nel Foggiano, Lorenzo Mazzini. “In alcune occasioni quest’ultimo, nell’ istruire le pratiche di finanziamento, ometteva di rilevare delle criticità che, qualora debitamente evidenziate, avrebbero comportato l’inammissibilità della domanda di aiuto”. Per “aggiustare le carte”, Mazzini chiedeva il 3% dell’importo del finanziamento. Bisogna “ungere le ruote”, dicevano, dopo aver richiesto i ‘chiarimenti’ alle aziende: un modo per agganciarli e farsi dare il denaro per ‘sbloccare’ la pratica. Incassata la somma, l’azienda avrebbe scalato posizioni in graduatoria finendo tra i soggetti finanziati.
“Il sostegno viene offerto in termini di contributo in conto capitale – precisa la Guardia di finanza -, commisurato ai costi sostenuti e regolarmente approvati ed è pari al 100% della spesa ammessa, in considerazione del fatto che gli investimenti previsti rivestono esclusivamente interesse sociale e ambientale e non producono alcun reddito”. Gli interventi, infatti, miravano anche a ridurre i danni da incendio e altre calamità naturali nel sistema forestale, incluse fitopatie, infestazioni parassitarie e rischi legati ai cambiamenti climatici. Oltre alla mitigazione del rischio idrogeologico.
Il pranzo ai “Due Ghiottoni” di Bari
“Pretesero fossi io a offrire il pranzo a tutti in commensali nel giorno in cui mi chiesero la tangente”. Una circostanza ricostruita dinanzi agli inquirenti da un consulente, Antonio Simone, fa comprendere il modus operandi dei funzionari. “Posso dire innanzi tutto che le richieste di denaro mi sono pervenute, oltre che da Mazzini anche da Giuseppe Vacca, responsabile di alcune sotto misure del Psr 2014/2020. In particolare, al termine di un pranzo che abbiamo fatto nell’autunno del 2019 presso il ristorante ‘I due Ghiottoni’ di Bari, al quale erano presenti Mazzini, l’imprenditore Matteo Fasanella e il funzionario Giuseppe Vacca, quest’ultimo, dopo aver fatto allontanare gli altri commensali, mi ha chiesto di corrispondergli la somma di 5.000 euro per ciascuna delle pratiche che erano in corso di istruttoria e, precisamente, quelle relative a ‘Pugnochiuso S.r.l.’ del Gruppo Marcegaglia, ad Alibeu Fatmirn e all’Eden soc. coop., quest’ultima partecipante alle misure 8.3 e 8.4. Complessivamente, avrei dovuto pagare, quindi, la somma di 20mila euro per le citate quattro pratiche, somme che non ho mai corrisposto”.
Poi, la seconda richiesta a distanza di poco tempo. “Sempre Vacca – ricorda Simone -, nel mese di agosto del 2020, durante la sua permanenza sul Gargano per un periodo di vacanza, mi chiese espressamente di offrirgli un pranzo per sé ed i suoi familiari, credo otto persone in tutto, presso il ristorante Villa Maria a San Menaio, frazione di Vico del Gargano, noto nella zona oltre che per la qualità, anche per i prezzi elevati”.
“Simone – scrivono gli inquirenti – è stato una parte attiva che recitava un ruolo determinante nell’assecondare comunque, continuativamente le indebite pretese di denaro dei pubblici ufficiali Vacca e Mazzini (quest’ultimo sempre più ‘famelico’ con il passare del tempo). In questo contesto di diffusa e collaudata corruzione ambientale – concludono – , tutti erano parte di un sistema che, evidentemente, conveniva a tutti”.