“Un intreccio di sangue e di interessi” nel quale si inserisce “il Comune di Foggia, con una inaudita ‘compiacenza’ per le imprese ritenute riconducibili alla mafia”. Una “compiacenza che sconfina nell’ingerenza della Giunta, organo di indirizzo politico-amministrativo, in attività specificatamente gestionali e in interpretazioni contrattuali in melius, ingiustificate se non in virtù di un inevitabile metus, che si crea nelle pubbliche amministrazioni e nei concorrenti privati, quando in una vicenda amministrativa si inserisce un operatore economico, percepito come contiguo a soggetti mafiosi”. È impietoso lo spaccato tracciato dal prefetto di Foggia, Carmine Esposito nelle conclusioni della relazione di scioglimento del Comune incentrata su come le batterie Moretti-Pellegrino-Lanza, Sinesi-Francavilla e Trisciuoglio abbiano condizionato il mondo politico-amministrativo della città. “Il dato impressionante – si legge – è certamente rappresentato dal fatto che in tutte le ditte o nelle vicende amministrative oggetto di disamina si registra, quale denominatore comune, la presenza, diretta o indiretta, degli esponenti della criminalità organizzata più e più volte vitati, o di persone a loro vicine”.
Secondo l’analisi del prefetto, “la soglia di attenzione sulle cautele antimafia è stata bassa così da istituzionalizzare un favor per imprese collegate alla criminalità organizzata, perseguito anche attraverso un ingiustificato frazionamento dei contratti”. E ancora: “Scarsa attenzione dell’amministrazione comunale si è riscontrata nell’attività di controllo del territorio, in particolare nel contrasto all’occupazione abusiva di alloggi popolari da parte di soggetti appartenenti alla criminalità mafiosa. Si tratta di un generalizzato atteggiamento di tolleranza, oggettivatosi in deroghe ingiustificate all’ordine cronologico nella trattazione delle pratiche, che hanno consentito ad esponenti di famiglie mafiose l’uso ‘indisturbato’ degli alloggi popolari, a discapito dei cittadini aventi diritto”. Viene fuori una “logica ‘spartitoria’ tra vari soggetti contigui o organici alla criminalità organizzata. Logica avallata proprio dall’atteggiamento quantomeno soggiacente dell’amministrazione comunale che ignora le cautele antimafia, consentendo ad imprese ‘mafiose’ di essere potenziali veicoli di penetrazione delle batterie nell’economia legale, in un contesto fortemente segnato dalla presenza della ‘mafia degli affari’. Nel complesso, l’amministrazione comunale appare in più occasioni testimone passiva, in altre protagonista delle vicende illustrate dalla Commissione”.
Nel quadro descritto dal prefetto Esposito è evidenziata la scarsa o proprio assente volontà di compiere “iniziative concrete per rimuovere le situazioni di infiltrazione malavitosa, né si fa ricorso, con la dovuta efficienza, ai rimedi che pure offre la normativa antimafia. Le situazioni descritte hanno indotto e consolidato vantaggi diretti di appartenenti alla consorteria mafiosa, in alcuni casi con una sorta di ‘privatizzazione’ dei servizi pubblici, sottratti con audaci aggiustamenti procedimenti, alla libera concorrenza e all’economia sana“. In conclusione, si fa riferimento ad un “quadro indiziario che, a prescindere dalla eventuale valenza sul piano penale dei singoli episodi, denota un livello preoccupante di compromissione della regolare funzionalità dell’ente. La maggior parte dei settori comunali è apparsa inadeguata e afflitta da prassi operative spesso avulse dall’attuale quadro normativo”. (In alto, il prefetto Esposito; a destra, dall’alto, Rocco Moretti, Roberto Sinesi, Federico Trisciuoglio e Giuseppe Francavilla; sotto, Pasquale Moretti, Vincenzo Pellegrino, Vito Lanza e Ciro Francavilla)