“Sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale”. Così i giudici nella sentenza che ha decretato l’incandidabilità di Angelo Riccardi (difeso dal legale Giovanni Gigliotti) e Salvatore Zingariello (avvocato Franco La Torre, anche lui ex vicesindaco), rispettivamente ex primo cittadino ed ex vicesindaco del Comune di Manfredonia sciolto per mafia a ottobre 2019.
Un provvedimento volto “a porre rimedio – si legge – al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell’ente possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle precedentemente rivestite, e in tal modo perpetuare potenzialmente l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali”.
Stando alla sentenza, la domanda di incandidabilità sarebbe stata accolta “sussistendo concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti di Zingariello ed indiretti di Riccardi con la criminalità organizzata di tipo mafioso di Manfredonia, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione comunale, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad essa affidati”.
ZINGARIELLO
“Giova innanzitutto esaminare – riportano i giudici Buccaro, Marfè e Stanziola – i collegamenti diretti emersi tra l’ex vicesindaco ed assessore ai lavori pubblici Salvatore Zingariello ed un esponente del clan Li Bergolis, attualmente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, accusato di essere uno degli autori della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, ed attualmente imputato nel processo pendente dinanzi alla Corte d’Assise di Foggia per quella stessa vicenda: Caterino Giovanni”.
La sentenza riprende in parte la relazione della Prefettura di Foggia nella quale vennero riportati stralci delle indagini della DDA di Bari che consentirono di accertare che Caterino fosse un esponente del clan Li Bergolis, “tanto da essere ipotizzato nei suoi confronti il reato di cui all’art. 416 bis c.p.”. Il capo di imputazione dell’ordinanza cautelare 6863/2018, infatti, riporta espressamente le “qualità personali di Caterino Giovanni”, ritenuto “organico all’aggregato mafioso facente capo al clan Li Bergolis”.
“Ebbene – scrivono i giudici – la Prefettura ha fornito numerosi ed inequivocabili riscontri dei rapporti di frequentazione ed amicizia tra il vicesindaco Zingariello ed il Caterino: una serie di fotografie ritraggono i due uomini in atteggiamenti di familiarità”. La sentenza ricorda anche il “soggiorno turistico” dei due a Metaponto, “presso la stessa struttura alberghiera, tra il 25 agosto ed il 2 settembre 2018 (poco prima dell’arresto del Caterino)”. Per i giudici “è evidente l’atteggiamento amichevole e confidenziale”.
Gli accertamenti della commissione prefettizia e, soprattutto, le indagini penali svolte con riferimento alla strage di San Marco in Lamis “hanno svelato – si legge nella sentenza – ulteriori ed inquietanti particolari sui rapporti tra Caterino Giovanni e Zingariello Salvatore, che coinvolgono anche il fratello del resistente, Zingariello Girolamo, detto Mino. Zingariello Girolamo è sposato con la cugina di Caterino Giovanni, ma benché Mino sia legato al Caterino da un semplice (e peraltro lontano) vincolo di affinità, egli ha avuto un ruolo di primo piano nelle vicende familiari successive all’arresto di quest’ultimo”.
Più precisamente, a poche ore dall’arresto di Caterino Giovanni, i giudici ricordano che “Zingariello Girolamo, utilizzando un linguaggio evidentemente criptico, telefonò ad un parente di Giovanni, chiedendogli se potesse venire ‘là’, al fine di potersi poi recare in un luogo non meglio precisato. Pochi minuti dopo fu il parente a chiamare Zingariello Girolamo chiedendogli per due volte di non dire a nessuno dell’appuntamento. Anche in questa conversazione non viene chiarito quale fosse il luogo dell’appuntamento, considerato che, a fronte della domanda dello Zingariello, se i due avrebbero dovuto incontrarsi davanti casa del Caterino, quest’ultimo rispondeva più volte di no, aggiungendo: ‘oh… ricordati che io ho detto un mondo di no a tutti quanti…'”
Per i giudici, si tratta di un linguaggio che dimostra “una grande prudenza”, tanto da destare “il forte sospetto che i due non volessero rivelare al telefono dettagli che avrebbero potuto essere captati da terzi. I contatti proseguirono in maniera sistematica nei giorni successivi, rafforzando il quadro di assoluta vicinanza tra la famiglia Caterino e Girolamo Zingariello. D’altronde, fu proprio quest’ultimo ad accompagnare i parenti e la compagna dell’arrestato Caterino Giovanni presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Foggia“.
Per i giudici, l’ex vicesindaco avrebbe “tentato di spostare l’attenzione sui rapporti tra il proprio fratello e la famiglia Caterino, assumendo nelle proprie difese che fosse proprio il fratello (e non evidentemente lui stesso) il punto di riferimento per l’intera famiglia Caterino”. Un assunto difensivo ritenuto di “palese infondatezza”.
Ciò dovuto sostanzialmente “all’intercettazione ambientale del 7 agosto 2018, nella quale il Caterino, dopo essere stato ascoltato dagli inquirenti, commenta il colloquio intrattenuto con gli stessi e riferisce: ‘Stanno le indagini pure sul sindaco… Zingariello. Mò glielo devo dire a Salvatore. La DDA porta un’indagine sopra a… sopra il sindaco. Non so per che cosa. Quelli là hanno sentito le conversazioni pure con Salvatore. Hai capito?’”.
“In sostanza Caterino Giovanni, appreso di indagini che avrebbero coinvolto il sindaco di Manfredonia, avverte immediatamente la necessità di andare a notiziarne Salvatore Zingariello e, si badi bene, non il fratello Mino; così dimostrando ancora una volta lo stretto rapporto interpersonale esistente tra l’uomo e l’amministrazione comunale”.
Secondo quanto riportato in sentenza, sarebbe dunque “disattesa la difesa del resistente Salvatore Zingariello, laddove tenta di dimostrare che fino al momento del suo arresto, il 16 ottobre 2018, Caterino Giovanni fosse un ‘insospettabile’“.
“L’importante incarico commissionato al Caterino dal clan Li Bergolis per la strage di San Marco in Lamis” dove morirono lo storico rivale Mario Luciano Romito ed altre tre persone, “fa fondatamente e ragionevolmente presumere che il Caterino, lungi dall’essere un occasionale esecutore di uno specifico ordine del clan, estraneo al sodalizio criminale, ma invece un ‘uomo assolutamente fidato’ dei Li Bergolis”.
“Dunque – riporta ancora la sentenza -, in ragione dello stretto e confidenziale rapporto personale esistente tra Zingariello e Caterino, ritiene il Collegio di poter escludere, con elevato e tranquillizzante grado di probabilità, che il resistente considerasse il Caterino ‘un insospettabile’, estraneo rispetto agli ambienti malavitosi dell’area garganica”.
RICCARDI
Riguardo all’ex sindaco, i giudici riportano ancora le vicende che vedono protagonista Giovanni Caterino, il quale “appreso di un’indagine sul sindaco, subito dopo essere stato interrogato dagli inquirenti, manifesta l’intenzione di riferire immediatamente la notizia al vicesindaco Salvatore Zingariello. È di palmare evidenza – si legge – come lo scopo del Caterino, nella fattispecie, fosse quello di tutelare il sindaco, rendendolo edotto delle presunte indagini a suo carico, per il tramite del proprio amico e – per lo meno nell’occasione – confidente, vicesindaco Salvatore Zingariello”.
“Tale significativo e concludente episodio dimostra come il vicesindaco Salvatore Zingariello, attraverso il suo legame con Caterino, potesse rappresentare (ed abbia rappresentato, per lo meno nell’occasione) quell’elemento interposto di ‘collegamento indiretto’ del sindaco – quale vertice dell’amministrazione comunale – con esponenti del crimine organizzato locale”.
Sussistono inoltre altri elementi di collegamento indiretto dell’ex sindaco con associazioni criminali del territorio per via di alcune parentele tra ex assessori e capi gabinetto con esponenti dei clan locali. Ci sono poi le proroghe alla società “Gestione Tributi s.p.a.”, anche questa con presunti collegamenti con esponenti dei locali gruppi criminali di tipo mafioso.
“Leggerezze ed anomalie possono essere la causa della presenza, tra le concessionarie di specchi d’acqua ad uso acquacoltura, di diverse imprese vicine a gruppi criminali mafiosi del territorio”.
Infine, per i giudici, “il Comune di Manfredonia, dinanzi ad opere abusive realizzate da esponenti di vertice di note famiglie mafiose”, avrebbe “omesso di compiere una qualunque attività di contrasto, volta al ripristino della legalità”.
CONOSCITORE
“La Prefettura di Foggia ed il Ministero dell’Interno non hanno fornito elementi sufficienti a carico dell’ex consigliere comunale, ad integrare la prova che quei collegamenti (era socio del lido Bagni Bonobo, interdetto ma poi riaperto, ndr) abbiano prodotto uno dei due possibili effetti di cui alla seconda parte dell’art. 141, co. 1, D.Lgs. n. 267/2000: l’alterazione dell’attività amministrativa, con compromissione del buon andamento, dell’imparzialità dell’amministrazione e del regolare funzionamento dei servizi pubblici, ovvero il pregiudizio per la sicurezza pubblica”. Così il passaggio della sentenza sull’ex consigliere comunale, Antonio Conoscitore, scampato alla richiesta di incandidabilità, difeso dagli avvocati Gabriele Bavaro, Pierpaolo Fischetti e Pietro Schiavone.
“Quale semplice consigliere comunale di maggioranza, non era dotato dei significativi poteri di indirizzo e controllo dell’apparato burocratico dell’ente, esistenti invece in capo agli altri due resistenti, quali elementi di vertice dell’organo di governo del Comune, per cui in alcun modo avrebbe potuto incidere sulle anomalie, irregolarità e sui malfunzionamenti di cui si è dato in precedenza ampiamente conto”.
Nella foto in alto, i fratelli Zingariello; al centro, Giovanni Caterino