“Mario Romito? L’hanno venduto, qualcuno lo ha venduto”. Questa l’intercettazione che potrebbe segnare un deciso cambio di passo nelle indagini sulla strage di San Marco in Lamis. Stralci di una conversazione tra Luigi Ferro e Giuseppe Gravina sono stati depositati dalla DDA di Bari nell’ambito del processo sul quadruplice omicidio del 9 agosto 2017. Quel giorno furono uccisi Mario Luciano Romito, suo cognato Matteo De Palma e i contadini Aurelio e Luigi Luciani.
Sui legami tra Mario Romito e Ferro e sulla possibilità che qualcuno abbia tradito il boss manfredoniano, l’Immediato ne scrive da qualche anno. Luigi Ferro detto Gino di Brancia, 51 anni di San Marco in Lamis, fu arrestato insieme a Romito nel 2015 quando i carabinieri misero a segno l’operazione Ariete, riguardante il progetto di assalto ad un blindato tra Mattinata e Vieste. In quella occasione finirono in manette molti altri personaggi di spicco della mala garganica, soprattutto mattinatesi e viestani.
Oggi il nome di Ferro torna alla ribalta per questa intercettazione, spuntata all’interno di un altro filone d’inchiesta che promette importanti novità su quanto accaduto quel 9 agosto di tre anni fa. Al momento è tutto secretato.
Rispondendo alla domanda “che è successo?”, formulata da Giuseppe Gravina, un uomo arrestato per armi pochi giorni dopo la strage (Gravina è noto per aver favorito la latitanza del boss foggiano, Pasquale Moretti), Ferro avrebbe fatto riferimento ad un possibile tradimento con un emblematico: “L’hanno venduto”. Sarebbe inoltre emerso che già il giorno prima della mattanza di mafia, Romito si sarebbe recato nella zona di San Marco in Lamis, proprio nella campagna di Ferro per discutere di alcune questioni al momento ignote. Perché il boss tornò da quelle parti 24 ore più tardi?
Su Mario Romito pendeva da tempo una condanna a morte; scampato ad almeno due agguati malavitosi, cadde tragicamente quel 9 agosto, pagando con il sangue la sua collaborazione con le forze di polizia, emersa nel maxi processo alla mafia garganica, “Iscaro-Saburo”. Potranno le recenti intercettazioni aprire uno squarcio nelle indagini sulla strage sammarchese? Le conversazioni captate dagli inquirenti hanno spesso fini orientativi, in quanto a volte utilizzate dall’intercettato di turno per distogliere o deviare le attenzioni. La DDA è al lavoro anche per fare luce su questi aspetti.
Intanto, oggi in Corte d’Assise a Foggia sono stati ascoltati due tecnici della difesa, nel processo a carico di Giovanni Caterino, presunto basista della strage, detenuto a Bari ed oggi presente in videoconferenza. Il legale dell’imputato sta tentando di contraddire la perizia del colonnello Mucci, sollevando dubbi sul percorso effettuato quella mattina dal suo assistito. La Procura dà per assodata la presenza di Caterino dietro il maggiolone di Romito ma i periti della difesa ritengono ci siano dei buchi di 20 minuti nei quali l’imputato avrebbe potuto percorrere altre strade. Secondo il legale ci sarebbero alcune discrepanze, inoltre l’auto in questione, una Fiat Grande Punto sarebbe stata utilizzata anche da altre persone.
La difesa ha rinunciato a tutti i testi tranne un carabiniere e il redattore di un video, l’avvocato Clima che prossimamente proverà a dimostrare che Caterino non avrebbe potuto percorrere quella strada nei tempi indicati dall’accusa. Il processo si gioca tutto sulle intercettazioni delle celle telefoniche e sul percorso di tre auto, il maggiolone con all’interno Romito e il cognato Matteo De Palma, la Grande Punto del basista e la Ford C-Max con dentro i tre killer. Prossima udienza il 21 settembre, alla quale ne dovrebbero seguire altre due o tre, prima della sentenza che a questo punto potrebbe arrivare già entro la fine del 2020. Ma molto altro bolle in pentola intorno alla mattanza di mafia del 9 agosto 2017.
In alto, Mario Luciano Romito, la Corte d’Assise di Foggia, Luigi Ferro e Giuseppe Gravina; sullo sfondo, il maggiolone mentre si dirige verso il luogo dell’agguato