Emergono nuovi particolari sull’agguato di mafia ai danni del boss di Foggia, Roberto Sinesi detto “lo zio”. L’uomo scampò alla morte il 6 settembre 2016. Poi, a fine ottobre dello stesso anno, in risposta a quel fatto di cronaca, gli uomini del suo clan uccisero Roberto Tizzano e ferirono Roberto Bruno, entrambi vicini al gruppo rivale dei Moretti-Pellegrino-Lanza. Un botta e risposta da far west tra Candelaro e via San Severo. Per la morte di Tizzano sono stati condannati, di recente, Francesco Sinesi (figlio del boss), suo cugino Cosimo Damiano Sinesi e il sicario sammarchese, Patrizio Villani. 21 anni di reclusione ai primi due, 30 anni al terzo, ritenuto esecutore materiale dell’omicidio.
Nei giorni scorsi anche “lo zio” è stato arrestato in quanto accusato di detenzione e porto illegale d’arma da fuoco. Gli investigatori hanno scoperto, grazie ad alcune intercettazioni ambientali che riportiamo a seguire, che il boss rispose al fuoco quel 6 settembre 2016. Sinesi era in auto con la figlia e il nipote che all’epoca dei fatti aveva appena 4 anni e rimase ferito nell’agguato assieme al nonno. Decisive le conversazioni captate in ospedale tra il boss e un agente di polizia penitenziaria.
Agente: “Sicuramente qualche pisciaturo è stato”
Sinesi: “Devi prendere solo il cuore e ce lo devi togliere”
Agente: “E te lo devi mangiare”
Sinesi: “E te lo devi fare sulla brace”
Agente: “Comunque devono essere proprio pisciaturi quelli che l’hanno fatto… diciamo che se erano persone capaci, buone, ti avrebbero fatto”.
Sinesi: “Ma proprio perchè stanno a nullità, hai capito?”
Agente: “Anche perchè in tanti anni non te l’hanno mai fatto un fatto del genere, o no? A te personalmente non ti hanno mai colpito”
Sinesi: “No, ma io piangevo più il bambino ti dico la verità: di me non me ne importa, hai capito? E che mi hanno fatto proprio una porcheria”
Agente: “Ma loro come stavano, con la macchina o lo scooter?”
Sinesi: “Stavano con la macchina, io sono uscito da Candelaro e stavo con mia figlia. Mia figlia se ne accorge e dice: ‘papà vedi che ci stanno aspettando’, ha girato la macchina e l’ha bloccata. Poi questi cornuti hanno continuato a sparare sul bambino, hai capito. Io una cosa del genere non me l’aspettavo. Mica sono stupido a uscire il pomeriggio, che sono stupido? Proprio perchè non c’era nulla ci stava la tranquillità. Se erano ragazzi? Non lo so, a me la preoccupazione era del bambino. Mi auguro che nella vita non li trovo mai per la strada”.
In un’altra conversazione intercettata, il boss disse: “Negli anni non ricordo che se sta la tua signora dietro di te non si permetteva nessuno di fare il lavoro, nessuno, oppure se c’era il bambino, adesso non ti pensano proprio. C’era il bambino e quelli tun tun tun, cornuti. Mia figlia se n’è accorta e ha detto: ‘papà scendi, corri’ perchè ha capito che per me. Quando mi sono accorto che questi il bambino, ho detto no, adesso vi devo uccidere cornuti, capito, che avete fatto troppo infamità”.
In seguito, una volta trasferito al Don Uva, Sinesi parlò apertamente dell’uso di un’arma ad un poliziotto, così come registrato dai carabinieri: “Sono sceso dall’auto. Mi guardavano a me però sparavano sulla macchina, quello pensava che io me n’ero andato invece stavo là, stavano a distanza. Magari si avvicinavano. Se lo riuscivo a tenere proprio vicino, magari gli dovevo schiaffare io 4 proiettili. Sopra il fatto del bambino mi hanno fatto proprio imbestialire”.
Proprio sulla scorta di queste intercettazioni ambientali, il boss è stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare per i reati di detenzione e porto illegale in luogo pubblico di una pistola calibro 9 x 19, reati aggravati dall’avere agito col metodo mafioso, in considerazione, sia della platealità della condotta, avvenuta in pieno centro cittadino alla presenza di numerose persone, sia del ruolo apicale rivestito da Sinesi, considerato al vertice della Società Foggiana, e in particolare della batteria “Sinesi-Francavilla” operante a Foggia e provincia.
Il provvedimento è stato notificato presso il carcere “Pagliarelli” di Palermo, dove il boss era già ristretto poiché ritenuto responsabile di estorsione aggravata dal metodo mafioso.