Le vicende esaminate e riferite nella relazione del Prefetto svelano una serie di condizionamenti nell’amministrazione comunale di Monte Sant’Angelo, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali. “Condizionamenti – si legge – che determinano lo svilimento e la perdita di credibilità dell’istituzione locale, nonchè il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello Stato per assicurare il risanamento dell’ente”. L’intervento dello Stato scaturisce essenzialmente dalla miriade di episodi oscuri che per anni hanno caratterizzato la città dell’Arcangelo. Dalla lunga relazione in nostro possesso, ne abbiamo estrapolati alcuni.
Il controllo sui parcheggi
Significativa è la vicenda relativa alla gestione di una vasta area di proprietà comunale adibita a parcheggio. Nel 2008, l’amministrazione comunale ha indetto una gara con procedura negoziata, senza pubblicare il relativo bando, asserendo motivi di urgenza ed invitando alcune imprese – tra cui una cooperativa – i cui amministratori sono collegati con esponenti di spicco della locale consorteria (il 13 agosto scorso abbiamo scritto del ruolo del clan Pacilli). Il servizio è stato affidato, in via definitiva ed in assenza di un’apparente ragione, alla cooperativa in questione, classificata seconda nella procedura concorsuale, che ha operato – a far data dalla scadenza contrattuale del 17 luglio 2009 – in regime di proroga, fino a che il comune, con delibera di giunta del 14 settembre 2012, ha indetto una nuova gara di appalto, con procedura ad evidenza pubblica, ritenendo necessario assegnare la gestione degli spazi ad un operatore qualificato e specializzato nel settore.
La stessa cooperativa, che aveva in precedenza gestito il servizio, è risultata vincitrice della gara. Successivamente, la giunta municipale, con delibera del 24 maggio 2013, ancora una volta invasiva delle competenze gestionali, ha affidato alla stessa cooperativa, in base ad una mera richiesta del titolare e al fine di fronteggiare una situazione di grave disagio dei soggetti titolari, la gestione di un ulteriore servizio relativo alla gestione del traffico di una porzione del territorio comunale e dei connessi problemi.
La mafia degli alberi
Con altra procedura, che il Prefetto definisce emblematica del modus operandi ben consolidato a Monte Sant’Angelo, la giunta comunale ha individuato le modalità di affidamento – attingendo da un elenco di imprese, con il criterio della rotazione – nonchè la ditta alla quale assegnare il diradamento selettivo di alberi, ai fini del rimboschimento, su alcune particelle di proprietà comunale.
In particolare, l’organo di indirizzo politico in carica nel 2011 – i cui componenti ricoprono ancora ruoli istituzionali nell’attuale giunta (almeno fino allo scioglimento per mafia) – esercitando compiti gestionali, ha affidato il lavoro ad una cooperativa agricola, il cui presidente è legato da vincoli di parentela con un esponente malavitoso.
Nel 2002, l’amministrazione comunale aveva concesso in fitto ad una società, per un periodo di 5 anni rinnovabili, una cava sita su un terreno di proprietà comunale. Sulla base di una richiesta di proroga avanzata dal titolare della società stessa, il consiglio comunale dell’ente, con delibera del 26 novembre 2012, adottata dopo la scadenza del contratto, ha autorizzato la prosecuzione dell’attività estrattiva, senza tener conto della circostanza che il prolungamento della coltivazione della cava non poteva prescindere da una rinnovata valutazione di impatto ambientale (VIA) da parte della Regione Puglia, la quale in precedenza aveva fissato in un quinquennio il limite della coltivazione della cava.
Nel 2013, l’assetto societario è stato modificato, con il subentro di due nuovi soggetti, contigui al clan egemone e, nell’occasione, il comune, pur a conoscenza dei rapporti dei nuovi soci con la criminalità organizzata, non ha opposto le dovute cautele per impedire la prosecuzione del rapporto.
La cava in questione è stata oggetto di interventi di risanamento, di rilevante importo, affidati ad una ditta a seguito di gara pubblica. In relazione a tale vicenda, secondo quanto emerge dall’ordinanza di misura cautelare emessa dal Tribunale di Foggia il 29 giugno 2015, il predetto presidente delle due cooperative di servizi interessate all’assegnazione dell’appalto relativo ai servizi cimiteriali, arrestato il 30 giugno 2015, ha effettuato minacce finalizzate a bloccare i predetti lavori, per farli eseguire da una ditta diversa da quella che si era aggiudicata l’appalto.
L’assessore vicino ai “Macchiaioli”
Tra i vari “omissis” della relazione spicca quello (già svelato nell’articolo del 13 agosto scorso) dell’ex assessore ai Lavori pubblici Vincenzo Totaro dimessosi dopo l’insediamento della Commissione di accesso e direttore del Parco Nazionale del Gargano. Nella relazione si ricorda una vicenda giudiziaria (finita con la riabilitazione di Totaro) che lo vide condannato a 8 mesi di reclusione, con beneficio della condizionale, per i reati di falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici, falsità ideologica commessa da P.U. in atti pubblici, uso di atto falso. Totaro viene ritenuto – si legge nella relazione – persona legata da rapporti d’amicizia con i “Macchiaioli”, in particolare con gli esponenti della famiglia Ricucci. A conferma di tale vicinanza si segnala che nel marzo 2014, pochi giorni dopo l’omicidio di Ivan Rosa (soggetto già implicato nell’atto intimidatorio contro il dirigente dell’Ufficio tecnico comunale Giampiero Bisceglia), nel corso delle conseguenti indagini, venne acquisito il filmato di un circuito di videosorveglianza dove si era appena svolta una festa della famiglia di Pasquale Ricucci, ritenuto esponente di spicco della batteria “Macchia”. Dalla visione del filmato si nota inequivocabilmente la presenza di Totaro che si avvicina salutando Ricucci in maniera affettuosa e confidenziale.