Un climax coinvolgente, nota dopo nota, con un passaggio celere dall’elitarismo della prima fase del concerto alle più “popolari” e ancestrali emozioni musicali nel finale. Kenny Garrett ha infiammato Foggia, sancendo un successo che supera le aspettative della vigilia (260 biglietti venduti su 300 disponibili) e sdoganando i pregiudizi di una città che può (e deve) ripartire dalla cultura. Sembravano lontani anni luce gli eventi organizzati in corso Giannone da Tony De Mita, rievocati dal Moody Jazz e rivitalizzati grazie al dirigente Carlo Dicesare e all’assessore alla Cultura Anna Paola Giuliani. In piazza Cesare Battisti, il Teatro Giordano illuminato da impressioni quasi oniriche, i foggiani si sono fatti strascinare dal fiume delle movenze del percussionista Rudy Bird, lasciandosi trascinare dall’impressionante vigore del batterista Marcus Baylor, seguendo le veloci dita di Vernell Brown (piano) e Corcoran Holt (contrabbasso), ancorandosi alla zattera tortuosa del sax di Garrett.
Deve esserci un motivo se l’artista di Detroit, figlio d’arte, è uno migliori interpreti della sua generazione e senza ombra di dubbio il più imitato al mondo. Dal suo primo ingaggio professionale con la Duke Ellington Orchestra (condotta da Mercer Ellington), passando per le collaborazioni con musicisti del calibro di Freddie Hubbard, Woody Shaw, Art Blakey & The Jazz Messengers e Miles Davis, Garrett nel corso della sua trentennale carriera ha sempre apportato valore aggiunto grazie al suono vigoroso, melodico e inconfondibile del suo sax alto. I suoi ultimi album sono veri gioielli: dopo l’impressionante “Seeds of Underground” del 2102, il suo ultimo lavoro “Pushing the World Away” è il prodotto di una totale immersione nella musica e nella sua composizione. La maggior parte dei brani è dedicata ad alcuni dei musicisti più rilevanti per la sua ispirazione: oltre a Mulgrew Miller, alla memoria del quale l’album è dedicato, Chick Corea, Choucho Valdés, Sonny Rollins, Donald Brown. Dall’inizio della sua carriera ha inciso 11 album come leader ed ha avuto numerose nomination al Grammy.
Garrett è oggi non soltanto uno dei solisti più rappresentativi e originali della scena jazzistica mondiale, ma rappresenta l’ultimo ad essersi cimentato con grande slancio e creatività con il repertorio coltraniano, uno degli elementi di maggior spicco di quel radicato movimento che a partire dagli anni Ottanta si è rifatto alla più autentica tradizione del be-bop e dell’hard–bop. Queste influenze hanno deliziato Foggia. Segnando il passo oltre il guado del riscatto necessario, al di là del “salotto” di ieri, che comunque avrebbe fatto invidia alle “civili” piazze del Nord. Ora serve spingersi più in là, lì dove la musica e la cultura di qualità possono sollevare una città provata dall’indefessa cronaca. Soffiando con un puff sulle ceneri dell’abbandono e sulla polvere della marginalizzazione.