e la mia testa iniziò a muoversi, ridevo. Fui catapultata indietro di 20 anni, attraverso pennellate di note, nomi di poeti letti al liceo, respiri lontani, naftalinici. La macchina del tempo è Dario Brunori e quel “SAS” è una ragione sociale, quella presa in prestito dalla piccola ditta familiare, di cui non ha ascoltato le ragioni, “giammai”!
Parte da Cosenza il ragazzotto, era il 2003. Da allora cammina, cammina parecchio, sia per il decorso infinito de la Salerno-Reggio Calabria sia per scoprire il suo percorso, fatto di album, premi e persino una propria casa di produzione, la Picicca Dischi.
Faccia nascosta da ispida barba, sguardo profondo e occhiali da hipster, chitarra davanti & fiati/batteria/violoncello al suo fianco! Ecco chi è. Un cantautore. Un tipo razionale, capace però di esprimere grovigli interiori, con forma semplice, immediata e mai scontata. Uno di quelli che vorresti come amico, per chiedergli non solo Come stai?, ma pareri su vita/morte/miracoli, a cui prestare ascolto quando tra un singhiozzo e una sigaretta le tue parole fanno bunging jumping in gola.
Allora lui, paziente ed ironico, si siederebbe sul ciglio del tuo letto. Certo, non con la posa di Bruce Springsteen nel film “Altà Fedeltà” di Nick Horby, ma ti sdoganerebbe racconti fatti di palloni Super Santos, motorini e marmitte e “sulla spiaggia lattine anni 80, quando il mare si incazza e riporta ricordi che avevi coperto di sabbia” (Guardia ’82). Questo è il Brunori del Vol.1, ancora acerbo. E’ l’amico che inizia a parlarti e che prima di aprirsi si prende del tempo, per dartene un po’.
Ma nel Vol.2 si lascia andare e il caleidoscopio viene puntato sui sentimenti, sulle storie di quei “Poveri Cristi” (porre orecchio a Rosa). E ti senti meno solo ad ascoltare le visioni psico-sociali di uno che, come te, attraversa i crateri del suolo italico. Alla fine ti scappa anche una risata, perché quella scappa sempre (come le parolacce e la pipì!), mentre ti lasci trasportare da sonorità vintage, da urla e sussurri, alla ricerca di frame nascosti in piccole luci intermittenti.
Arriva poi il 2014, la maturità. Cresciuto lui, si definisce anche la sua musica e si affila l’ironia. Momenti di consapevolezza schiacciante (Nessuno), sintomo di passeggiate interiori, si riscontrano nel Vol.3 – Il Cammino di Santiago in Taxi, titolo che già sorride beffardo davanti al pigro vizio di voler raggiungere traguardi importanti caricandosi solo di una buona dose di superficialità. Il lavoro è introspettivo e straripante, registrato nella location suggestiva di un ex-convento del cosentino e curato dal produttore giapponese Taketo Gohara, che ha cucito esplosioni sonore in alcune perle del disco.
Tutto inizia con la dolcissima e ben concertata Arrivederci tristezza. Poesia pura in cui ci si rivolge al proprio cervello (“milioni di libri non servono a niente, se servono solo a nutrire una mente che mente”) per poi girare lo sguardo verso il collezionista di battiti (“scusami ancora mio cuore, se ho fatto l’amore anche senza di te, ma sono più duro di un mulo, ti ho preso per il culo ma il culo è più giù”). Ascoltando queste tracce pare scorgere cantautori italiani che si passano la palla in un campo di calcetto: dal Mambo reazionario (ottimo video!) di stampo gaetaniano, fino a Sol come sono Sol in cui si nota l’assist di De Gregori. Da ascoltare Kurt Cobain, ma anche Le quattro volte, esplicito rimando alle quattro stagioni della vita, dove i fari vengono puntati sull’attitudine malsana di procrastinare la felicità, quella che nel pezzo Maddalena e Madonna pare sia stata vissuta, e purtroppo persa… come la primavera.
Il consiglio finale è di fare play su Come neve, un’aria strumentale di 7 minuti, presente nel disco/colonna sonora “E’ nata una star”, nonché titolo di un film tratto da un altro libro di Nick Horby.
Un aggettivo per Brunori SAS? Togo!