Nobraino, tu chiamala se vuoi… folgorazione

Poi una sera, in un locale, il mio orecchio rimase inebetito su un “Stai seria con la faccia ma però ridi con gli occhi, io lo so…”.

Avete presente quello stato d’animo che ti coglie quando finisce una lunga storia d’amore, di quelle tipo fotoromanzo anni ’90 in cui i due attori per dirsi una parola impiegano dieci foto condite di sguardi languidi e capelli cotonati? Quelle. E tu, dopo aver vissuto tutto ciò, pensi che nessuno ti farà finire di nuovo in un fotoromanzo, soprattutto con quei capelli! Ecco, la prima volta che li ho ascoltati, i Nobraino, ero musicalmente in una fase del genere. Ok il passato, bello e immobile, ma il futuro? I nuovi gruppi? La cosiddetta “generazione zero”?

Alcuni di questi, dopo una manciata di canzoni, mi stancavano a tal punto che venivo presa dalla sindrome gambero impazzito alla ricerca di musica che potesse sedarmi. Poi una sera, in un locale, il mio orecchio rimase inebetito su un “Stai seria con la faccia ma però ridi con gli occhi, io lo so…”. “Bella questa cover di Conte fatta da De Andrè” – pensai. Credevo fosse un cd, invece mi trovai di fronte un carismatico tipo barbuto in smoking, accento romagnolo e movenze circensi. Certo, nulla a che vedere con la compostezza incasinatamente eterea di Faber, ma quel timbro di voce, così simile… Lui è Lorenzo Kruger, frontman de I Nobraino, nome che deriva dalla crasi di no brain, no cervello: del resto solo chi ce l’ha può permettersi di non utilizzarlo.

Da allora un mondo si è dischiuso su questi perfetti sconosciuti che hanno all’attivo ben 5 dischi. Scoprirli è stato davvero illuminante, mi si sono accese le ‘recchie! Non il classico gruppettino indie, qui siamo davanti a un cantautorato rock folkoreggiante, a un paroliere con significati sottesi, a funamboli musicali che, in bilico tra generi diversi, tra cinismo e romanticismo, si divertono a sperimentare e ne vengono fuori tutt’altro che stremati. Quelli dei Nobraino non sono certo tutti pezzi imprescindibili, questo è vero, ma rivelano uno sguardo attento e mai scontato. La realtà viene vivisezionata, colta e masticata, restituita in chiave ironica. Un espediente utile, sopratutto quando ci si approccia a temi importanti, quando non ci si accontenta e si cerca di approfondire senza appesantire. Sapientemente usato, questo distillato viene servito con un crescendo di entusiasmo durante i concerti, ma quando lo butti giù, tra una risata e l’altra, senti che qualcosa brucia/pizzica e avverti che sta per risalire la tua risposta a quello stimolo. Se non si è pronti a cogliere la loro graffiante e sagace scrittura, sarà impossibile digerirla. Il 4 febbraio vede la luce “L’Ultimo dei Nobraino” (essì, è proprio il titolo dell’album!) e contiene brani ben costruiti come “Lo scrittore” e “Un’altra ancora”, facce diverse di una stessa medaglia al valore, amoroso. Grandi cantastorie, si ascolti il Bigamionista, storia a lieto fine di una bigamia sentimentale o “Via Zamboni” in cui il tema delle droghe leggere si risolve con la frase “la libertà di farmi i cazzi miei”.

C’è poi “Michè”, omaggio al cantautore genovese di cui sopra, riscrittura riabilitativa della storia dell’impiccato, quasi a voler sottolineare il punto di partenza ma anche la loro visione differente, una sorta di emancipazione da questo “timbro” di fabbrica. Un album ben assortito, calibrato, ma per me non uno dei migliori. Sarà che il mio sguardo al passato è ormai un tic ricorrente, ma il livello raggiunto con “Film Muto” mi mette ancora i brividi.

In ogni caso i ragazzacci, nati con MArteLabel e accolti da poco sotto il mantello di una major (Warner), sono in tour ed io consiglio di prenderne nota. L’istrionico frontman riesce a cantare, ballare, arrampicarsi su tralicci e cornicioni, buttarsi sul pubblico e lasciarsi trasportare dall’onda di mani. Senza dimenticare uno dei momenti topici, la rasatura di capelli sul malcapitato di turno durante l’interpretazione di “Mangiabandiere”, canzone contro la guerra.

Provare per credere o per smettere di credere a tutto.



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