Viaggio de “Le Iene” nei luoghi della mafia garganica. Nella scorsa puntata, l’inviato Giulio Golia ha ripercorso le tappe cruciali della guerra tra Li Bergolis e Romito culminata nella strage di San Marco del 9 agosto 2017. Quel giorno vennero uccisi il boss di Manfredonia, Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e i contadini Aurelio e Luigi Luciani, questi ultimi ritenuti testimoni scomodi dell’agguato oppure scambiati per altre persone.
Golia ha intervistato le mogli dei Luciani che hanno ricordato quei tragici momenti. Le due donne hanno parlato anche del basista Giovanni Caterino detto “Giuann Popò”, uomo dei Li Bergolis, condannato definitivamente all’ergastolo e al momento unico responsabile individuato della strage. “Caterino? Una faccia di ca**o – ha detto senza mezzi termini la moglie di Aurelio Luciani -. Ha la mia età, è giovane, ha una figlia e aveva tutta una vita davanti”.
A parere delle due donne, i Luciani potrebbero essere stati scambiati per un altro boss della zona, Luigi Ferro alias “Gino di Brancia” che gli inquirenti ritengono fosse legato a Mario Romito. L’inviato Golia ha raggiunto Ferro in un’abitazione di San Marco ma è stato respinto malamente: “Dov’è il mio avvocato? Vai a lavorare. Chiamo i carabinieri”.
I procuratori Ludovico Vaccaro (Foggia) e Roberto Rossi (Dda Bari) e l’ex capo della squadra mobile di Foggia, Alfredo Fabbrocini, oggi questore della Bat, hanno ricordato gli anni di sangue sul Gargano, centinaia di morti dal 1978 ad oggi e i traffici illeciti dei clan: la cocaina dal Sudamerica e il canale dell’Albania per la marijuana. Il promontorio è impervio, in alcuni punti difficile da setacciare, un luogo ideale per gli sbarchi delle sigarette prima (soprattutto fino agli anni ’90), e di armi e droga poi. Senza dimenticare i “cimiteri di mafia” nelle grave garganiche. In una di queste vennero ritrovate le ossa di almeno quattro uomini. Tra gli intervistati anche il panificatore di Monte Sant’Angelo, Donato Taronna che ha ricordato alcuni fatti di sangue avvenuti nella città dell’Arcangelo, scenario di una storica faida tra i Li Bergolis e la famiglia Primosa, uscita sconfitta dallo scontro.
Il focus di Golia si è infine spostato sul summit del 2003 nella masseria di Orti Frenti dove i carabinieri, d’accordo con i Romito, nascosero alcune cimici riuscendo ad incastrare i Li Bergolis, in particolare Matteo Lombardi detto “Lombardone” che durante l’incontro ammise di aver ammazzato Michele Santoro alias “Mangiafave”, factotum dei boss montanari, per contrasti interni al clan stesso. “Ma io sono una vittima – si è difeso “Lombardone” -. Parlavo in modo provocatorio. O io sono più boss degli altri o non c’entro niente. Franco Romito era un fratello, anche se ha fatto del male non avrei mai ammazzato un fratello”.
Per l’omicidio Santoro, “Lombardone” venne condannato a 14 anni di galera. Oggi, il 62enne montanaro gestisce la sua masseria a pochi chilometri da Manfredonia e produce caciocavallo. Eppure il giorno della strage gli inquirenti rilevarono una serie di chiamate senza risposta dal cellulare di “Lombardone” a quello di Angelo Tarantino, un pregiudicato di San Nicandro che frequentava la masseria verso la quale fuggirono i killer della strage di San Marco. Come già riferito in “Mappe Criminali” su Sky a Daniele Piervincenzi, Matteo Lombardi ha confermato di aver contattato Tarantino solo per questioni lavorativi, “per le mucche”.
Ma gli interrogativi su quella mattanza restano aperti ed ora, con il proliferare dei pentiti, finalmente anche tra i montanari Li Bergolis, gli inquirenti contano di arrivare alla verità. Occhi puntati soprattutto su personaggi del calibro di Enzo Miucci detto “U’ Criatur”, reggente del clan e sui suoi sodali. Uno di loro, però, Matteo Pettinicchio, ha cominciato a collaborare con la giustizia e potrebbe fornire informazioni preziose alla magistratura antimafia. Non resta che aspettare. >>> QUI IL LINK AL SERVIZIO <<<