Mafia, strage di San Marco: “Ecco chi era presente quel giorno”. Nomi e circostanze nella sentenza Caterino

Le motivazioni dell’ergastolo al basista dei Li Bergolis. Spuntano le rivelazioni di Tommaso Tomaiuolo al pentito Quitadamo

Intrecci mafiosi e rivalità sanguinarie nella sentenza della Corte d’Appello di Bari che ha confermato l’ergastolo per Giovanni Caterino, 42enne manfredoniano alias “Giuann Popò”, ritenuto il basista della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017. I giudici del secondo grado di giudizio, presidente Eustacchio Cafaro, hanno motivato la pena nei confronti dell’affiliato al clan Li Bergolis-Miucci-Lombardone ricordando la rivalità tra questi ultimi e il gruppo degli “ex Romito”, oggi rimodulato nei Lombardi-Scirpoli.

Quella mattanza di mafia costò la vita al boss Mario Luciano Romito, al cognato Matteo De Palma e ai contadini Aurelio e Luigi Luciani. Romito era il principale obiettivo, giustiziato con tipiche modalità mafiose.

Le rivelazioni di Tomaiuolo a Quitadamo

Caterino è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi, una decisione giunta anche attraverso l’importante apporto dei pentiti. Tra questi spicca Andrea Quitadamo detto “Baffino junior”, 34enne di Mattinata, per anni sodale del gruppo Lombardi-Scirpoli. “Verso la fine del 2018 inizi del 2019 – riporta la sentenza -, Quitadamo venne ristretto nel carcere in cui era detenuto anche Tommaso Tomaiuolo appartenente al clan opposto dei Li Bergolis, il cui capo era Enzo Miucci alias ‘U’ Criatur’. Inizialmente Tomaiuolo mostrò una certa freddezza nei suoi confronti, poi, con il passar del tempo, gli confidò che non voleva più far parte del clan Li Bergolis, in quanto non veniva pagato bene, chiedendogli di passare con il suo ‘gruppo’. A quel punto iniziò a riferirgli dei fatti, dicendogli ‘che era stata una mattanza quella che avevano fatto’. In principio non fece nomi né il Quitadamo ritenne opportuno fare domande più specifiche, in quanto riteneva ‘che doveva andare piano piano, con i piedi di piombo, per sapere come erano i fatti’. Successivamente Tomaiuolo gli confidò che ‘la macchina della strage era andata a prenderla due o tre giorni prima tra Trani e Barletta con Giovanni Caterino’.

Ma soprattutto Tomaiuolo avrebbe fornito al pentito informazioni scottanti sulla mattanza di mafia: “Inoltre gli fece intendere – si legge in sentenza – che quel giorno della strage erano presenti anche altri sodali del clan Li Bergolis tra cui il viestano Girolamo Perna (ucciso nel 2019, ndr) e tale R.P. oltre a Enzo Miucci”, reggente del clan dopo l’arresto dei fratelli Matteo, Armando e Franco Li Bergolis e l’omicidio del patriarca Ciccillo Li Bergolis.

Non è chiaro se abbia partecipato anche “Faccia d’angelo” Saverio Tucci ucciso ad Amsterdam dal pentito Carlo Magno. Quest’ultimo riferì, durante il processo, di aver appreso la notizia dallo stesso Tucci, uomo che si occupava del narcotraffico per conto dei montanari. In ogni caso, Tomaiuolo riferì a Quitadamo che “nella preparazione dell’omicidio erano coinvolti tutti. Lo sapevano ben parte quelli del gruppo Li Bergolis”.

Andrea Quitadamo, Tommaso Tomaiuolo e Danilo Della Malva

Il collaboratore di giustizia avrebbe appreso, sempre da Tomaiuolo, che Caterino fece da “bacchetta” al commando mafioso, studiando le mosse di Mario Romito e pedinando il boss rivale fino alla vecchia stazione dismessa di San Marco in Lamis, luogo dell’agguato. E sarebbe stato sempre Tomaiuolo a confermare che Caterino faceva parte del clan Li Bergolis, affiliato ad Enzo Miucci, quest’ultimo indicato dal basista come un vero e proprio “maestro”.

In sentenza i giudici citano anche Angelo Tarantino, pregiudicato di San Nicandro Garganico amico di Caterino con il quale venne visto presso la masseria Scola, struttura situata a poche centinaia di metri dal luogo dell’attentato e location verso la quale fuggirono i killer. “Dall’analisi del traffico telefonico dell’utenza in uso al Tarantino – si legge – emergeva che, il giorno 9 agosto 2017, nei momenti in cui si stava consumando il quadruplice omicidio, venivano effettuati dei tentativi di chiamata da parte dell’utenza in uso a Matteo Lombardi detto ‘Lombardone’ (secondo gli inquirenti elemento di spicco della criminalità garganica) ma il cellulare del Tarantino, il giorno dell’eccidio, risultava spento o non raggiungibile”.

Il pentito Della Malva e la risposta dei rivali

A Quitadamo si aggiungono le dichiarazioni di un altro pentito, il viestano Danilo Pietro Della Malva alias “U’ Meticcio”, uomo di fiducia del boss Marco Raduano detto “Pallone”. Anche Della Malva ha deciso di chiudere con la “carriera criminale” iniziando un percorso di collaborazione con gli inquirenti.

L’uomo “spiegò – riportano i giudici nella sentenza – di fare parte del clan accanto ai boss Marco Raduano, Mario Luciano Romito, Pasquale Ricucci (in seguito assassinato), Matteo Lombardi (detenuto, soltanto omonimo di ‘Lombardone’), Pietro La Torre (detenuto). Il giorno dell’eccidio si recò a Mattinata nel parcheggio in uso a Francesco Scirpoli, altro componente del suo clan. Ipotizzarono subito che gli autori erano da individuarsi tra i componenti del clan avversario dei Li Bergolis. Successivamente partecipò ad un summit, unitamente a Raduano e altra persona che si tenne in un bosco sul territorio di Mattinata, alla presenza di Matteo Lombardi e Pasquale Ricucci. In quella occasione si rafforzò l’ipotesi che i responsabili fossero del clan Li Bergolis. Poco tempo dopo Della Malva venne convocato dal Ricucci e dal Lombardi, i quali li chiesero di eseguire un omicidio a Manfredonia, di una persona, di cui non fecero in quell’occasione il nome, che aveva partecipato alla strage. Successivamente in prossimità dell’agguato, gli fecero il nome della persona da eliminare, Caterino (che non conosceva), dicendogli che faceva parte del clan Li Bergolis ed era molto vicino a Miucci. Gli riferirono che gli avrebbero mostrato delle foto. Gli fornirono anche gli orari in cui usciva di casa la mattina ed altri particolari. A lui però non interessava commettere delitti al di fuori del comune di Vieste in cui risiedeva e per sottrarsi alla richiesta, Della Malva decise di recarsi in Spagna” dove tempo dopo venne arrestato nell’ambito di un’operazione antidroga.

Nonostante il rifiuto di Della Malva, un commando mafioso tentò di uccidere Caterino il 18 febbraio 2018 a Manfredonia ma il basista scampò miracolosamente alla morte anche a causa di un guasto all’auto dei sicari. Per questa vicenda è stato condannato a 12 anni di reclusione il foggiano Massimo “Massimino” Perdonò del clan Moretti, gruppo alleato dei Lombardi-Scirpoli. Altri, tra cui Raduano, sono attualmente sotto processo. (In foto, Miucci e Perna; sullo sfondo, la strage di San Marco)

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