Un terremoto ha scosso il mondo di Michele Di Bari, ex prefetto originario di Mattinata, capo del dipartimento Immigrazione del Viminale, scelto da Salvini quando il leghista era ministro degli Interni. La moglie Rosalba Bisceglia è indagata nell’inchiesta anticaporalato “Terra Rossa” di Procura di Foggia e Arma dei Carabinieri. Per lei obbligo di dimora e presentazione alla pg. Motivo per cui Di Bari si è dimesso.
Nell’ordinanza di 118 pagine, la gip Grippo ricostruisce il presunto asse tra l’imprenditrice agricola, amministratrice dell’azienda omonima, Matteo Bisceglia e il gambiano Bakary Saidy (condotto in carcere), quest’ultimo “quale intermediatore illecito e reclutatore, trasportatore e controllore della forza lavoro”. Matteo Bisceglia sarebbe invece il “gestore degli operai della società amministrata da Livrerio Bisceglia Rosalba (unitamente a Maria Cristina ed Antonella) denominata Azienda Agricola Bisceglia S.S”.
Secondo l’impianto accusatorio, la manodopera sarebbe stata “costituita da decine di lavoratori di varie etnie allo scopo di destinarla – riporta l’ordinanza – alla coltivazione di terreni agricoli, sottoponendo i lavoratori alle condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie”.
Si tratterebbe, infatti, di persone “pescate” dalla baraccopoli di Borgo Mezzanone (foto sopra). Saidy avrebbe reclutato i braccianti su richiesta di manodopera avanzata da Bisceglia. L’imprenditrice avrebbe comunicato “telefonicamente il numero di lavoratori necessari sui campi”, dove i lavoratori sarebbero stati controllati e gestiti da Matteo Bisceglia, e assunti tramite documenti forniti da Saidy. Il caporale avrebbe ricevuto “il compenso da Livrerio Bisceglia” per poi distribuirlo e incassare “l’importo di 5 euro da ogni bracciante per l’attività di intermediazione”.
L’impiego della manodopera sarebbe avvenuto “in violazione dei contratti collettivi nazionali (o territoriali) stipulati dalle organizzazioni sindacali e, comunque, in maniera gravemente sproporzionata rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato, in quanto i lavoratori venivano retribuiti con la somma variabile dalle 5,70 euro ad ora, a fronte di una giornata lavorativa di circa 8 ore ed il pagamento avveniva anche conteggiando il numero di cassoni raccolti”.
Bisceglia si sarebbe preoccupata di adottare una serie di “accorgimenti” a causa di alcuni controlli dell’Ispettorato: “Ci sent… domani mattina noi andiamo in banca perché l’Ispettore del Lavoro mi ha detto che non posso fare in altro modo… non posso dare soldi in contanti… perché c’è stata anche l’ispezione… quindi… va bene…”.
“La Livrerio Bisceglia – si legge nelle carte dell’inchiesta – risultava consapevole delle modalità della condotta di reclutamento e sfruttamento in quanto si confrontava direttamente con il caporale, del quale aveva il numero di telefono; ella si preoccupava di formalizzare le buste paga, ed adottava tutta una serie di ulteriori accorgimenti che evidentemente non avrebbe adottato se non fosse stato per gli avvenuti controlli; chiamava il Saidy, e non i singoli braccianti, per dirgli come e perché era stata costretta a pagare con modalità tracciabili e sempre a costui comunicava, per il tramite del Bisceglia Matteo, che l’importo della retribuzione sarebbe stato superiore a quello spettante, ma che Saidy avrebbe potuto usare la differenza per pagare un sesto operaio che, evidentemente, avrebbe lavorato in maniera irregolare. Quanto accertato durante l’ispezione, le conversazioni intercettate sulla gestione dei lavoratori, sull’ammontare e sulle modalità di pagamento della retribuzione – evidenzia la gip -, appaiono indizi univoci e gravi del ruolo attivo dei Bisceglia nella condotta illecita”. A parere degli inquirenti, l’imprenditrice “non poteva non conoscere il modus operandi di Saidy”.
L’avvocato di Bisceglia: “Assoluta estraneità della mia assistita”
Tramite il suo avvocato, Rosalba Bisceglia si è detta serena e fiduciosa. “I fatti addebitati alla mia assistita, peraltro molto circoscritti nel tempo e nella consistenza (poiché si sarebbero svolti – in ipotesi – in pochissimi giorni e riguarderebbero una quantità esigua di dipendenti), saranno al più presto chiariti nelle sedi competenti – fa sapere il legale foggiano, Gianluca Ursitti -, dove potremo fugare ogni dubbio e, soprattutto, documentare l’assoluta estraneità della mia assistita a qualsivoglia ipotesi di sfruttamento dei lavoratori. D’altra parte, quella dell’azienda è una storia di trasparenza e di legalità con radici antiche. La mia cliente è serena e fiduciosa nell’operato della magistratura”.
Quella volta di Di Bari a Foggia
Nel maggio del 2019, Di Bari si recò in visita a Foggia proprio per parlare del caso migranti nel ghetto di Borgo Mezzanone. Ma preferì glissare alla domanda de l’Immediato sulla sua posizione all’interno del Dipartimento Immigrazione. Lui, storicamente vicino alla Chiesa (è nel cda di Casa Sollievo), da sempre favorevole all’accoglienza, venne chiamato ad attuare le politiche di Salvini, solitamente spigolose con i migranti. “I funzionari dello Stato devono applicare le leggi sempre – chiosò -. Ciò che vogliamo fare, anche qui, è creare presupposti per ridare legalità al territorio”.