Un anno dalla folle fuga dal carcere di Foggia. Il 9 marzo 2020, 72 detenuti uscirono dalla porta principale del penitenziario al termine di una rivolta scoppiata per l’emergenza Covid. Il tutto a poche ore dal lockdown che fermò l’Italia intera. Scene da film, riprese dai mass media di tutto il mondo. Molti prigionieri rientrarono in cella il giorno stesso, altri rapinarono alcuni automobilisti per fuggire lontano dalla città. Tra gli evasi anche personaggi di spicco della criminalità locale, ritenuti contigui ai clan della provincia di Foggia. Alcuni di loro vennero raggiunti e arrestati dalla squadra mobile il 14 aprile successivo in una cava di Apricena. Si erano dati alla latitanza e al momento del blitz stavano partecipando ad un vero e proprio summit malavitoso. Stessa sorte per gli altri evasi, riacciuffati a stretto giro e trasferiti nelle case circondariali di tutta Italia. Cristoforo Aghilar fu l’ultimo ad essere catturato; il killer di Orta Nova venne arrestato dai carabinieri il 29 luglio, mentre si nascondeva in un casolare nella Bat. Fu un fantasma per quasi cinque mesi.
Ma qual è la situazione oggi nel carcere di Foggia? Prima della “grande fuga”, c’era un sovraffollamento record, oltre 600 detenuti rispetto ai 365 posti regolamentari. Oggi i carcerati, anche per via dei trasferimenti post evasione, sono poco più di 500. Una situazione non facile ma meno allarmante rispetto a quella di un anno fa. Scarseggiano, però, i poliziotti penitenziari, dovrebbero essercene 261, ce ne sono circa la metà.
In un 2020 contrassegnato dalla pandemia, il carcere di Foggia ha anche perso il reparto di “Alta Sicurezza”, chiuso ancor prima della maxi evasione. L’Alta Sicurezza, detta “As”, era riservata ai detenuti “in odor di mafia”; a Foggia erano presenti alcune decine di ristretti ritenuti contigui ai clan locali. Negli anni, l’Alta Sicurezza di via delle Casermette ha ospitato elementi di rilievo della criminalità di Capitanata. In quelle celle, infatti, transitarono esponenti di vertice della Società Foggiana e della mafia garganica e sanseverese, tutti trasferiti altrove.
Ma anche tra i “detenuti comuni” si celavano – e forse si celano ancora – uomini vicini alla malavita organizzata, come quelli arrestati nella cava di Apricena. Personaggi che non avendo condanne per mafia, né accuse di reati aggravati dalla mafiosità, vengono collocati insieme a tutti gli altri.
Dal 9 marzo 2020 ad oggi si sono susseguite le proteste dei sindacati e i sopralluoghi dei vertici del mondo penitenziario italiano per l’annoso problema del sovraffollamento. Lo scorso ottobre il sindacato della penitenziaria Spp è tornato a chiedere interventi seri ed immediati: “È necessario riportare i numeri a quelle che sono le capienze massime della struttura”, aveva detto il rappresentante Di Giacomo. Ma nonostante gli appelli, la città di Foggia continua a rappresentare una delle realtà carcerarie più complesse di tutto il paese.