La mafia foggiana stritola imprenditori edili e commercianti. Ma c’è chi si ribella. È quanto emerge dalle carte dell’ultima operazione di DDA e squadra mobile, “Decimabis 2”. Coinvolti il 67enne boss Federico Trisciuoglio alias “Enrichetto lo zoppo” e i suoi sodali, Aldo Checchia, 29 anni e Domenico La Gatta detto “Mimmo”, 47 anni. Nomi altisonanti tra le vittime, minacciate brutalmente per le tangenti.
Nelle 171 pagine redatte dalla DDA spuntano intercettazioni eloquenti. Trisciuoglio e Checchia sono coinvolti nella tentata estorsione aggravata ai danni dell’imprenditore Marco Insalata. Il boss “in qualità di mandante” e Checchia “esecutore materiale”. La minaccia consistita “nell’avere proferito – si legge – il Checchia all’indirizzo della persona offesa frasi del tipo ‘mi conosci a me… mi conosci a me… è da Natale che ti aspettiamo... manco a Natale ti sei fatto sentire… non ti sei più fatto vedere… non sei andato più da Enzino… da Natalino non sei andato… che fai finta di non capire… che devi fare… ti muovi… ti devi dare una mossa'”. Secondo gli inquirenti, i malavitosi avrebbero compiuto “atti idonei, diretti in modo non equivoco, a costringere l’imprenditore a consegnare una somma di denaro imprecisata, al fine di procurarsi un ingiusto profitto ai danni della persona offesa, ma l’azione non si compiva per cause indipendenti dalla loro volontà”.
C’è poi l’estorsione aggravata ai danni di Michele Colecchia e della Baby In srl. L’imprenditore, socio dell’attività commerciale, sarebbe stato costretto a versare una tangente periodica di 1000 o 500 euro al mese. Tra le vittime anche Angelo Bruno, alias “Il Pirata”, costretto “a versare una tangente periodica di 3000 euro al mese, al fine di consentirgli di gestire una piazza di spaccio di cocaina”.
E ancora: “Estorsione aggravata ai danni dell’imprenditore edile Alfonso Russo“. Trisciuoglio e Checchia lo avrebbero costretto a versare “una somma di denaro di quantità imprecisata, non inferiore a 27.000 euro, così procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la persona offesa”. Tra le vittime dei boss anche un altro imprenditore edile, Antonio Rosania, minacciato e indotto a “versare una somma di denaro di quantità imprecisata”.
Nella lista il titolare di “Carni e Affini”, Nicola Cardone che avrebbe consegnato una somma imprecisata. La vittima sarebbe stata avvicinata da R.S., un intermediario di Trisciuoglio e Checchia. Nelle carte, spunta inoltre la tentata estorsione aggravata ai danni dell’imprenditore Vincenzo Rendine. La telefonata “estorsiva” di Checchia alla vittima risale allo scorso 12 settembre: “Vedi che i 10 giorni stanno passando… Ci vediamo… sentimi un poco a noi… non fare l’eroe… che poi sono costretto… che… siamo costretti che dobbiamo andare a domandare… Dobbiamo andare dall’ex moglie tua… e da tua figlia…non ci fare fare brutte cose… Hai capito o no… vedi di preparare i soldi… vedi… Oh… vedi che diventiamo cattivi… eh…”. Poi il messaggio: “Enzo, i 10 giorni sono passati, preparati, tu fai l’eroe e mo stai attento tu e la tua famiglia e soprattutto a tua moglie e tua figlia”. Messaggi che – a causa di un’anomalia del sistema – non vennero però recapitati alla persona offesa, ma comunque intercettati. I boss contattarono tramite messaggio anche l’ex moglie: “Avvisalo, i dieci giorni sono passati. Ora passate i guai anche voi”.
Infine, la tentata estorsione aggravata ai danni dell’imprenditore Luigi Boscaino. Anche per lui 10 giorni di tempo per saldare. “Vedi che tieni 10 giorni di tempo… vedi se prepari i soldi… Oh… non fare la parte che non senti… vedi che (conversazione disturbata)… non ti facciamo neanche azzuppà… prepara i soldi…”. In seguito, il messaggio: “I 10 giorni sono passati. Prepara 50mila euro, se no tu a Manfredonia ci muori, hai capito“ e, immediatamente dopo, con una telefonata: “Hai capito che muori a Manfredonia se non porti i soldi”. L’azione criminale non andò a termine “per cause indipendenti dalla loro volontà”.
Gli imprenditori coraggiosi
Qualcuna delle vittime – per maggiore tutela non indicheremo i nomi – si è ribellata ai propri aguzzini, denunciando tutto agli inquirenti. Lo riportano i magistrati della DDA: “Il procedimento ha tratto origine dalla denuncia” di un imprenditore che riferì “di aver subito minacce da un soggetto all’epoca a lui ignoto, ma successivamente identificato nell’odierno indagato Checchia Aldo”.
“Dalle indagini – si legge ancora – è emerso il ruolo di Checchia quale longa manus e principale braccio destro del boss Federico Trisciuoglio, storicamente a capo dell’omonima batteria, radicata all’interno dell’organizzazione mafiosa denominata Società Foggiana, la cui esistenza e operatività nel territorio foggiano è attestata da plurime sentenze passate in giudicato”.
“Non solo. Grazie all’attività di indagine a carico del Checchia, scaturita dalla denuncia dell’imprenditore, si è giunti all’accertamento delle numerose fattispecie estorsive contestate. Inoltre, si è potuto risalire al Checchia quale autore materiale dei due tentativi di estorsione commessi ai danni di altri imprenditori”. Inoltre, i soci di una delle vittime avrebbero “contribuito fattivamente alle indagini”.
Nella stessa direzione, infine, altri due imprenditori che prontamente avrebbero “denunciato i tentativi di estorsione subiti, seppur non potendo, attese le modalità con cui i delitti venivano commessi, contribuire all’individuazione degli autori”. Di diverso avviso le restanti vittime che anzi avrebbero avvisato il boss delle indagini in corso. Ma comincia ad aprirsi uno squarcio in quel velo di omertà che per troppo tempo ha caratterizzato e rafforzato le batterie della “Società Foggiana”.