Foggia piange don Pasquale Casillo, storico patron del club rossonero. Il “re del grano” è deceduto la notte scorsa a Lucera dove era ricoverato. Quella di Casillo è sempre stata una figura controversa, passata in pochi anni dalle luci della Serie A alle aule buie dei tribunali. L’imprenditore di San Giuseppe Vesuviano ha regalato pagine indelebili al mondo del calcio rossonero formando un trio vincente con il dirigente Peppino Pavone e l’allenatore boemo Zdenek Zeman. Un trio che nel 2010 si ricompose con il sogno di rilanciare le sorti del Foggia. Casillo e soci misero in piedi una rosa giovane e piena di talento (Insigne e Sau, i pezzi pregiati) ma il sogno della promozione in B svanì tra rabbia e polemiche e il progetto terminò nel peggiore dei modi.
Negli ultimi dieci anni Casillo ha rappresentato l’immagine dell’uomo solo, stanco e invecchiato. Alle prese con i fantasmi del passato e le battaglie giudiziarie. Scrisse anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Mi hanno accusato ingiustamente di mafia. Ho perso tutto e sono stato assolto. Ora rivoglio dignità”, diceva circa un anno fa. Difatti Casillo fu assolto da alcuni dei processi che lo hanno visto alla sbarra per circa venti anni.
“Sono Pasquale Casillo, imprenditore italiano attivo nel settore del grano, del calcio e del commercio, salito agli onori della cronaca alla fine degli anni ’80”, affermò in una lettera lo storico presidente rossonero. “La lettera che mi pregio di inviarvi, è stata spedita dalla Confindustria di Foggia, mia città adottiva, a tutti i loro associati. La invio affinché venga fatta chiarezza una volta per tutte, sulle mie vicende giudiziarie e soprattutto personali. Dopo 20 anni di ingiusta persecuzione subita da parte dello Stato Italiano, tutte le accuse nei miei confronti sono cadute e sono andate in prescrizione, senza che si arrivasse nemmeno ad un solo processo contro di me! Il mio è l’accorato appello di un cittadino italiano, che dopo tanti anni di battaglia, ha visto restituita la sua dignità di uomo, padre ed imprenditore. La mia storia, alla fine, è una storia di riscatto, nonostante tutto”.
La lettera di Confindustria Foggia firmata dal presidente, Gianni Rotice: “Sentenze finalmente passate in giudicato lo hanno assolto da reati anche gravi, restituendogli la dignità dovuta, ma non ancora l’onorabilità nella coscienza collettiva della comunità nella quale vive ed opera. Di tali accadimenti riteniamo doveroso informare tutte le nostre aziende associate, nella consapevolezza che sensibilità e solidarietà siano valori irrinunciabili, in modo particolare quando talune vicissitudini vanno oltre la vita delle aziende e coinvolgono anche quella delle persone e delle loro famiglie”.
L’impero di don Pasquale
Prima di cadere in disgrazia, don Pasquale Casillo da San Giuseppe Vesuviano era il “Re del Grano”, uno degli uomini più potenti del Mezzogiorno d’Italia. Presidente di Confindustria Foggia, numero uno del Foggia Calcio negli anni della Serie A e a capo di un vasto impero imprenditoriale assieme al fratello Aniello. Gli affari col grano lo resero tra i più ricchi dello Stivale ma fu grazie al calcio che Casillo raggiunse la celebrità. Vulcanico come pochi, l’allora re del grano stabilì con il direttore sportivo Peppino Pavone e l’allenatore boemo Zdenek Zeman un mix formidabile che portò i satanelli all’apice della loro storia calcistica. Poi la crisi, il fallimento e il ritorno nel 2010. Tutto inutile, don Pasquale non tornò mai quello degli anni ’90. Colpa della giustizia? Lui ha sempre professato la sua innocenza. Ad aprile 2015 il figlio Gennaro chiamò in causa persino il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. “Per un sequestro preventivo errato mio padre ha perso un gruppo con 2000 dipendenti e 20 anni di vita – scrisse su Twitter -. Chi ci chiede scusa?”
Gennaro Casillo fece riferimento agli ultimi 20 anni di sventure di don Pasquale, un tempo proprietario di ben 58 società, almeno fino al 21 aprile 1994, data del suo arresto. Quel giorno Casillo aveva 46 anni e il suo Foggia stava lottando per entrare in Coppa Uefa; mancavano due partite alla fine del campionato e grande era l’attesa nel capoluogo pugliese. Il fatturato del gruppo di Casillo era, alla data dell’arresto, di 2.300 miliardi di vecchie lire, una cifra considerevole che lo metteva tra i più importanti gruppi industriali del nostro Paese.
Ma da quel 21 aprile la vita di Pasquale Casillo non fu più la stessa. Improvvisamente i sogni del Foggia Calcio si infransero con una sconfitta per 1 a 0 contro il Napoli, diretta contendente della squadra pugliese per un posto in Europa. E così anche la carriera imprenditoriale di Casillo, che fino a qualche tempo prima era stato presidente degli industriali di Foggia, si sgretolò alle 10 del mattino del 21 aprile del 1994. Un arresto spettacolare di fronte ai familiari, compreso proprio il figlio Gennaro che all’epoca aveva 9 anni.
Pesantissima l’accusa: concorso esterno in associazione di stampo mafioso. L’inchiesta partì dalle rivelazioni di Pasquale Galasso, pentito della camorra affiliato con Carmine Alfieri, che aveva raccontato di presunte collusioni tra Casillo e la criminalità organizzata. Fu una tegola spaventosa quella che si abbatté sulla famiglia Casillo; una tegola che non ebbe semplicemente una deriva legata ad una giustizia penale ma anche civile. Immediatamente e automaticamente furono messe sotto sequestro tutte le società del gruppo che faceva riferimento a Casillo.
Su richiesta del Banco di Napoli, finirono in tribunale i libri della capogruppo “Casillo Grani snc” nonostante alcune delle primarie banche italiane avessero proposto un finanziamento ponte di 100 miliardi di lire che vennero rifiutate dal nuovo amministratore giudiziario. Casillo rimase in carcere undici mesi, dichiarandosi innocente e chiedendo, nel 1994, di essere processato immediatamente. Questo non avvenne e don Pasquale fu al centro di una serie lunghissima di rinvii legati alla difficoltà nel determinare la competenza del tribunale di riferimento.
Così si passò da Napoli a Bari per poi finire a Roma ed infine individuare il tribunale di competenza nel tribunale di Nola, in provincia di Napoli. Ma la vicenda penale di Casillo s’incrociò fatalmente sia con la propria vita privata e familiare che con la vicenda legata al fallimento delle sue società gestite da un amministratore giudiziario che si poneva soltanto il problema di vendere ciò che in una vita la famiglia Casillo aveva costruito.
La rinuncia del finanziamento ponte nel maggio del 1994 già deliberato dall’Abi fu la conferma della mancanza di volontà da parte del nuovo gestore giudiziario di salvare le aziende; aziende che avevano, nell’ultimo bilancio un fatturato di 2.300 miliardi di vecchie lire contro un debito di 400 miliardi.
Sono serviti 13 anni fino al 16 febbraio del 2007 per vedere assolto Pasquale Casillo “per non aver commesso il fatto”. Ma l’imprenditore campano non vide finire i propri guai con la giustizia, questa volta civile. Infatti, pur assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, l’imprenditore campano non si riprese mai da quella batosta e anche il suo tentativo di rientrare nel mondo del calcio sei anni fa, con Zdenek Zeman e Peppino Pavone al seguito, si rivelò un fallimento.