La forza intimidatoria della mafia foggiana emerge con prepotenza nell’episodio riguardante il mondo del calcio. Nelle carte dell’ordinanza “Decima Azione” che ha portato all’arresto di 30 persone, si parla apertamente di pressioni sulla società rossonera Foggia Calcio. Si legge infatti che uomini del clan Sinesi-Francavilla, in particolare il 30enne Francesco Pesante detto “u sgarr”, “impose al Foggia l’affiliazione sportiva di persone da lui indicate. Infatti – scrivono i giudici – durante una conversazione, Pesante compulsò il patron del Foggia Sannella, per accontentare un suo amico. Il dirigente tranquillizzò Pesante riferendo che avrebbe fatto sottoscrivere il contratto alla persona indicata, sebbene non si comportasse bene e, al riguardo Pesante riferì che aveva già avuto il via libera dal direttore sportivo Di Bari che avrebbe convinto anche l’allenatore De Zerbi, indicato come “il bresciano”. Sannella informò Pesante che la persona indicata sarebbe andata a fare il ritiro, perchè addirittura al mister piaceva come giocava. Al contrario – evidenziano ancora i giudici nell’ordinanza – ad onta delle doti tecniche riconosciute esistenti dal De Zerbi, l’attività intercettiva ha evidenziato che Luca Pompilio (ingaggiato dalla società Foggia Calcio, cognato di Ciro Spinelli, detenuto per tentato omicidio) è in realtà privo di doti sportive degne di nota (sulla condizione fisica non è pronto per quei ritmi), tanto che al momento della contrattualizzazione col Foggia (sebbene sia nato nel 1992) era privo di contratto e, dopo la sottoscrizione del contratto verrà dato in prestito alla società Melfi (dove gioca tuttora). Appare, quindi evidente che la sottoscrizione del contratto con il Pompilio, nonostante l’assenza di doti sportive degne di rilievo – sottolineano nell’ordinanza -, sia stata conseguenza delle richieste di Pesante che aveva manifestato la sua forza, rappresentando di poter avere libero accesso negli spogliatoi: ‘Ma gli ho detto vedi che io vengo giù agli spogliatoi e prendi un sacco di botte, ti dò forte’“.
La replica di De Zerbi
“Contesto fermamente le sommarie valutazioni riguardanti la mia persona e la mia professionalità in merito alle indagini della Dda che hanno determinato i provvedimenti del gip di Bari, coinvolgendo anche il Foggia per il tesseramento di due calciatori”. Così l’ex tecnico rossonero, ora al Sassuolo, Roberto De Zerbi, in una nota affidata al suo legale, Eduardo Chiacchio. Secondo il provvedimento del gip, i clan avrebbero imposto agli ex dirigenti della società l’ingaggio di due giocatori, oltre a Pompilio anche il figlio di Rodolfo Bruno detto “Cecato”, boss dei Moretti-Pellegrino-Lanza ucciso lo scorso 15 novembre.
“Mai accettato imposizioni da nessuno – precisa De Zerbi tramite il suo legale – neppure dai dirigenti delle società in cui ho militato. A Foggia tutti sapevano che non ero influenzabile o ricattabile. Devo precisare che uno dei due non è stato mai da me allenato, mentre l’altro (il figlio di Bruno) fu aggregato congiuntamente ad altri ragazzi della squadra Juniores nelle ultime gare del campionato. Nella stagione successiva non fu da me ritenuto idoneo per la prima squadra”, prosegue De Zerbi nelle parole affidate al suo avvocato. “Mi sono limitato a fare l’allenatore e non avevo poteri su calciatori che la società voleva tesserare per poi mandarli in prestito in altre squadre – afferma ancora il tecnico – Mi dispiace che venga tirato in ballo il mio nome per dare maggiore risalto a notizie di cronaca, lontanissime dal mio operato e dal mio modus operandi”.
(in alto, da sinistra, Pesante, Pompilio e Bruno)