Violenza su minore, la sentenza che inchioda Mangano: “Lingua in bocca, la palpava e le infilava le mani sotto la gonna”

Bersaglio delle molestie una ballerina della sua scuola di danza. Scenario dell’episodio Manfredonia



Dopo la condanna a 3 anni e 4 mesi per violenza sessuale, sono state rese note oggi le motivazioni della sentenza nei confronti di Michele Mangano, il ballerino di Monte Sant’Angelo noto al pubblico come il “Re della tarantella garganica”.

Vittima della violenza una ballerina della sua scuola di danza. Scenario dell’episodio Manfredonia. Mangano era imputato perché, “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso – si legge nel documento -, con violenza consistita nel tirarla con forza contro di sé, nel passare il braccio destro dietro la testa, nell’accostarla con forza a lui, nell’inserire con forza la lingua dentro la bocca e nel tenerla stretta, costringeva L.T. a subire atti sessuali; in particolare il Mangano mentre si trovava in auto con L.T., di anni 17, parcheggiava il mezzo in una piazza buia e si avventava sulla minore e, in particolare, prima faceva passare il braccio destro dietro la testa in modo da avvicinare la minore al suo corpo e poi le inseriva, con forza, la lingua nella bocca e, benché la vittima cercasse di allontanarsi e divincolarsi, la tratteneva con la forza impedendole di muoversi e poi la faceva salire, sollevandola, sulle sue gambe cercando di toglierle la camicia e nel frattempo la palpava e le infilava le mani sotto la gonna cercando di toccarla tra le gambe e, a causa delle continue resistenze della minore, interrompeva la condotta e ciò mentre la ragazza cercava di urlare e si divincolava con forza”.

Le motivazioni

Ecco qui di seguito riportate le quattro pagine con le motivazioni alla base della sentenza di condanna per il ballerino che, ricordiamolo, scelse la via del rito abbreviato (sconto di un terzo della pena).


“La prova “regina” dell’accusa (la prospettazione della parte lesa) ha brillantemente superato l’indispensabile vaglio di attendibilità oggettiva e di credibilità soggettiva, dimostrandosi più forte anche delle diverse obiezioni sollevate dalla difesa dell’imputato (avv.Innocenza Starace, ndr). Sia in denuncia che in sede di incidente probatorio la vittima (all’epoca dei fatti diciassettenne) ha fornito una versione dettagliata e coerente di quanto sarebbe accaduto nella tarda serata del 28 maggio 2016. Alunna dell’accademia di ballo gestita dall’imputato, L.T., a suo dire, era rimasta sola con Mangano in un furgone che l’imputato aveva noleggiato per andare (con la moglie e altri 4 allievi della scuola) a gestire l’animazione in un ristorante di Ischitella, furgone che Mangano aveva utilizzato per riaccompagnare a casa tutti tranne L.T., che gli aveva chiesto un “passaggio” al locale “Melagodo” di Manfredonia, dove la ragazza doveva andare per la festa di compleanno di una sua amica.

Era stato a questo punto che, a detta di L.T., l’imputato, rimasto solo con lei, aveva “tirato dritto” oltre il “Melagodo” per fermarsi in una piazzetta buia (a circa 200 metri dal locale) e compiere avance sessuali che il 4 novembre 2016 (in sede di incidente probatorio) la ragazza ha così efficacemente descritto: “Ha messo un braccio dietro il mio collo… mi ha ficcato la lingua in bocca… io ero pietrificata, infatti lui dopo si è staccato, mi ha preso il braccio e mi ha fatto sedere sulle sue gambe. Ha cercato di mettere la mano nella mia camicetta, che però era troppo stretta e quindi non ci è riuscito, e ha cercato anche di alzarmi la gonna ma era lunga e quindi anche lì ha tentato invano di mettermi la mano dentro“. E così l’imputato aveva desistito e aveva riaccompagnato L.T. al “Melagodo” per poi andar via col furgone.

In sé e per sé, il racconto di L.T. non ha rivelato discrasie. Il tentativo della difesa del Mangano di prospettare contrasti tra la versione della denuncia e quella dell’incidente probatorio si è appuntato su un unico aspetto: fu il Mangano a proporre alla ragazza (una volta scesi tutti gli altri occupanti il furgone) di sedersi al suo fianco, oppure fu la ragazza a prendere questa iniziativa? Non è certo un aspetto decisivo, perché quello che conta è ciò che fece Mangano dopo. Ma, affrontando pure di petto la questione, L.T. non è sembrata per nulla contraddittoria. In denuncia disse che fu l’imputato ad invitarla a “passare davanti”. All’incidente probatorio, L.T. ha aggiunto solo qualche dettaglio, affermando che l’ultima ragazza scesa dal furgone disse di passare avanti e l’imputato di rinforzo disse: “sì, infatti, vieni avanti”.

Anche la paventata contraddizione tra il racconto di L.T. e lo stato dei luoghi non sembra sussistere. Per la difesa dell’imputato, quel parcheggio isolato in cui il Mangano avrebbe compiuto le avance era in realtà uno spiazzo frequentato, dotato di bagni pubblici, e tappa obbligata nel percorso verso il “Melagodo”. La vera realtà, però, superiore ad ogni ragionevole dubbio, è stata rivelata dalle telecamere dell’impianto di videosorveglianza che inquadrano l’area del porto turistico di Manfredonia in cui è compreso lo spiazzo “incriminato”. Ebbene, si tratta di una piazzetta priva di illuminazione e ubicata dopo il locale dove l’imputato avrebbe dovuto accompagnare L.T., a integrale riscontro della versione della parte lesa.

Clou delle obiezioni difensive, i tempi ristretti (quattro minuti) e le precarie condizioni dì salute del Mangano (con certificate ridotte funzionalità ad un braccio) che renderebbero implausibili le avance dell’imputato per come descritte da L.T.. Anche e soprattutto queste obiezioni sono da respingere: quattro minuti (certificati pure dalle predette telecamere) sono più che sufficienti per imporre un bacio in bocca e tentare di infilare le mani sotto la camicetta e la gonna della “preda”, né vi sono elementi che permettano di quantificare lo sforzo che occorresse all’imputato per far sedere L.T. sulle sue gambe”.

Tentativi della difesa e contraddizioni

“L’ultimo tentativo di screditare L.T. è stato esperito dalla difesa del Mangano “incartando” (grazie alla legge sulle investigazioni difensive) le dichiarazioni di quattro amiche della p.o. — che descrivono una L.T. euforica e poco lucida perché, a suo stesso dire, reduce da una festa (quella di Ischitella) dove aveva “alzato il gomito”. A far fallire questo ultimo tentativo, però, ha pensato lo stesso imputato, il quale, nel corso dell’interrogatorio di garanzia dell’1 agosto 2016, pur respingendo gli addebiti, non ha mai fatto espressa menzione di un’eventuale “euforia alcolica” di L.T.: “questa ragazza (ha detto il Mangano, ndr) ad un tratto… io sto con le mani al volante e mi cade così, come se fosse che io vado a Monte Sant’Angelo e mia figlia piccolina mi cade addosso; io ho frenato e frenando mentre l’ho guardata ho detto: ‘L. che ti è successo?’…lei si è aggrappata un po’ al collo, come se fosse che chiedesse aiuto, e però insistentemente mi tirava e io mi allontanavo”.

Clamorosa, poi, è la contraddizione tra la versione dell’imputato (che ha negato di essersi mai fermato con il furgone) e le immagini della videosorveglianza, che hanno inquadrato il furgone noleggiato dal Mangano mentre bypassa il “Melagodo”, resta parcheggiato per 4 minuti nella predetta piazzetta, e ritorna al predetto locale, esattamente come raccontato dalla L.T..

Ad abundantiam, può essere citato il racconto di un’amica della parte offesa che, sentita il 9 giugno 2016, ha detto che L.T. si presentò (poco dopo la mezzanotte del 29 maggio 2016) al “Melagodo” visibilmente sconvolta ed agitata, confidandole che Mangano, il suo maestro di danza, mentre la stava accompagnando con un furgone aveva tentato di abusare di lei (baciandola e toccandola nelle parti intime), confidenza ripetuta da L.T. il giorno dopo (presso la piazza del mercato di Manfredonia) con annesso pianto liberatorio e decisione di dire tutto a suo padre. 

Per tutte le ragioni fui qui illustrate, non ci sono ragionevoli dubbi sulla colpevolezza dell’imputato. Questi non è meritevole né delle attenuanti generiche né dell’ipotesi attenuata di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p.: sebbene la condotta dell’imputato si sia arrestata ad una fase alquanto antecedente a quella che un tempo si denominava “congiunzione carnale”, ciò nonostante l’avere (il Mangano) approfittato in modo strumentale del proprio ruolo di docente inserisce in questa vicenda un tasso di riprovevolezza che osta ad una valutazione dei fatti in termini di “minore gravità” o compatibili con l’art. 62 bis c.p. 

La pena base va, dunque, commisurata ai limiti edittali del primo comma del citato art. 609 bis senza ulteriori riduzioni che non siano quelle connesse alla scelta del rito. Quanto detto a proposito della fase alla quale si è fermata la condotta dell’imputato giustifica l’irrogazione del minimo edittale (5 anni di reclusione). La pena, finale è ovviamente incompatibile con qualsivoglia beneficio. Gli atti non consentono di liquidare i danni neppure parzialmente, sicchè sul punto si rimettono le parti davanti al giudice civile. Le spese da rimborsare ex art. 541 c.p.p. si liquidano in euro 1140,00 (euro 405 per la fase di studio; euro 360 per l’atto di costituzione di parte civile depositato nella fase introduttiva; euro 675 per la fase decisionale). Pene accessorie come per legge”.

La condanna

“Mangano è stato ritenuto colpevole del reato ascritto, e, operata la riduzione per la scelta del rito, condannato alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e al rimborso delle spese della parte civile (liquidate in euro 1440,00 oltre IVA e CAP), al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separata sede), all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, alla sospensione dell’esercizio della professione di artigiano, all’interdizione perpetua da incarichi c/o strutture frequentate in prevalenza dai minori e da uffici di tutela/curatela/amministrazioni di sostegno”.



Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come