Si è aperta ieri, 25 novembre, la stagione di prosa del Teatro Umberto Giordano. Nella giornata contro la violenza sulle donne, in scena due signore del teatro e del cinema italiano, Iaia Forte e Isabella Ferrari che, quasi ininterrottamente sul palco, hanno agito le piccole brutalità tra due sorelle. La sorellanza nello spettacolo è solo comune sofferenza per un passato felice, ormai troppo lontano. Con un complesso di Elettra insormontabile, trasferito nella vita adulta nei confronti dei successi mancati. Invidie, violenze, nascondimenti, soprusi, ma anche senso di colpa e qualche velata ironia. “Sisters, come stelle nel buio” è una commedia rivestita di allegria e malinconia, dai risvolti ironici e grotteschi, dove due sorelle convivono con i ricordi della loro vita in arte, mentre la loro esistenza scorre nel rancore e nell’incomprensione in una villa troppo grande di Posillipo, fino al momento d’una imprevedibile pacificazione. Dal testo di Igor Esposito, per la regia di Valerio Binasco, Sisters è una black comedy, tra umorismo nero e sofisticata ironia, sebbene spesso queste corde non siano troppo raggiunte dalle due attrici. Il testo dovrebbe far ridere in più di un punto, ma il pubblico a Foggia è rimasto piuttosto freddo, preferendo invece i toni drammatici. Forse a causa di una non troppo collaudata armonia fra le due mattatrici nei tempi comici, si sorride pochissimo.
“Si tratta di due sorelle patologiche: c’è questo padre che infatti ha determinato i loro destini che continua a far sentire il suo influsso. Io sono Regina, la sorella che è stata una cantante prodigio da bambina, mentre Isabella è Chiara, ex attrice cinematografica la cui carriera è stata interrotta da un incidente, per cui è su una sedia a rotelle. Sono io, che tra l’altro soffro di alcolismo, a prendermi cura di lei, in un rapporto costantemente contrastato: diciamo in quel tipo di legame “nè con te nè senza di te“ , quell’odio-amore che caratterizza molti rapporti familiari”, ha detto Iaia Forte in una recente intervista.
L’attrice partenopea è nota per la sua generosità sul palco. E anche in Sisters prevale con le sue capacità istrioniche. La scena è divisa in due monologhi interiori, rappresentati da due letti, due stanze. Quella della malattia di Chiara e quella della follia di Regina, che continua ad esibirsi nelle luci di una ribalta che è solo nella sua testa, insieme alle voci e agli applausi di un pubblico allucinatorio. Il tutto dentro le immagini di infanzia proiettate sul fondo, nelle quali il padre al mare o che compra il gelato è un totem mai rimosso. Sono proprio i momenti canori delle allucinazioni della cantante alla ricerca di una fama tardiva nelle tv locali nel format “Chi si ricorda”, insieme all’intimità della ex attrice fatale che legge le lettere dei suoi ammiratori, le parti migliori dello spettacolo, perché fanno emergere l’inconscio e il mondo interiore delle due protagoniste, avvicinandole così al pubblico. Le scene a due invece rischiano di annoiare: i dialoghi e gli scontri sadici e le urla di Isabella Ferrari restano forse troppo uguali in tutta la pièce, come se non ci fosse una evoluzione dei personaggi, cristallizzati nello loro sventura e nella loro decadenza.
Spiazza di certo vedere la bellissima e sensuale Isabella Ferrari trasformata in uno scricciolo balbuziente, sfortunato e immobilizzato, dalla voce nasale: è fortissima la verticalizzazione che l’attrice riesce a dare alla sedia a rotelle, quando con la campana chiama la sorella accudente. In quell’andirivieni velocissimo, tagliando il palco in diagonale, c’è tutta la “violenza” di chi in una condizione di disabilità chiede e pretende aiuto, collocandosi in una posizione tutt’altro che subalterna.
È uno spettacolo, che disturba. Stasera si replica.