
Dopo i tanti video della senatrice Federica Chiavaroli intervenuta al congresso dell’Aiga, il commercialista Marco Pellegrini, attivista pentastellato e coordinatore del comitato bipartisan “Appelliamoci!”, ha smontato punto per punto il costrutto della politica abruzzese. A l’Immediato, dopo la prima pagina del dorso locale del quotidiano barese, il professionista del M5S ha consegnato una lunga disamina sui fatti e sui numeri, che avvalorano la possibilità della costituzione della Corte d’Appello e della DDA a Foggia.
Le dichiarazioni della senatrice pescarese Federica Chiavaroli non mi meravigliano più di tanto anche se stridono con i dati di fatto, con quanto accertato dalla Commissione antimafia, con quanto evidenziato dal CSM con la Risoluzione del 18.10.2017 e, infine, con quanto dichiarato dal suo diretto superiore qualche giorno fa, ossia dal ministro di Giustizia Orlando.
E’ una delle tante dichiarazioni superficiali che i politici dispensano quando parlano di argomenti che – a dispetto del loro ruolo – non conoscono sufficientemente. E’ proprio questo atteggiamento superficiale e di sottovalutazione che – a mio parere – ha consentito alle mafie foggiane di fare il grande salto, cioè di trasformarsi da bande di balordi nella potente e temuta QUARTA MAFIA, come è stata definita dal Procuratore Nazionale Antimafia dott. Roberti. Da quando mi occupo di questi temi, cioè da due anni e mezzo – prima come semplice cittadino ed ora come presidente del Comitato APPELLIAMOCI! – ho constatato personalmente, e più volte, la poca (o nulla) conoscenza del fenomeno mafioso da parte di molti politici.
Però le dichiarazioni di chicchessia lasciano il tempo che trovano, quel che conta sono i fatti e le attribuzioni e le prerogative di ciascun organo dello Stato. E solo a questi voglio far riferimento.
La senatrice Chiavaroli fonda il suo assunto sulle risultanze della “Commissione ministeriale per il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario”, detta Commissione Vietti (che risale a più di un anno fa) e, in particolare, sul disegno di revisione della geografia giudiziaria in essa contenuta, che propone la diminuzione del numero della sedi di corte d’appello sulla base di un criterio mono-regionale o, in alcuni casi, sovra-regionale. In sostanza, si propone di avere un solo distretto di corte d’appello per regione o un unico distretto per due o più regioni piccole (che individuino macroaree).
La relazione conclusiva della suddetta Commissione Vietti (che, inutile dirlo, non è cogente ma suggerisce un indirizzo che poi deve, eventualmente, essere ricompreso in una legge dello Stato) è stata inviata al C.S.M. Quest’ultimo, con Risoluzione di cui alla Delibera Consiliare del 13.09.2016, ha aderito in astratto alla ipotesi di riduzione dei distretti di corte d’appello ma ha precisato: “ciò senza trascurare quelle situazioni particolari che possano giustificare per un verso l’accorpamento di due distretti, per altro verso, l’istituzione di più distretti per regione ovvero il mantenimento delle sezioni distaccate, in ragione delle specificità territoriali ovvero delle peculiarità delle compagini criminali”.
Che la provincia di Foggia si trovi in una situazione “peculiare”, per ciò che riguarda le compagini criminali, non lo dice il sottoscritto o il Comitato che presiedo ma il C.S.M. e il P.N.A. dott. Roberti (che ha un tantinello di competenza in più della senatrice, in fatto di mafia), che da tempo denuncia la presenza di una feroce e potente e sottovalutata quarta mafia nei nostri territori.
Quindi, anche considerando le indicazioni della Commissione Vietti e della Risoluzione C.S.M. del 13.09.20165, se ci fosse la volontà politica di affrontare nel modo più opportuno la piaga delle mafie foggiane, si potrebbero, in breve tempo, istituire le sedi distaccate della Corte d’Appello, della D.D.A., del Tribunale per i Minorenni e la sezione operativa disclocata della D.I.A. proprio in virtù della particolare situazione esistente in Capitanata, in tema di presenza di feroci compagini criminali di stampo mafioso.
Mi preme sottolineare che le risultanze della Commissione Vietti, e della relativa Risoluzione del C.S.M., sono vecchie di un anno. In questi ultimi mesi, purtroppo, le mafie foggiane hanno alzato il tiro e hanno manifestato ancora di più la loro pericolosità e la, finora, non sufficiente risposta dello Stato. Questa situazione è stata molto ben illustrata nella recentissima e importante “Risoluzione in materia di analisi del fenomeno mafioso e criticità per l’amministrazione della giustizia negli uffici giudiziari operanti nella provincia di Foggia nel settore della criminalità organizzata” di cui alla Delibera consiliare C.S.M. del 18.10.2017 in cui si legge:
– c’è una capillare presenza sul territorio di clan che ricorrono alla estrema violenza come abituale metodo dell’operatività delittuosa, il che ha determinato nella società civile una forte assoggettamento al crimine, che, sul versante giudiziario, si traduce in comportamenti omertosi delle vittime con conseguenti difficoltà investigative e di accertamento giudiziale;
– l’elemento distintivo di tutte le mafie operanti nel foggiano è costituito dalla capacità di coniugare tradizione e modernità. La tradizione è quella del “familismo mafioso” tipico della ‘ndrangheta e della ferocia spietata della camorra cutoliana; la modernità, invece, è la vocazione agli affari, la capacità di infiltrazione nel tessuto economico-sociale, la scelta strategica di colpire i centri nevralgici del sistema economico della provincia, e cioè, l’agricoltura, l’edilizia e il turismo.
– la mafia garganica, operativa dalla fine degli anni ’70, è stata riconosciuta come tale solo nel 2006, con la sentenza Iscaro Carburo. Si presenta come particolarmente cruenta e non si accontenta di uccidere, usando di norma cancellare anche la memoria della vita soppressa. I cadaveri infatti sono spesso bruciati o buttati nelle grave, veri e propri cimiteri di mafia.
– il fenomeno mafioso è, nell’insieme, compatto, feroce, profondamente radicato sul territorio, su cui esercita un vero e proprio controllo militare;
– in taluni contesti del foggiano il radicamento socio-culturale del sistema mafioso è così forte da produrre una generalizzata e assoluta omertà che, talvolta, trasmoda nella connivenza se non addirittura nel consenso. A riprova di questo deve evidenziarsi che, dal 2007, non si hanno collaboratori di giustizia interni ai circuiti associativi.
– dall’inizio degli anni 80 ad oggi, su circa 300 delitti di sangue ascrivibili al contesto mafioso foggiano, l’80% sono ancora irrisolti;
– le denunce sono pressoché inesistenti e i pochi cittadini che le presentano quasi sempre in sede processuale ritrattano.
– gli imprenditori, nel corso degli anni, sono passati da un assoggettamento estorsivo di tipo violento, ad una atteggiamento di volontaria sottomissione al sistema mafioso: spesso, infatti, è lo stesso imprenditore che si reca autonomamente dal mafioso per pagare il pizzo, anticipandone in tal modo la richiesta. E all’origine di tali iniziative degli imprenditori non vi è la finalità di lucrare vantaggi, ma la consapevolezza che l’agibilità del percorso esistenziale, economico, sociale e familiare non può affrancarsi dalla protezione mafiosa.
– la mafia foggiane, per essendo autonome, stabiliscono alleanze tra loro o con le mafie albanesi per l’importazione di tonnellate di marijuana e hashish, che vengono puntualmente sversate sulle coste garganiche ;
– la mafia foggiana ha saputo, inoltre, creare join venture con i Casalesi sia sul versante della contraffazione di milioni di euro di carta filigranata originale, sia per gestire il traffico dei rifiuti dalla Campania alle cave del foggiano. Inoltre, si è infiltrata nella pubblica amministrazione, in particolare nel settore legato a servizio pubblico di raccolta dei r.s.u. e nei settori delle c.d. energie alternative, come il fotovoltaico. Ricicla i propri capitali illeciti, investendoli in operazioni fraudolente riguardanti settori strategici dell’economia locale, come quello vitivinicolo, della lavorazione del grano e del pomodoro.
Questa è la descrizione della realtà che viviamo, che assomiglia molto a un bollettino di guerra.
Noi del Comitato APPELLIAMOCI! siamo sempre stati convinti che questa terribile situazione e gli scarsi risultati giudiziari in termini di sentenze passate in giudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso dipendessero dalla lontananza della D.D.A. (cioè dei pm che attivano l’azione penale e che coordinano le indagini della polizia giudiziaria) e della Corte d’Appello (cioè dei giudici che emettono le sentenze) dai luoghi in cui si consumano questi reati. Lo abbiamo gridato a gran voce in tutte le sedi, anche nei consigli comunali che, dopo nostra richiesta, hanno deliberato in questi mesi per l’istituzione a Foggia di sedi distaccate della Corte di Appello e della D.D.A e del Tribunale per i Minorenni di Bari nonché di una sezione operativa dislocata della D.I.A. Abbiamo sempre detto che la lontananza da Foggia della Corte d’Appello e della D.D.A. (entrambe a Bari) inficiava sulla qualità delle indagini di mafia e, di conseguenza, sull’esito dei processi.
Oggi possiamo sostenerlo con ancora maggior forza perché le nostre valutazioni coincidono con quelle del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari e del C.S.M. Infatti, nella suddetta Risoluzione del C.S.M. del 18.10.2017 – si legge che:
“Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia ha posto anche l’accento sulla lontananza tra la sede della DDA, nel capoluogo di Regione, distante 140 chilometri da Foggia e oltre 200 dal Gargano, circostanza che determina “la inevitabile assenza di una “aderenza” dei magistrati che ne fanno parte al territorio, così come ai magistrati della Procura Ordinaria e alle Forze di Polizia Locali, intesa con riferimento a questi ultimi, come condivisione di notizie provenienti dal territorio (anche non necessariamente già costituenti notizia di reato)”. Ha rappresentato l’opportunità che i magistrati della DDA siano presenti più stabilmente presso le sedi della Procura Ordinaria, al di là degli impegni di udienza. Ciò permetterebbe di avere un costante rapporto con forze di Polizia e con i colleghi della procura ordinaria, di monitorare i fenomeni, di conoscerne meglio la complessità e permetterebbe un più efficace intervento. Anche il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari ha auspicato una presenza sul territorio foggiano più stringente e più costante da parte della Direzione Distrettuale Antimafia”.
Sulla base di quanto sopra, il CSM ha evidenziato ancora una volta che “Il Procuratore Generale della Corte di Appello di Bari, dando atto dell’ottima collaborazione tra il Procuratore Distrettuale Antimafia e il Procuratore di Foggia, ha auspicato una rivisitazione dei modelli organizzativi della DDA fondandoli su una presenza sul territorio da parte della Procura Distrettuale costante e quotidiana, che risolverebbe il problema del flusso immediato delle notizie tra Procura ordinaria e Direzione Distrettuale Antimafia” e precisa che “per le ragioni sopraesposte va favorito ed incentivato, in linea con la normazione secondaria del CSM, il sistema dell’applicazione di sostituti Procuratori della Procura Ordinaria alla D.D.A.; su tali applicazioni non può non esprimersi una valutazione positiva, in quanto, disponendo le applicazioni o le coassegnazioni in sede, si può concorrere alla formazione di professionalità anche in vista del successivo turn over nella Direzione Distrettuale Antimafia”
Ovviamente, il CSM non è un organo politico e, quindi, non può affermare che sia necessario istituire una sede distaccata della DDA. Deve limitarsi ad affermare che condivide la necessità di avere una presenza costante e quotidiana a Foggia dei magistrati della DDA e che questo si può conseguire adoperando “il sistema dell’applicazione”.
Dovrebbe essere, poi, la buona politica (e a questa categoria non credo faccia parte la senatrice Chiavaroli, viste le sue suddette dichiarazioni) a tradurre questi inviti in leggi dello Stato.
Dovrebbe essere la buona politica ad assumere un atteggiamento univoco su questi temi, al di là degli schieramenti di provenienza, e a far si che un ministro di Giustizia non dica cose opposte a quelle del suo sottosegretario, a distanza di pochi giorni.
Dovrebbe, la buona politica, essere in prima linea nella battaglia contro la mafia e non lasciare a comitati di semplici cittadini la patata bollente.
Ultima considerazione. Ma come può un sottosegretario della Giustizia affermare che “la criminalità si fronteggia con le forze dell’ordine più che con i palazzi di Giustizia”. La senatrice sa che esistono i pubblici ministeri? Conosce la differenza tra polizia giudiziaria e pm? Conosce la differenza tra pm e giudici? Pensa che le sentenze di condanna vengano emesse dalle forze dell’ordine?
PS: Colgo l’occasione per informarvi che giovedì scorso in Senato ho avuto un colloquio con il vicepresidente della Commissione antimafia al quale ho chiesto di attivarsi in ogni modo, nella sua qualità, affinché le determinazione del Csm del 18.10.2017 vengano messe in pratica al più presto.