La provincia di Foggia al centro di un approfondimento de Il Fatto Quotidiano che ha dedicato l’apertura della versione online del giornale agli ultimi episodi di sangue avvenuti in Capitanata. “La mafia fluida”, quarta mafia d’Italia, una tra le più cruente. Tutte questioni già abbondantemente trattate dalla nostra testata messe insieme dal quotidiano di Travaglio che ha ripreso anche alcuni passaggi della relazione della Direzione Nazionale Antimafia che ha ben descritto il fenomeno criminale nel Foggiano.
Nell’articolo di Andrea Tundo si parte dalla morte di Nicola Salvatore e Isabella Rotondo, “ammazzati nella loro profumeria in una delle vie principali di San Severo, il 24 maggio scorso – si legge -. Di prima mattina e con un’azione fulminante, da killer professionisti. Trenta secondi per scendere da un pick-up, entrare nel negozio, centrare prima lui e poi mirare alla testa di lei. “Una scena raccapricciante”, la descrivono gli investigatori che hanno visionato i filmati. L’agguato è maturato in ambienti criminali: probabilmente una vendetta trasversale dovuta al fatto che il figlio dei due, ancora minorenne, a ottobre aveva ucciso un coetaneo per questioni legate a una ragazzina contesa”.
Il giornalista de Il Fatto ha ricordato anche il caso Vieste con la scomparsa di Pasquale Notarangelo, figlio di Onofrio, fatto fuori il 27 gennaio, e nipote di Angelo “Cintaridd”, elemento di spicco della criminalità organizzata foggiana assassinato due anni fa. Lupara bianca, sospettano gli inquirenti.
In 6 mesi, 9 morti e 3 lupare bianche: “Situazione critica”
“Dopo i 15 omicidi tra gennaio e dicembre scorsi – ricordano su Il Fatto -, il 2017 si è aperto con la morte di Vincenzo Vescera, pregiudicato 32enne, ed è proseguito con le esecuzioni di Giuseppe Anastasio, che nel 2012 aveva ucciso per errore una bambina durante un agguato, e Giuseppe Silvestri, freddato alla periferia di Monte Sant’Angelo. A Torremaggiore, il 28 aprile, è toccato a Pasquale Maiellaro, netturbino con un omicidio per futili motivi alle spalle e nulla che apparentemente possa collocarlo sullo scacchiere della criminalità organizzata: lo hanno freddato con sei colpi di pistola alle 7 e mezza del mattino mentre raccoglieva i rifiuti. Antonio Petrella e suo nipote Nicola Ferrelli, ritenuto vicino al clan Di Summa, li hanno ammazzati senza pietà il 20 giugno alla periferia di Apricena. Dopo averli affiancati in corsa, i killer hanno crivellato di colpi la loro auto con pistole, fucili e kalashnikov. Poi sono scesi e, secondo la ricostruzione degli investigatori, hanno finito i due con diversi colpi al volto, sfigurandoli. Una mattanza. La malavita foggiana è violenta, apre il fuoco con disinvoltura. Regolamenti di conti e vendette hanno lasciato 9 morti sull’asfalto e fatto sparire nel nulla 3 persone negli ultimi sei mesi, nonostante l’incessante lavoro di polizia e carabinieri”. “Nelle nostre missioni in varie zone d’Italia abbiamo registrato due criticità, una delle quali riguarda Foggia, dove ci è stato sottolineato il problema di immettere personale che abbia la capacità di leggere problematiche che prima non c’erano”, ha detto la presidente Rosy Bindi in una recente seduta della commissione Antimafia.
La Dna: “Impenetrabile, spietata e pericolosa”
“L’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, presentata negli scorsi giorni – ricordano su Il Fatto -, evidenzia invece “lo spessore qualitativo della criminalità organizzata” foggiana, definita “impenetrabile, spietata e pericolosa”. E oltretutto proiettata, si legge nel documento della Dna, verso “un inarrestabile processo di infiltrazione non solo di tipo economico, ma anche amministativo-politiconella società civile”. Tra gli elementi che supportano la “solidità” e la “impenetrabilità” dei clan viene segnalato il “contesto civile della zona, caratterizzata da arretratezza culturale, omertà e illegalità diffusa”. Un “connubio micidiale”, scrive la Dna, che ha portato a un “capillare controllo del territorio” da parte di un’organizzazione criminale “moderna e flessibile”, proiettata verso il “modello di mafia degli affari”, ma che trae “la sua forza dalla capacità di coniugare la sua proiezione più avanzata con i tradizionali modelli culturali del territorio, primo tra tutti l’ omertà”. E usa una “metodologia di imposizione delle proprie regole – all’interno e all’esterno dei gruppi – basata sulla forza che si trasforma in ferocia, con regole di vendetta e di punizione mutuate dalle più arcaichecomunità agricolo-pastorali“. Obiettivi raggiunti e consolidati “con una lunga scia di sangue e anche con un numero impressionante di “lupare bianche”, su cui gli inquirenti del Distretto stentano a far luce” a causa anche di due elementi inquietanti: “Nessun apporto collaborativo da parte della popolazione” e “assenza di collaboratori di giustizia”.
Il grande silenzio: “Zero pentiti”
“È difficile mettere ordine in questa terra di confine tra Basilicata, Molise e Campania – scrive Tundo – dove le mafie giocano una partita tutta loro, basata su regole arcaiche e silenzio. Nel quadrilatero tra il capoluogo, la vicina San Severo, il Gargano e Cerignola nessuno ha mai saltato il fosso per farsi pentito. Le parole della Dna vanno prese letteralmente: zero collaboratori di giustizia. Il Fatto cita anche il questore Silvis che tempo fa aveva sottolineato proprio l’assenza di pentiti. Anche se da gennaio qualcosa si è mosso dopo il pentimento di un uomo che un tempo era al soldo dei Moretti-Pellegrino, uno dei clan di Foggia.
A Cerignola con gli Ak47 contro i blindati
“I gruppi di Cerignola vivono soprattutto di assalti ai mezzi blindati – si legge ancora -. L’ultimo risale al 29 maggio, come testimonia il video in basso. Un commando di quattro persone, armate di kalashnikov, ha rapinato un portavalori che stava consegnando il denaro a una finale del Banco di Napoli. Sventagliate di Ak47 contro le vetrine, un vigilantes colpito alla testa con il calcio di un fucile, 190mila euro di bottino, venticinque secondi tra l’arrivo e la fuga: un’azione paramilitare alle 8 del mattino nel cuore del paese. “Sono esperti e chirurgici. Colpiscono non solo lungo le strade pugliesi ma in tutta Italia, dalla Calabria alla Lombardia”, dice Silvis. E proprio alle porte di Milano, risiedono ormai da anni i vertici del clan Piarulli-Ferraro, il più ‘pesante’ della mala cerignolese. “È una vera e propria criminalità a sé stante, che si autoalimenta e autogestisce”, spiega il questore. E ha a disposizione grandi quantità di armi, come dimostrò il sequestro di un arsenale da guerra – corredato da ‘listino della spesa’ – nell’aprile 2014″.
La calma apparente di Foggia dopo 2 anni di fuoco
“Nel capoluogo del Tavoliere e nella vicina San Severo spadroneggia invece la Società Foggiana. Altra ‘pasta’ rispetto a Cerignola – secondo il giornale – e nulla a che vedere con i gruppi baresi né con la Sacra Corona Unita salentina. Qui la storia inizia negli anni Settanta, quando la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo prova a conquistarsi uno spazio vitale, ma dopo aver organizzato la malavita viene estromessa dal territorio. Passata attraverso sette guerre di mafia, oggi Foggia è controllata da due clan, guidati secondo gli inquirenti da Roberto Sinesi e Rocco Moretti, 55 e 67 anni. “Data la vicinanza geografica tra le due città, i clan del capoluogo hanno ormai cooptato i sanseverini – racconta il questore – L’ultimo omicidio risale ad ottobre, ma da allora continue operazioni hanno riportato in galera le figure di spicco dopo un anno e mezzo turbolento, fatto di agguati e bombe. Il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura ha prodotto grandi risultati e la città è ora ben controllata, mentre le famiglie mafiose vivono un periodo di apparente silenzio”.
Il fronte più caldo: la faida nel Gargano
È in fibrillazione, invece, la terza organizzazione malavitosa della provincia, quella del Gargano, sostenuta da traffico di stupefacenti, usura ed estorsioni. Il forte indebolimento del clan Libergolis ha creato un vuoto di potere. E intanto Vieste, la perla del promontorio pugliese, si trova nel mezzo di una guerra senza esclusione di colpi iniziata dopo l’uccisione di Angelo Notarangelo, nel 2015. Da mesi si stanno fronteggiando gli uomini rimasti fedeli alla famiglia del boss assassinato e gli scissionisti legati al giovane Marco Raduano, ex braccio destro di Notarangelo tornato in libertà a febbraio e da allora sparito dai radar. A questa faida sarebbe riconducibile l’agguato del 27 gennaio a Vincenzo Vescera, ammazzato a colpi di fucile, e quello a Onofrio Notarangelo, fratello di Angelo, freddato dieci giorni prima. La scomparsa di suo figlio Pasquale, poche settimane fa, è solo l’ultimo tassello di un complesso puzzle che la magistratura sta cercando di ricostruire.
Lo spettro di una saldatura tra le tre realtà
La Società, i clan di Cerignola e quelli garganici sono ancora realtà separate, ma potrebbero amalgamarsi e creare una cupola estendendo la loro influenza al di fuori del territorio nel quale hanno agito finora”. Del resto, anche la relazione della Dia del gennaio 2017 parla di una situazione “fluida” e pone l’accento su una realtà feroce e impenetrabile che due mesi fa il procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, ha definito la quarta mafia.
Da tempo viene chiesta l’istituzione di sede operativa della Dda. Un segnale forte arriverà nella prossima primavera da Libera di don Luigi Ciotti, che ha deciso di spostare da Locri a Foggia la manifestazione nazionale nella Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia. Per accendere i riflettori su questa terra con troppe pallottole e ancor più silenzi.