Tutti i nomi, gli assetti, le guerre e le “pax criminali”. Pagine da leggere e conservare nell’ultima ordinanza cautelare contro la “Società Foggiana”, quella relativa all’inchiesta sul racket del pomodoro e sul business della droga. Occasione utile, per i giudici della DDA, per ricostruire oltre 30 anni di mafia locale. Partendo dallo storico incontro nell’Hotel Florio tra Foggia e San Severo, nel 1979.
“Sebbene un riconoscimento ufficiale della Società Foggiana come organizzazione mafiosa sia intervenuto solo verso la metà degli anni novanta – scrivono i magistrati -, la criminalità organizzata foggiana iniziò ad avere una sua configurazione verso la fine degli anni ’70 ed i primi ’80, quando, a seguito delle mire espansionistiche della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, si registrò la nascita in Puglia della Nuova Camorra Pugliese. A conferma dell’importanza accreditata dal fondatore della Nuova Camorra Organizzata (N.C.O.) alla componente foggiana, fu proprio la terra di Capitanata ad ospitare nel 1979 presso l’Hotel Florio il celebre summit che sancì ufficialmente la nascita della Nuova Camorra Pugliese, all’interno della quale un ruolo di primo piano venne immediatamente assunto proprio dai foggiani Giosuè Rizzi e Giuseppe Iannelli.
Il fallimento della Sacra Corona Unita a Foggia
Nel decennio successivo, quell’emergente e ambiziosa delinquenza foggiana si schierò al fianco di Giuseppe Rogoli, aderendo al progetto di emancipazione della criminalità organizzata pugliese dalla camorra napoletana che, anche grazie all’appoggio della ‘ndrangheta, culminò nella costituzione della Sacra Corona Unita: un’organizzazione criminale nata all’interno delle carceri pugliesi a partire dai primi anni ottanta, ma che venne riconosciuta come vera e propria associazione mafiosa solo molti anni dopo dalla Corte di Appello di Lecce il 26 marzo 1990. Nel progetto del “padre fondatore” Giuseppe Rogoli, con la creazione della Sacra Corona Unita, il territorio pugliese sarebbe stato suddiviso su base provinciale: la provincia di Foggia sarebbe dovuta diventare una costola della nuova associazione mafiosa, nelle mani dei “responsabili” Giosuè Rizzi, Giuseppe Iannelli, Cosimo Cappellari e Giuseppe Caputo. Ma anche questo ulteriore tentativo di annessione della emergente criminalità organizzata foggiana (dopo quello compiuto da Raffaele Cutolo) ad altre più vaste organizzazioni mafiose fallì in quanto la Sacra Corona Unita, a differenza di quanto era avvenuto nelle province di Lecce e di Brindisi, non riuscì mai ad imporsi in terra di Capitanata.
L’ascesa dei Moretti
Il clan facente capo a Pinuccio e Nicola Laviano, che in qualche modo costituiva l’emblema di quella criminalità che si considerava ancorata ai vecchi padri fondatori della S.C.U., dovette cedere il passo alla fazione emergente capeggiata da Rocco Moretti, soprannominato U’ purch, e da Gerardo Agnelli, detto “Professore”, ai quali si affiancò lo stesso Giosuè Rizzi, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel 1986. Fu una strage eclatante, degna della Chicago degli anni venti, passata alla storia come la strage del “Bacardi”, a mettere definitivamente fine alle velleità espansionistiche dei Laviano e a sancire l’ascesa di personaggi come Rocco Moretti, Vito Bruno Lanza, Mario Francavilla, che, insieme allo stesso Giosuè Rizzi (che Salvatore Annacondia, detto “Manomozza” soprannominava il Papa di Foggia), diedero vita alla nuova consorteria criminale denominata “Società Foggiana”, destinata, qualche anno dopo, ad essere giudizialmente riconosciuta come vera e propria associazione di tipo mafioso. All’inizio degli anni novanta, a seguito della detenzione di Giosuè Rizzi e Rocco Moretti, un ruolo di primo piano all’interno dell’organizzazione foggiana venne assunto da Gerardo Agnelli e da Michele Mansueto, detto Lillino: ma si trattò di un equilibrio di durata assai breve. Nel giugno del 1990 Agnelli venne ucciso, qualche settimana dopo Mansueto rimase gravemente ferito in un attentato di mafia: iniziò così l’ascesa ai vertici dell’associazione di Roberto Sinesi e Vincenzo Parisi.
Edilizia e pomodoro
Fu quello – secondo i giudici della DDA – il momento in cui l’organizzazione foggiana fece registrare un significativo ampliamento degli scopi associativi: alla tradizionale, ma sempre redditizia, gestione monopolistica del traffico di stupefacenti, si associò, infatti, una fiorente e altrettanto lucrosa attività estorsiva. A conferma della sua vocazione affaristico imprenditoriale, l’associazione mafiosa foggiana riversò, fin da subito, le sue attenzioni sui fondamentali poli strategici dell’economia dauna: la produzione del pomodoro e l’attività edilizia.
Strategia del terrore
Nel primo caso il piano criminoso venne attuato “visitando” alcune delle associazioni agricole foggiane per la raccolta del pomodoro e rivolgendo ai titolari richieste di tangenti, seguite da danneggiamenti e invio di lettere anonime a scopo intimidatorio. Sul versante legato all’edilizia, l’attacco all’economia legale assunse, invece, nel volgere di un brevissimo arco di tempo, connotati straordinariamente allarmanti, per la ferocia, la spregiudicatezza, l’inaudita carica di efferata violenza che l’organizzazione foggiana mise in campo, con l’evidente obiettivo di accrescere la propria capacità intimidatoria e di incutere nei consociati un generalizzato clima di vero e proprio terrore.
Agguati mafiosi a Zanasi e Spezzati. Morte di Panunzio
In quel periodo esplosero nel centro cittadino di Foggia una serie di ordigni ad alto potenziale (fenomeno tuttora in voga). Il costruttore Nicola Ciuffreda morì in un agguato di mafia, mentre gli imprenditori edili Eliseo Zanasi e Salvatore Spezzati scamparono miracolosamente alla morte. Ma la vicenda che, in quegli anni, suscitò maggiore scalpore fu l’omicidio, avvenuto il 6 dicembre 1992, di Giovanni Panunzio, il primo imprenditore foggiano che ebbe il coraggio di opporsi alla prevaricazione mafiosa.
Il maxi processo
Fu proprio all’insegna di Panunzio, coraggioso protagonista della resistenza civile, che nacque la prima grande operazione Antimafia contro la Società Foggiana, denominata appunto “Operazione Panunzio”. Alla sbarra, innanzi alla Corte di Assise di Foggia, 68 persone. Tra queste anche Donato Delli Carri, nipote di Roberto Sinesi, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Panunzio, reato per il quale l’uomo fu poi riconosciuto colpevole e condannato. Il processo, dopo diversi gradi di giudizio, si concluse in Cassazione il 13 ottobre 1999 con il primo riconoscimento definitivo della Società Foggiana e delle sue batterie come vera e propria organizzazione di tipo mafioso. Nel 1995, mentre era ancora in corso il maxi processo Panunzio, intervenne una seconda operazione antimafia denominata Day Before nella quale emerse che la mafia locale aveva oramai esteso le sue ramificazioni nella vicina San Severo, intessendo alleanze con la ‘ndrangheta calabrese, grazie ai rapporti tra Roberto Sinesi e Franco Coco Trovato, quest’ultimo esponente di spicco della cosca De Stefano/Papalia.
Guerra per la “lista delle estorsioni”
Dopo una fase di relativa tranquillità, scoppiò lo scontro tra i Sinesi/Francavilla e i Trisciuoglio/Prencipe, per una guerra di mafia che, da gennaio 1998 a dicembre 2003, produsse ben 28 omicidi e 11 tentati omicidi. La posta in gioco era il conseguimento della leadership all’interno della Società Foggiana, una leadership che avrebbe consentito alla compagine vincitrice di gestire la cassa comune e di impossessarsi della “lista delle estorsioni”, il famigerato documento che abilitava alla riscossione dei proventi della lucrosa attività estorsiva.
Racket dei funerali e nuova guerra
Nella seconda parte del 2003, la batteria Trisciuoglio/Prencine, sfruttando un momento di debolezza dei Sinesi/Francavilla, tornò a riprendere quota mediante una serie di omicidi di esponenti della batteria rivale. Una novità importante, che si registrò negli equilibri interni alla Società Foggiana in questo frangente, fu l’avvicinamento al gruppo Trisciuoglio/Prencipe della batteria facente capo a Rocco Moretti e Antonio Vincenzo Pellegrino. Poi nel 2006, ecco le scarcerazioni di Roberto Sinesi e Raffaele Tolonese. I due boss, messi da parte i vecchi rancori, giunsero ad un accordo con Federico Trisciuoglio per il controllo degli affari illeciti, prevalentemente legati al settore delle estorsioni in danno di imprenditori di onoranze funebri (il racket dei funerali). Da tale accordo rimase fuori la batteria facente capo a Moretti e Pellegrino. La tensione tra il clan Sinesi/Francavilla e i Moretti/Pellegrino esplose nel 2007: il 5 maggio Antonio Vincenzo Pellegrino, detto Capantica, scampò miracolosamente alla morte. Il 16 luglio toccò a Pasquale Moretti, figlio del capomafia Rocco Moretti, uscire indenne da un agguato. Nell’agosto del 2007 la batteria Moretti/Pellegrino passò al contrattacco attentando alla vita di Alessandro Aprile e progettando l’omicidio di Francesco Sinesi, figlio di Roberto Sinesi, nonchè di altri esponenti della batteria facente capo a quest’ultimo. Nel settembre del 2007, i numerosi arresti effettuati con l’operazione antimafia “Cronos” posero fine alla diatriba.
Mafia degli affari e salto di qualità
Secondo i magistrati della DDA, negli ultimi tempi la consorteria mafiosa foggiana, pur continuando a vivere al suo interno momenti di conflittualità tra le diverse batterie, sembra aver conseguito una più efficiente fisionomia che l’avvicina sempre di più a quel modello di “mafia degli affari”, che va sempre più caratterizzando, nei tempi della globalizzazione, le più importanti organizzazioni mafiose del panorama nazionale. Un primo dato di “modernizzazione” è senza dubbio rappresentato dall’epurazione di quella che, evidentemente, venne ritenuta una classe dirigente oramai vecchia e inadeguata. In quest’ottica vanno inquadrati gli omicidi di personaggi del calibro di Franco Spiritoso (18 giugno 2007), Antonio Bernardo (27 settembre 2008), Michele Mansueto (24 giugno 2011) oltre che dello stesso Giosuè Rizzi (10 gennaio 2012), la figura storicamente più carismatica della mafia foggiana.
Il vero e proprio salto di qualità si registrò a partire dal 2010: è da quel momento in poi che la Società Foggiana andò sempre più sviluppando la sua vocazione imprenditoriale e la sua capacità di infiltrazione. Le più recenti inchieste hanno infatti messo in luce la capacità della Società Foggiana di intessere proficue alleanze economiche con importanti cartelli mafiosi legati alla camorra, come il clan dei “Casalesi”‘, allestendo una sorta di join venture per produrre quantitativi industriali di banconote false e di infiltrarsi nella pubblica amministrazione, mettendo pericolose radici all’interno della società partecipata che si occupava della raccolta e del trasporto dei rifiuti solidi urbani della città di Foggia oltre che in alcune cooperative ad essa collegate. Infine, di investire i propri capitali in settori strategici dell’economia locale, come quello vitivinicolo, con le prime ramificazione verso il nord-Italia (Operazione Baccus, ndr) e finanziare, mediante l’usura, la piccola imprenditoria locale, sempre più in difficoltà per la grave crisi economica in atto. Questo processo evolutivo venne compiutamente ricostruito in una recente importante inchiesta sulla mafia foggiana (Operazione Corona) per la quale una sentenza di condanna in primo grado dà specificatamente conto di come la Società Foggiana di oggi, pur nell’alveo della tradizione criminogenetica di cui si nutre sia stata capace, soprattutto negli ultimi tempi, di aprirsi alla modernità orientandosi decisamente verso un più evoluto modello di mafia degli affari.