Le scosse avvenute nelle ultime 24 ore in provincia di Foggia rilanciano il tema dell’emergenza sismica. Nella banca dati del Dipartimento della Protezione Civile c’è tutto. Numero di crolli, case inagibili, abitazioni danneggiate, percentuale dei crolli sul totale e così via. Già in un’inchiesta de L’Espresso si evidenziavano anche le stime sulle persone che in futuro potrebbero essere coinvolte, cioè il totale di morti e feriti nel caso di un forte terremoto. E i dati fanno rabbrividire: 161.829 a Catania, 111.622 a Messina, 84.559 a Reggio Calabria, 45.991 a Catanzaro, 31.858 a Benevento, 19.053 a Potenza, 73.539 a Foggia, 24.016 a Campobasso, 20.683 a Rieti. Nemmeno Roma verrebbe risparmiata con 6.907 abitanti sotto le macerie. Vanno poi sommati gli effetti nei paesi e nelle città vicine, aggravando così il bilancio del disastro.
In provincia di Foggia i dati, secondo il Servizio Sismico Nazionale, segnalano 25.442 persone coinvolte nei crolli e 22.611 persone rimaste senza tetto a San Severo. A Rodi: 2.023 e 1.519. Per Manfredonia 1.087 e 10.437. Cerignola: 1.313 e 10.545. A Bari 816 persone coinvolte e 13.144 che rimarrebbero senza tetto.
Sono pesanti le conseguenze se una di queste città venisse oggi colpita da un terremoto pari alla massima intensità già registrata localmente. Il rischio purtroppo non è solo ipotetico. Una rete di monitoraggio internazionale, alla quale partecipa il dipartimento di Matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, ha acceso un segnale d’allarme sull’Italia centrale e sul Mezzogiorno, in particolare sulla Calabria e la Sicilia orientale. Nel Centro, l’allerta è stata attivata dal novembre 2012. In Calabria e Sicilia dal gennaio 2012, dopo diciotto anni di silenzio del sottosuolo. La situazione viene valutata ogni due mesi in base all’attività sismica di fondo. E a marzo 2013 l’allarme degli scienziati per un forte terremoto era ancora in corso. Il dato corrente, aggiornato a inizio maggio, è tenuto segreto.
Come avviene il calcolo
La banca dati è da anni sfruttata dalla Protezione civile. È stata realizzata da un gruppo di lavoro del Servizio sismico nazionale guidato da un ingegnere, Giampiero Orsini. L’intensità di un terremoto viene calata sul patrimonio edilizio attuale della città presa in considerazione. Il calcolo tiene conto di parametri locali come la densità degli abitanti, la vulnerabilità degli edifici in base all’anno e al materiale di costruzione, l’altezza dei palazzi e tutto quanto la Protezione civile aggiorna nel Sige, il sistema informatico di gestione delle emergenze. Ogni scheda offre tre scenari: terremoti di intensità più bassa (maggiore probabilità che si verifichino nell’arco di 50 anni), media e forte (corrispondenti alla massima intensità storica registrata in quel luogo).
Nel grafico vengono presi in considerazione l’intensità massima registrata che ovviamente varia da comune a comune, dipendendo dall’attività sismica della zona circostante. Gli “Scenari di danno comunali” così ottenuti sono comunque approssimati, basandosi su un calcolo statistico. La qualità delle costruzioni è un’altra variabile decisiva. Per la statistica un condominio in cemento armato costruito nel 2010 dovrebbe avere una buona capacità antisismica. Nella pratica molto dipende dal tipo di suolo, dalla qualità del cemento usato, dall’eventuale sovrapposizione di più onde sismiche durante il terremoto. E soprattutto dalla professionalità di progettisti e costruttori. Per questo gli stessi scenari di danno, nel loro range di variabilità della stima, ipotizzano anche conseguenze più gravi, considerandole però meno probabili.
“Troppi comuni senza un piano”
“Abbiamo popolazioni inconsapevoli del rischio e perciò esse stesse poco esigenti verso chi li amministra”. Così si è espresso direttore della Protezione civile, Franco Gabrielli: “In questi due anni e mezzo, girando per il Paese, ho notato sempre grande sensibilità sulle risorse da destinare agli esiti di eventi calamitosi, essenzialmente risarcimento dei danni che negli ultimi anni hanno riguardato oltre l’80 per cento delle somme erogate. Mai per una seria politica di messa in sicurezza dei territori. Ancora troppi Comuni non hanno piani di protezione civile. E quelli che ce l’hanno sulla carta, in massima parte non sono conosciuti dai cittadini”.