Li chiamano sbirri, piedipiatti, guardie, pula, questurini. O stai dalla parte loro o dall’altra. Quando nelle piazze italiane scoppiano gli scontri tra divise e manifestanti, il rinculo è sempre la stessa prevedibile polemica sguaiata all’italiana. “Da che parte stai?”. Come se tutte le piazze fossero uguali. Come se la rabbia scaricata dalle suole dei manifestanti sull’asfalto fosse costante. Per tutti. Come se gli operai di Terni fossero uguali ai ragazzi dei centri sociali di Torino, o se i No Tav fossero pari agli studenti di Roma. E come se tutti i poliziotti fossero la stessa truppa capeggiata da un caporaletto che non vede l’ora di dare l’ordine di “caricare”.
Sono i cuori, gli stati d’animo, la paura a decidere di che colore è la piazza e come andrà a finire. A Padova, come in altre piazze italiane, il 14 novembre è andato in onda lo ‘sciopero sociale’ di Cobas, Cub, Usi e Adl Cobas. Motivo: quello di dire no alle politiche del governo Renzi e dell’Unione europea, no al Jobs act, no alla legge di stabilità e al piano di riforma della scuola. Ai lavoratori, si sono aggiunti i rappresentanti dei diversi centri sociali padovani e gli studenti. La giornata non è finita bene. La testa del corteo, arrivato a due passi dalla sede del Pd, avrebbe voluto deviare la marcia autorizzata per passarci davanti. “Volevamo lasciare solo banconote da 80 euro nel cortile” dicono loro. “Erano pronti ad assaltare la sede” la versione della polizia. La marcia non si devia. Davanti al Pd non si passa e allora iniziano gli scontri. Violenti. Anche stavolta c’è l’ordine: “caricate”.
Dall’altra parte è lo stesso. Il capo della squadra mobile prende un calcio in testa. Manganellate a occhi chiusi. Scudi di polistirolo dall’altra parte, ma volano calci e pugni. Il giorno dopo è sempre lo stesso. Tutti a chiedersi: “e tu da che parte stai?”. Una settimana dopo ce l’hanno detto loro da che parte stare. Anzi, da che parte non stare. Ce l’anno detto i poliziotti, snervati: “Siamo stanchi delle sceneggiate. Basta con questa fallimentare e raffazzonata di ordine pubblico”. Sono gli stessi su cui in molti puntano l’indice chiedendo la loro testa. I poliziotti, anzi gli sbirri, la pula, i giustizieri in servizio a Padova hanno alzato la voce definendosi “comparse” all’uso e consumo dei capi. E lo hanno fatto mettendo nel mirino istituzioni ben precise: prefettura, questura, comando dei carabinieri: lo stato.
“A Padova con lo sciopero sociale abbiamo assistito ad una gestione dell’ordine pubblico che definire fallimentare e raffazzonata sarebbe un eufemismo – hanno dichiarato i sindacati di polizia – .Errata dislocazione del personale, funzionari che si sovrappongono nel dare ordini e disposizioni e, per non farsi mancare nulla, le solite sceneggiate concordate e portate in scena, ad uso e consumo dell’ego di antagonisti e funzionari, sulla pelle delle comparse, ossia il personale dei reparti mobili e quello degli altri uffici impiegati a vario titolo”. Quando parlano di “sceneggiate” l’accusa è chiara e riguarda i presunti “accordi” presi prima delle manifestazioni di piazza. “Finte deviazioni di percorso dei cortei in realtà ben note, finti tentativi di oltrepassare i cordoni di polizia, lanci di fumogeni e ordigni, anche questi ampiamente annunciati. Basta con questo genere di non-gestione, basta con i reparti mobili utilizzati come valvola di sfogo, basta alle forze dislocate in campo aperto con fianchi e spalle vulnerabili o, al contrario, schiacciati con le spalle contro le mura dei palazzi da presidiare, basta con l’assistere inerti alla preparazione delle testuggini antagoniste, con i soliti noti lasciati liberi di indossare caschi, preparare fumogeni e bombe carta e avvicinarsi fino al contatto con le prime fila dei reparti. Basta con la tolleranza nel far giungere nei luoghi preposti alle manifestazioni i soliti furgoni carichi di aste, spranghe e bastoni”. Sono loro ad averci raccontato da che parte stare e la verità di come, ormai abitualmente, i disordini vengono diretti dai soliti maestri d’orchestra protetti dalle vetrate dei loro uffici romani.