Nelle audizioni del 27 giugno scorso davanti alla Commissione d’inchiesta sulle intimidazioni ad amministratori locali, era previsto anche l’intervento del Procuratore Capo di Foggia, Leonardo Leone De Castris. Lui però non c’era perché impossibilitato. A parlare ci pensò Enrico Infante, sostituto procuratore nel capoluogo dauno. Fu lui a tirar fuori questioni molto spinose. Vicende che tuttora tengono banco nelle aule giudiziarie foggiane. La madre di tutte le inchieste forse è proprio quella raccontata da Infante. La storia l’ex municipalizzata Amica spa (oggi defunta).
“Una società – disse Infante – che si occupava di gestione della raccolta dei rifiuti, posseduta al 100 per cento dal Comune di Foggia, e fallita nel 2010. Un’ordinanza cautelare ha portato alla luce una serie di infiltrazioni delinquenziali nella società che avevano dato luogo, da ultimo, addirittura ad estorsioni, nei confronti, tra gli altri, del sindaco di Foggia, ingegner Gianni Mongelli. Per cui vi sono state misure cautelari e attualmente si è in fase di dibattimento. Si trattava per l’appunto di una società avente come oggetto sociale la raccolta e il trattamento dei rifiuti, dove nel corso degli anni erano state assunte delle persone che erano o imparentate o appartenenti a clan mafiosi foggiani. Erano persone che il più delle volte non si recavano nemmeno a lavorare, timbravano il cartellino e venivano regolarmente retribuite. Quando da ultimo la situazione ormai prefallimentare di Amica aveva reso tutti edotti – parlo della classe politica locale – rispetto al fatto che non si poteva più continuare ad erogare stipendi senza che de facto nessuno prestasse servizio, e quando, soprattutto, l’allora nuovo sindaco di Foggia, l’ingegner Mongelli, aveva
integralmente modificato il consiglio di amministrazione di Amica spa nominando come amministratore unico il dottor Michele Di Bari – all’epoca era un funzionario di prefettura – proprio per tentare di salvare il salvabile ed evitare il fallimento, per la prima volta si cominciò a sollevare problemi rispetto a queste persone che, pagate da Amica, non si recavano a lavorare pur timbrando il cartellino. Messe alle strette con la minaccia di provvedimenti disciplinari o di licenziamento, questi soggetti, anche grazie ai loro parenti appartenenti alla criminalità organizzata foggiana, minacciarono i vertici di Amica. Il gip – spiegò Infante ., pur concedendo le misure cautelari e riconoscendo l’esistenza di tutti i reati, ha ritenuto non ci fosse, nel caso di specie, l’aggravante del metodo mafioso, che era stata contestata. Il processo prosegue a Foggia, però è indubitabile che i reati sono stati riconosciuti – c’è il giudicato cautelare – e che sia le minacce poste in essere sia i beneficiari delle stesse erano appartenenti alla criminalità organizzata o stretti parenti, prossimi congiunti di appartenenti alla criminalità organizzata”.
L’estorsione a Mongelli
Nella sua audizione, il sostituto procuratore tracciò uno spaccato nudo e crudo dei rapporti pericolosi tra politica locale e malavita organizzata. Lo fa partendo da un episodio: “ Sempre nell’ambito di questa vicenda – disse alla Commissione – si è registrato un altro episodio estorsivo, questa volta proprio ai danni del sindaco di Foggia, Gianni Mongelli, e relativo alla cooperativa Fiore, che vedeva tra i vertici nonché tra i soci cooperatori un numero cospicuo di parenti di personaggi già ritenuti facenti parte della criminalità organizzata foggiana. La cooperativa Fiore aveva un contratto con l’Amica di Foggia giudicato sproporzionato in quanto il valore dello stesso era ritenuto evidentemente di gran lunga maggiore rispetto al servizio erogato dalla cooperativa, ovvero la pulizia del verde pubblico. Per tentare di evitare il fallimento, la “nuova” giunta dell’epoca Mongelli e l’amministratore unico che lo stesso dottor Mongelli nominò, il dottor Michele Di Bari, all’epoca funzionario di prefettura – oggi, se non vado errato, prefetto – decisero di non rinnovare la convenzione con la cooperativa Fiore una volta arrivata a scadenza. Il risultato fu che i vertici della cooperativa Fiore, che abbiamo già detto essere o direttamente pregiudicati o comunque imparentati con pregiudicati per reati di stampo mafioso, minacciarono tanto Di Bari quanto il sindaco Mongelli. Anche per questa vicenda, benché il gip non abbia ritenuto sussistere l’aggravante dell’articolo 7 (metodo mafioso) del citato decreto, c’è stata una misura cautelare e attualmente è in corso il dibattimento innanzi al collegio di Foggia”.
Gli accordi pericolosi
La chiusura di Infante rappresenta una breve analisi lucida di come funzionano, male, le cose a Foggia. “Questa indagine è importante perché ha evidenziato come il sottobosco delinquenziale locale, in vista delle elezioni, a volte si appoggiava – perlomeno questo risulta dalle intercettazioni acquisite – a questo o a quel consigliere o aspirante candidato sindaco, facendo riferimento al fatto che in cambio dell’appoggio dato ci fosse la promessa di un’assunzione o comunque della stipula di un contratto d’appalto. Questo era abbastanza comune e ricorrente, anche se di volta in volta gli esponenti politici che venivano indicati come terminali ultimi di questa operazione variavano; non c’era un rapporto stabile tra un esponente politico e una filiera o un gruppo, però era abbastanza comune e diffuso che vari esponenti politici locali stringessero di volta in volta accordi con esponenti della criminalità locale per avere i voti e garantire in cambio la prosecuzione degli appalti o l’assunzione in questa o in quella società municipalizzata. Ricordo che tutti gli ultimi sindaci di Foggia sono stati oggetto di vicende minatorie; del dottor Mongelli, che è stato sindaco fino a qualche mese fa, abbiamo già detto, ma anche l’attuale sindaco di Foggia Landella quando era consigliere comunale di minoranza e segretario provinciale del partito di opposizione, del PdL, ha visto bruciare la sua autovettura”.
Le parole del Prefetto Luisa Latella – il fallimento della Stazione Unica Appaltante
Durante la sua audizione, anche il Prefetto di Foggia ha affrontato numerose questioni che tratteremo in altro articolo. Ma per ricollegarci a quanto raccontato da Infante, pubblichiamo questo passaggio dell’intervento del Prefetto perché esplicativo delle difficoltà, presenti nel nostro territorio, ad arginare i legami tra politica e criminalità. Basta pensare al fallimento della Stazione Unica Appaltante.
“Per i Comuni – rivelò Latella quel 27 giugno – avevamo istituito la Stazione Unica Appaltante che secondo me è fondamentale. L’avevamo istituita sull’esempio di quello che si era realizzato in Calabria, con il collegamento con le forze di polizia, con i collegamenti informatici e adottando il principio della trasparenza. Avevamo affidato questa Stazione Unica Appaltante alla Provincia. Con la crisi della Provincia, come “area vasta”, la Stazione Unica Appaltante non ha avuto il seguito auspicato: pochi Comuni vi hanno aderito (tutti piccoli e con scarsa presenza di grossa criminalità: Poggio Imperiale, Roseto Valfortore, Torremaggiore, Rignano Garganico, Apricena, Sannicandro Garganico, Serracapriola, San Marco in Lamis, ndr). Sottolineo – aggiunse il Prefetto – che di questi Comuni cinque erano commissariati. Quindi è stata sostanzialmente un’adesione dei miei funzionari. La motivazione principale è che non si sa dove andrà a finire la Provincia. Si sa che ormai la Provincia è destinata a sparire. Quindi è chiaro che c’è questo problema, ma c’è anche la circostanza che con difficoltà si aderisce a questo strumento, che sarebbe fondamentale perché va ad attaccare gli appalti e consentirebbe di metterli direttamente sotto controllo. Detto ciò, gli amministratori non aderiscono; sono pochissimi quelli che hanno aderito”. A febbraio 2013, la Stazione Unica Appaltante venne presentata in pompa magna da numerose testate locali. L’iniziativa ottenne il gradimento convinto di mondo politico e istituzionale. A poco più di un anno di distanza, siamo qui a parlare di un fallimento.