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Non stimo Roberto Saviano abbastanza per adularlo, ma abbastanza per distinguere quando parla con senno e quando lo fa con vanto. Non conosco Lucio Musolino, ma fa il giornalista e questo mi basta per credergli e stare dalla sua parte. Almeno fino a prova contraria. Di cosa sto scrivendo lo avete capito. La notizia è rimbalzata in pochi secondi dalla strada al web. Prima quello calabrese, poi tutto il resto. Anche all’estero. Per chi se lo fosse perso ve la racconto in pillole.
Siamo a Tresilico, frazione di Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria. La settimana scorsa si è svolta la tradizionale processione della Madonna delle Grazie. Tutto il paese riversato per la via principale. Applausi al passaggio. Rosari tra le mani. Nonni che raccontano la storia della Madonna ai nipoti. La banda e tutto il resto.
Sono circa le 18 quando si passa sotto la casa di Peppe Mazzagatti. Peppe Mazzagatti è un ex fruttivendolo e trasportatore, condannato all’ergastolo per omicidio ed associazione mafiosa. E’ stato uno dei principali pistoleri della faida tra le cosche della ‘ndrangheta negli anni ’90. Nel 1993 hanno ucciso suo figlio Pasquale. E non per caso. Il capo di una cosa che porta il suo nome. Un boss. 82 anni, vecchio, malandato, forse senza più potere. Ma un boss. Dal 2003 è ai domiciliari per motivi di salute e per la sua età. Non ha fatto molti anni di carcere.
Torniamo a Tresilico e alla processione. Sotto la casa di questo gentiluomo la marcia si ferma. I portatori danno l’ordine: plotone-alt! Una sorta d’inchino al boss della mala che vive tra Corso Aspromonte e via Ugo Foscolo di Tresilico. Dura circa dieci secondi. Come i ‘cento passi’ di Peppino Impastato verso casa Badalamenti, ma con le dovute differenze di fede e senso della vita. Il maresciallo dei carabinieri Andrea Marino e i suoi lasciano la processione. Si defilano e riprendono la scena con gli smartphone. Vogliono le prove. Marino la puzza l’aveva già sentita. Prima dell’inizio della processione aveva incontrato personalmente i componenti della commissione della festa avvertendoli di non effettuare inchini durante il tragitto. Regola non rispettata. Tra le autorità civili, sindaco e assessori, nessuno ha seguito il maresciallo, nonostante lui li avesse avvisati di quello che stesse accadendo. Certi amministratori hanno bisogno sempre che qualcuno gli spieghi dove sono, dove andare e dove sta la mamma.
Ok. La notizia ci mette un attimo ad uscire da Tresilico. Arriva su tutti i quotidiani nazionali in un click. Qui entra in gioco il giornalista Lucio Musolino. Inviato da Padellaro e Travaglio in Calabria per raccontare la storia dell’inchino sulle pagine del Fatto Quotidiano. Musolino arriva in paese. Taccuino e camera alla mano fa quello che farebbe qualsiasi reporter. Va in Chiesa durante la messa per ascoltare l’omelia del parroco e attendere la fine per raccogliere le reazioni sue e quelle dei fedeli. Il parroco è don Benedetto Rustico. E la sua omelia? “Vi invito a prendere a schiaffi il giornalista che è in fondo alla chiesa”. Parola di Dio. Non credo proprio. I fedeli lo prendono quasi in parola e cacciano il giornalista, vietandogli di fare il suo lavoro. Il signor Benedetto, a cui mi rifiuto di dare del ‘don’, invece di richiamare e ammonire gli autori di quel gesto infame se la prende con il giornalista che racconta la storia e incita i suoi a sacrificarlo sul patibolo. Un rito di ignoranza, inettitudine e incapacità nel rivestire un ruolo che dovrebbe avere a cuore sempre la verità. Che dovrebbe tifare per il bene sul male. Invece il signor Benedetto rimane ancorato a quella che Saviano chiama la “fede criminale e a parti di Chiesa saldate alla cultura mafiosa”.
L’inchino è stato fatto per non far arrabbiare l’altro don: don Peppe Mazzegatti. Uno che le feste patronali in Calabria le finanzia da una vita. Uno che nella sua vita ha sempre tenuto stretta, in una mano la pistola e nell’altra il rosario. Papa Francesco pochi giorni fa, e proprio in Calabria, aveva scomunicato i mafiosi. Non può bastare un concetto spirituale a fermare la riverenza di un popolo gregge guidato da un rozzo pastore che invita a schiaffeggiare la verità. Papa Francesco mandi gli uomini giusti in questi posti ammuffiti dalla fede mafiosa, impregnati di intese segrete e dove il male viene raccontato come fosse il bene per essere trasmesso, come un virus, di generazione in generazione.