
Mario Luciano Romito è uno dei personaggi più conosciuti nella storica faida del Gargano. L’uomo, tornato venerdì 9 maggio in carcere (a Frosinone) per una vecchia rapina (LEGGI), era ritenuto, all’epoca della guerra di mafia, il referente del sodalizio criminoso. Oggi Romito ha 47 anni e un bel curriculum alle spalle. Nel suo recente passato figurano anche alcuni agguati nei quali si è salvato da morte certa per pura fatalità.
Gli agguati ai suoi danni

Il 18 settembre 2009, Mario Luciano fu vittima di un attentato dinamitardo mentre era in compagnia del fratello Ivan Romito. Quel giorno, i due furono bersaglio di un attentato esplosivo alla loro auto. Un ordigno rudimentale venne posto all’interno della ruota anteriore e della carrozzeria dell’Audi A4 dei fratelli. La bomba, costruita con della polvere pirica ed un congegno meccanico esplose mentre Mario Luciano si stava recando nella caserma dei carabinieri di Manfredonia per l’obbligo di firma. L’esplosione avvenne all’altezza dell’incrocio semaforico vicino all’ex Macello in via Giuseppe di Vittorio.
Il 27 giugno 2010 invece, sempre a Manfredonia poco dopo le venti e trenta, all’altezza di viale Padre Pio (secondo piano di Zona), lungo la strada che conduce verso la Statale 89 per Foggia e, a nord, verso San Giovanni Rotondo, ignoti, a bordo di un’auto, uccisero con colpi di arma da fuoco il 23enne Michele Romito e ferendo il 42enne Mario Luciano mentre i due erano a bordo di una Y10. Sul posto intervennero militari della Guardia di Finanza di Manfredonia, operatori della polizia municipale, militari del Comando Compagnia dei Carabinieri di Manfredonia e agenti della Polizia di Stato, ai quali era stata affidata la conduzione dell’indagine.
La guerra dopo la frattura

Ma sono tanti gli episodi di cronaca che vedono la mafia garganica protagonista negli ultimi anni. Dopo la frattura tra le famiglie Romito e li Bergolis, la “guerra” si era aperta a suon di omicidi. Il 21 aprile 2009 trovarono la morte Franco Romito (fratello di Mario Luciano) e Giuseppe Trotta, il 23 maggio dello stesso anno invece, fu la volta di Andrea Barbarino. Il 26 ottobre invece, toccò a Francesco li Bergolis assassinato con un colpo di lupara alla schiena e 6 colpi di rivoltella alla testa per vendicare Franco Romito, allevatore assassinato a Siponto perché considerato un traditore. Un botta e risposta clamoroso a distanza di pochi mesi al quale seguirono altri episodi di sangue. Come quello del 13 gennaio 2010 culminato con l’omicidio di Michele Alfieri. Mentre il 26 giugno, sempre del 2010, venne eliminato (come raccontato in precedenza) Michele Romito mentre Mario Luciano Romito riuscì a farla franca. L’escalation criminosa è poi continuata il 30 giugno 2010 con l’omicidio di Leonardo Clemente.
La fine del boss

Ma il momento clou della storia recente della faida garganica è datato 13 maggio 2011 quando beccarono Giuseppe Pacilli, alias “Peppe U’ Montanar”, uno dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia. Giuseppe Pacilli era un vero boss. Molto diverso nell’aspetto dalle ultime foto segnaletiche scattate alcuni anni fa. Decisamente invecchiato, anche se ha solamente 42 anni, capelli lunghi, molto trasandato nella sua mimetica e nel suo giubbotto nero, grazie ai quali ha tentato di confondersi fino all’ultimo minuto, tra i boschi del Gargano. C’è riuscito per molto tempo. Più volte è sfuggito alla cattura grazie ad una conoscenza del territorio che hanno solo gli allevatori del posto. Pacilli era evaso dagli arresti domiciliari nel 2008 e da allora era ricercato. Era stato inserito nell’elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità del Ministero dell’Interno, e indicato dagli inquirenti prima come ex autista e uomo di fiducia del capo clan Francesco Libergolis, detto ‘Ciccill’, ucciso nell’agguato di ottobre 2009, poi braccio operativo del successore Franco Libergolis, nipote di Francesco.
Dopo l’arresto di quest’ultimo, avvenuto ad opera dei carabinieri, a seguito di un’altra lunga latitanza, Pacilli aveva assunto il comando del clan Libergolis, gestendo soprattutto il settore delle estorsioni che incide pesantemente sul tessuto economico dell’area garganica. “Pepp u’ montanar” era stato arrestato nel 2004 nell’ambito della famosa operazione “Iscaro Saburo”, per i reati di mafia, estorsioni ed armi. Il 23 giugno 2004 nel blitz, oltre a Pacilli, vennero arrestate altre cento persone presunte affiliate ai clan della faida. Dopo il maxi processo, a luglio 2008, era arrivata la sentenza, clamorosa, della Corte d’Appello di Bari che gli aveva concesso gli arresti domiciliari. Pacilli ne aveva subito approfittato per darsi alla macchia. Il processo scaturito al blitz “Iscaro Saburo” accertò la presenza, a partire dalla fine degli anni settanta, di due clan contrapposti: i Libergolis-Romito (dal 2009 non più alleati, ma nemici) e gli Alfieri-Primosa.
Il 21 aprile 2009, il boss Franco Romito e il suo autista Giuseppe Trotta vennero crivellati nella loro auto a Siponto. Franco Romito venne trovato con il volto completamente sfigurato e senza mano sinistra. Franco Romito potrebbe essere stato ucciso perchè, per anni, con i suoi familiari, era informatore dei carabinieri per molte indagini sulla famiglia mafiosa del clan opposto Li Bergolis. Pacilli è stato uno dei protagonisti della cosiddetta “faida del Gargano”. Sul promontorio esiste una mafia arcaica e violenta, fatta di pastori e masserie. Le attività maggiormente redditizie dei clan garganici sono il traffico di droga e armi, oltre al racket delle estorsioni. Anche per ragioni geografiche il controllo del territorio è assoluto. Le cosche sono note anche perché hanno prodotto, nel corso di una trentina d’anni, circa cento omicidi, di cui alcuni commessi e ordinati proprio da Giuseppe Pacilli.