La “guerra” dell’agricoltura tiene banco nella campagna elettorale tra i due aspiranti presidenti della Puglia, Michele Emiliano e Raffaele Fitto. Il Psr continua ad essere la materia del contendere e l’ex assessore regionale, Leonardo Di Gioia, oggi candidato nel centrodestra, ha messo sul piatto le sue ragioni, elencando in un video tutte le cause della sua rottura con il governatore uscente.
“Contro Michele Emiliano non ho nulla, mi sta simpatico, è una persona con la quale ho condiviso un pezzo della mia vita politica per il territorio, militando in una condizione civica. Ma in maniera analitica le nostre due esperienze non potevano andare in parallelo. Non ho cambiato ideato sul fatto che lui sia una persona solare, positiva con cui si può colloquiare di sport, della Juve. Ma sono convinto che le sue politiche abbiano arrecato più danni che benefici al territorio, ma questo nulla ha a che fare con le furbizie delle politiche o col fatto che io sia candidato. Non sto più nello schieramento di Michele Emiliano, non essendo mai stato un uomo di centrosinistra, perché il territorio ha avuto danni, è stato mandato in tilt un sistema”, dice in esordio in uno dei suoi video estivi, che ha avuto maggiore successo, toccando le 16mila views.
Di Gioia nelle sue dirette fa una lunga disamina della sua esperienza di assessore alle Politiche agricole e del Psr.
“Il Psr è un fondo europeo generato da un regolamento europeo mette a disposizione 1,6 miliardi di euro, deve essere dato con criteri di premialità in funzione di capacità di produrre investimenti per migliorare asset fondamentali. I fondi si possono dare per meriti ambientali, si possono dare per i fattori produttivi, si possono dare a chi migliora in termini di prodotto e processo. Ma questi soldi non erano sufficienti per tutti, le richieste superano infatti i 6 miliardi”.
Secondo il bando messo su dalla struttura, i finanziamenti sarebbero andati a chi può utilizzare meglio le risorse, quindi, ha spiegato Di Gioia, “non a quelli che sono forti finanziariamente, non a quelli che non hanno risorse proprie perché non sono disponibili a co-partecipare nell’investimento, ma a quelli che con le risorse europee avrebbero potuto fare un balzo in avanti importante”.
“È stato fatto un bando secondo cui i punti vanno a chi migliora la propria performance economica. Ma nella interpretazione degli imprenditori, non essendo le imprese agricole delle aziende con i bilanci in regola depositati in camera di commercio, noi abbiamo verificato un eccesso delle proprie performance. Le aziende hanno raccontato, per aver accesso al finanziamento pubblico, incrementi di produzioni enormi. Questo elemento ha creato un fattore distorsivo: gli onesti si sono trovati di fronte a molti furbi, e i ricorsi al Tar hanno cominciato ad impallare la vicenda. Col tempo avevamo depurato le graduatorie, chi non aveva criteri veniva eliminato. Ma cosa è accaduto? Mentre finivamo queste istruttorie, il presidente Emiliano con l’ausilio di alcuni tecnici che consigliavano soluzioni più drastiche ha proposto di semplificare alcuni criteri del bando. L’idea di Emiliano era di togliere i paletti complicati e avvantaggiare chi vuole investire”.
Come ha ripetuto più di una volta Di Gioia, “in astratto questa idea è condivisibile, ma nella pratica si chiedeva di evitare tutti i durc sulle capacità contributive, di non chiedere qual era la capacità autonoma della aziende, si chiedeva di non validare la disponibilità di concessioni e autorizzazioni”.
“Nell’idea di Emiliano si dovevano dare i soldi a prescindere salvo poi fare le verifiche 9 mesi dopo averli dati, ovviamente è un atto che se in astratto può sembrare brillante, nella realtà si scontra con molte regole, con molti regolamenti, e leggi. E si scontra anche col bando. Noi avevamo delle aziende che non erano in regola con i contributi, con le concessioni e che non avevano i soldi per poter fare il cofinanziamento. Quella che sembrava una soluzione era una furbata che poteva costare a quelli onesti”.
Da qui la rottura tra il civico ed Emiliano.
La conclusione è amara: “Nel momento in cui mi è stato prospettata questa soluzione io ho rassegnato le mie dimissioni, non ritenendo legale questa ipotesi. Quando sono andato via hanno finanziato oltre 100 aziende, facendo un danno non solo al sistema Puglia ma anche a quelle aziende che dopo il ricorso al Tar dovranno essere risarcite. Si sono dati soldi per costruire immobili e capannoni, che non hanno le concessioni edilizie. Per la regione oggi vale il fatto di raggiungere un target di spesa, ma le sentenze hanno demolito le graduatorie furbe: il caso e il Covid hanno svelato le furbate, che non hanno retto alla prova del Tar, tutto è stato smascherato prima delle elezioni. Il tema della distribuzione delle risorse del Psr è un tema importante. Ma è importante quanto il rispetto delle regole”.