Il clan Li Bergolis-Miucci-Lombardone vacilla sempre più. Come anticipato settimane fa da l’Immediato, non c’è solo Matteo Pettinicchio tra i collaboratori di giustizia, a lui si sono aggiunti due presunti “pesci piccoli”, Matteo Lauriola, 34enne di Manfredonia, e Giuseppe Stramacchia, 39enne originario di San Giovanni Rotondo. Sono ora una quindicina i pentiti sul Gargano tra i montanari e il gruppo Lombardi-Scirpoli-Raduano.
La collaborazione emerge dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dalla Dda di Bari nell’ambito dell’inchiesta “Mari e monti”, che coinvolge 50 indagati accusati a vario titolo di ben 57 reati. Tra loro spiccano Enzo Miucci di cui Pettinicchio era braccio destro e suo fratello Dino Miucci.
L’operazione e la fase processuale
Il blitz che diede avvio all’indagine risale ad ottobre scorso e portò all’arresto di 39 persone. L’atto appena notificato dalla Dda prelude ora alla richiesta di rinvio a giudizio. I difensori avranno 20 giorni per presentare memorie, richiedere interrogatori o sollecitare ulteriori accertamenti.
Dei 50 indagati, 41 sono attualmente detenuti: 32 in carcere e 9 ai domiciliari. I pentiti sono tutti in cella: oltre a Lauriola e Stramacchia, figurano Pettinicchio e i rivali viestani Marco Raduano e Gianluigi Troiano, entrambi pentiti.
L’inchiesta: “Miucci capo assoluto, narcotraffico il vero motore”
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il clan dei montanari ha continuato ad agire anche dopo le condanne storiche inflitte ai fratelli Armando, Franco e Matteo Li Bergolis nel maxi-processo alla mafia garganica “Iscaro-Saburo” dei primi anni 2000.
Alla guida del gruppo si sarebbe insediato il cugino Enzino Miucci, alias “U’ Criatur”, detenuto dal 2019 ma ritenuto ancora oggi operativo e decisionista. Subito sotto di lui, secondo l’atto d’accusa, agivano Matteo Pettinicchio, Lorenzo Scarabino, Raffaele Palena e Saverio Tucci detto “Faccia d’angelo”, ucciso ad Amsterdam nel 2017 per motivi legati al narcotraffico.
Tre cellule operative e sei morti in guerra
Il clan risulterebbe articolato in tre cellule: quella di Monte Sant’Angelo, divisa in due sottogruppi guidati da Scarabino e Palena; quella manfredoniana; e quella viestana, retta da Girolamo “Peppa Pig” Perna (ucciso) e dai cugini Giovanni “Smigol” Iannoli e Claudio “Cellin” Iannoli. Sarebbero stati membri del clan anche sei affiliati uccisi tra il 2016 e il 2019 nella guerra contro il gruppo rivale: Giuseppe Silvestri, Gianmarco Pecorelli, Omar Trotta, Girolamo Perna, Giampiero e Vincenzo Vescera.
Alleanze e intrecci criminali
La forza del clan, secondo la Dda, si fonda anche su una fitta rete di alleanze nel Foggiano e fuori provincia: in primis con le ‘ndrine calabresi (clan Pesce-Bellocco di Rosarno), ma anche con la batteria Sinesi-Francavilla della “Società Foggiana”, come dimostrano alcune lettere dal carcere. In una, Emiliano Francavilla scriveva a Miucci: “Saremo noi il vero virus quando usciremo”.
Intatti anche i rapporti con la criminalità barese, fondamentali per il traffico di droga. Le estorsioni restano una fonte di introiti, ma è il narcotraffico – soprattutto a Vieste – il vero motore dell’organizzazione.
Il muro dell’omertà che inizia a crollare
Fino a pochi mesi fa, il clan Li Bergolis-Miucci era considerato un blocco monolitico. A rompere il silenzio ci ha pensato prima Pettinicchio e ora Lauriola e Stramacchia. Un cambiamento profondo che potrebbe rivelarsi decisivo nei futuri procedimenti penali. Per la Dda, è un’occasione storica per colpire una delle strutture mafiose più radicate e pericolose della provincia di Foggia. Pettinicchio ha già rivelato particolari scottanti sia in un processo dove è imputato e sia in “Omnia Nostra”, procedimento penale nei confronti dell’organizzazione nemica.