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Home - HGV di San Severo, la rivoluzione digitale che fa rivivere la storia: “Ora i docufilm su Briganti e Nadia Roccia”

HGV di San Severo, la rivoluzione digitale che fa rivivere la storia: “Ora i docufilm su Briganti e Nadia Roccia”

Dal digitale ai beni culturali, fino al true crime: il percorso innovativo di Nicolangelo De Bellis

Di Gianni Flamini
16 Marzo 2025
in LA DAUNIA CHE VA, San Severo e Alto Tavoliere
Nicolangelo De Bellis

Nicolangelo De Bellis

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Chi l’ha detto che con la cultura non si mangia? L’archeologia e l’arte della riscoperta rivivono grazie alle ricostruzioni 3D dell’impresa sanseverese HGV Italia, che riscopre la storia locale e nazionale con l’ausilio delle nuove tecnologie. Intelligenza artificiale, reti ottiche, realtà aumentata e altro ancora permettono oggi di ricostruire tesori millenari come Villa Faragola, lo splendido insediamento di età romana ad Ascoli Satriano, o l’antica Ercolano prima dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.. Questi sono solo due esempi delle ricostruzioni realizzate dagli esperti di arti grafiche, studiosi di storia patria e sviluppatori che lavorano nel laboratorio creativo di via Legnano 32 a San Severo, negli stessi locali che un tempo ospitavano la HGV Advertising. Da una semplice agenzia pubblicitaria, l’azienda ha ampliato il suo raggio d’azione fino a produrre contenuti cinematografici per la promozione del patrimonio artistico e monumentale. Molti anni sono passati da quando HGV si occupava principalmente di pubblicità commerciale e promozione aziendale. Oggi, la società sanseverese è in piena trasformazione e guarda sempre più al futuro. San Severo e Bologna sono diventati i poli operativi del gruppo, con il fondatore Nicolangelo De Bellis impegnato a creare nuove connessioni professionali e a sviluppare nuovi progetti cinematografici. Lo abbiamo ascoltato, ecco l’intervista in esclusiva per l’Immediato.

HGV è sempre più proiettata sulle riproduzioni virtuali, le ricostruzioni storiche e il segmento “crime”. Come nasce questa svolta?

«Investire sul digitale e passare dalla pubblicità mainstream a nuove forme di comunicazione ancorando questo passaggio alla frontiera delle nuove tecnologie sembrava un azzardo dieci anni fa. All’epoca, HGV Advertising decise di compiere un grande passo, intuendo le opportunità offerte dal web e dalle risorse digitali. Oggi, con dieci dipendenti e una sede operativa a San Severo, HGV è protagonista di campagne pubblicitarie commissionate da importanti gruppi imprenditoriali locali. Il passaggio al digitale è stato una sfida, ma si è rivelato una scelta vincente. Prima il web, poi i social, e infine la rivoluzione tecnologica accelerata dal Covid, che ha reso la comunicazione digitale uno strumento essenziale».

Dalla pubblicità commerciale al digitale, fino all’intelligenza artificiale. Un continuo inseguire l’innovazione tecnologica, ma negli ultimi vent’anni avete vissuto una vera rivoluzione.

«Senza dubbio. Fino agli anni 2000, HGV era un’impresa commerciale e veniva riconosciuta per la sua capacità di anticipare i cambiamenti della comunicazione. Abbiamo operato in tutti i settori dell’advertising, curando anche l’informazione politico-istituzionale. Abbiamo seguito le prime campagne pubblicitarie di Sarni, promosso l’insegna della Mongolfiera e lavorato con aziende come Tamma, Aquilano e Bellantuono, che hanno segnato la crescita economica della provincia di Foggia. Siamo sempre stati attenti ai segnali del mercato e pronti a cogliere le opportunità. Abbiamo capito che la comunicazione stava cambiando radicalmente e abbiamo deciso di puntare sui beni culturali quando ancora in pochi ci credevano. L’Italia possiede un patrimonio artistico unico al mondo, ma solo recentemente si è compreso quanto fosse fondamentale valorizzarlo attraverso le nuove tecnologie».

Seguendo questa direzione, avete ricostruito anche importanti siti archeologici della Capitanata, come Villa Faragola. Come nasce l’interesse per la storia antica?

«Abbiamo utilizzato lo stesso approccio delle campagne pubblicitarie: studiare il mercato, individuare le necessità e proporre soluzioni innovative. Abbiamo presentato i nostri progetti alle soprintendenze e agli enti pubblici, trovando il sostegno di istituzioni locali. Oggi la tecnologia ci permette di ricostruire fedelmente ciò che a occhio nudo può sembrare solo un cumulo di pietre. Quante scolaresche si appassionano davvero durante la visita a un museo? Fino a qualche anno fa, la visita a un sito archeologico era un’esperienza passiva. Ora, grazie alla realtà aumentata, un’area archeologica può prendere vita, trasformando la storia in un’esperienza immersiva».

Molti musei, come il Louvre o la National Gallery, attirano folle di visitatori. Crede che la tecnologia possa anche rivoluzionare la didattica?

«Quando abbiamo iniziato a lavorare sulle ricostruzioni digitali, abbiamo dovuto confrontarci con un metodo tradizionale di fare ricerca, basato su mappe e documenti d’archivio spesso frammentari. È stato impossibile non pensare alla straordinaria opera divulgativa di Piero Angela, che ha reso la storia accessibile a tutti. Ci siamo ispirati a quel modello, cercando di rendere la cultura più coinvolgente e interattiva. Oggi la tecnologia può davvero rivoluzionare la didattica, offrendo agli studenti strumenti nuovi per apprendere in modo più stimolante e immersivo».

Come nasce la collaborazione con Alberto Angela?

«La collaborazione è nata grazie al regista Gabriele Cipollitti, che cura le produzioni di Piero e Alberto Angela. Abbiamo realizzato ricostruzioni digitali per il programma “Ulisse”, fornendo il nostro contributo alla valorizzazione del patrimonio storico attraverso le tecnologie più avanzate».

Uno dei vostri progetti più attesi è il docufilm sull’omicidio di Nadia Roccia. Perché avete scelto questa storia?

«Ci stiamo lavorando proprio in questi giorni e nel giro di due mesi partiremo con le riprese. L’omicidio di Nadia Roccia, avvenuto nel 1998 a Castelluccio dei Sauri, fu un caso sconvolgente: due adolescenti uccisero brutalmente la loro migliore amica con una freddezza agghiacciante. Il nostro obiettivo non è solo ricostruire il crimine, ma anche analizzare il contesto sociale e psicologico in cui questa tragedia ha avuto origine. Grazie a documenti inediti, offriremo una chiave di lettura più ampia, cercando di capire cosa abbia portato due ragazze a compiere un atto così estremo».

Perché avete pensato di ricostruire proprio il caso di Nadia Roccia?

«Faccio il piccolo produttore indipendente, seguo le tendenze del mercato e le proposte che ci vengono sottoposte. Il genere “crime” è tra i più richiesti oggi, e il regista Pippo Mezzapesa ha girato una fiction sul caso di Avetrana che ha riscosso grande successo. Noi ci inseriamo in questo filone, ma con una vicenda che risale a molti anni prima. Racconteremo nel nostro docufilm un caso che fece scalpore nel 1998, dimostrando come certi impulsi omicidi tra i giovani fossero presenti già nella provincia italiana, ben prima che il grande pubblico iniziasse a parlarne. La tragedia di Avetrana accadde nel 2010, dodici anni dopo il caso di Nadia Roccia, ed è rimasta impressa nell’immaginario collettivo. Ma il nostro obiettivo è riportare l’attenzione su un’altra storia torbida e inquietante, in cui due ragazze poco più che adolescenti inscenarono un delitto e lo portarono a termine con una determinazione sconcertante».

Sarà un docufilm focalizzato solo sul caso specifico o allargherete lo sguardo alla società dell’epoca?

«Avrà riferimenti e documentazione vera e inconfutabile sulla realtà sociale di quegli anni. Il regista sarà Luciano Toriello, un documentarista a tutto tondo, che intende partire dal contesto generale dell’epoca per cercare di individuare le cause profonde di quel degrado emotivo e relazionale che portò a un evento così tragico. Vorrei spendere due parole in più su Toriello: è un giovane regista che si sta facendo strada, molto bravo nel ricostruire vicende delicate senza mai forzare la mano, mantenendo un tono equilibrato e rispettoso. Non vogliamo spettacolarizzare la sofferenza, ma offrire uno sguardo lucido su quanto accadde, anche per rispetto della comunità di Castelluccio dei Sauri, che subì il trauma di questa vicenda».

Il documentario sui briganti, tra vizi e virtù, in cosa si discosta dagli altri lavori sul tema? Come nasce questo progetto e in che modo pensate di realizzarlo?

«È uno dei nostri progetti più ambiziosi. Vogliamo raccontare l’Unità d’Italia da un punto di vista differente, partendo da coloro che vissero quella storia in posizione marginale, eppure ne furono protagonisti. Abbiamo scritto il progetto con il contributo del meridionalista Pino Aprile e dello storico Giordano Bruno Guerri, due voci autorevoli su questo argomento. In questi ultimi mesi abbiamo avuto contatti anche con altre produzioni nazionali, con cui abbiamo già collaborato in passato».

Passerete così dalla narrazione alla Superquark al crime, un genere di cui è maestro Carlo Lucarelli. Un cambio di tono radicale.

«Molto ha influito l’evoluzione dei nostri collaboratori e la mia personale maturazione professionale. Lavoriamo da anni per sviluppare HGV, e abbiamo sempre avuto l’obiettivo di rispondere alle esigenze di mercato con una produzione di qualità. Quando ci occupavamo di attività pubblicitarie commerciali, le aziende si rivolgevano a noi per incrementare il proprio business, confidando nelle nostre capacità di comunicazione. Questo stesso metodo lo abbiamo applicato nel passaggio alle produzioni culturali e cinematografiche. Personalmente, sono sempre stato appassionato di arte e cinema. La mia formazione nasce proprio tra teatro e cinema, essendo stato allievo del DAMS di Bologna, negli stessi anni in cui si muoveva Andrea Pazienza, sanseverese anche lui e tra i più innovativi fumettisti italiani. L’istinto ci ha sempre portato verso scelte coraggiose e visionarie. Quando abbiamo iniziato a lavorare sulla creatività artistica, ci siamo accorti di quanto questo mondo fosse arretrato nella comunicazione visiva. Oggi, grazie alle nuove tecnologie, possiamo raccontare la storia e la cronaca con una potenza espressiva che un tempo non era neanche immaginabile».

Un visionario come Andrea Pazienza come si sarebbe confrontato con Internet?

«Purtroppo è morto giovanissimo, il 16 giugno 1988, senza poter vedere l’arrivo di Internet e tutto ciò che ne è derivato. Ma conoscendolo, oggi sarebbe stato un grande video-artist. Già all’epoca riusciva a comunicare con il pubblico in modo unico e innovativo, combinando contenuti e immagini in un linguaggio rivoluzionario. Era un grande sperimentatore, sempre in anticipo sui tempi. Oggi, la velocità con cui le nuove tecnologie avanzano è impressionante. Noi stessi stiamo lavorando con l’Intelligenza Artificiale, che offre possibilità straordinarie. Ma al tempo stesso, ci spaventa. Se non viene utilizzata con consapevolezza e controllo, rischiamo di diventarne succubi. Il vero obiettivo deve essere imparare a sfruttarla come uno strumento per migliorare la vita e non subirla passivamente. Abbiamo già realizzato creazioni con l’AI che sembrano quasi incredibili, ma tutto questo deve far riflettere sulla direzione che stiamo prendendo».

HGV nasce nel 1986. In questi anni siete cresciuti anche in termini di fatturato e numero di dipendenti?

«La nostra crescita è stata radicale, e i nostri fatturati sono sempre stati solidi. Altrimenti non avremmo potuto affrontare le nuove sfide. Nel corso del tempo, abbiamo sempre avuto al nostro interno un team di creativi e tecnici, in grado di affrontare i cambiamenti e adattarsi all’evoluzione tecnologica. Negli anni ‘90, quando eravamo ancora focalizzati sulla pubblicità, avevamo più manodopera che creativi. Poi, con il passaggio al digitale e alla tecnologia avanzata, abbiamo dovuto investire su specialisti altamente qualificati, portati ad aggiornarsi costantemente. Oggi, in HGV, lavorano dieci dipendenti, quasi tutti esperti di nuove tecnologie».

La formazione attraverso i corsi di Apulia Digital Maker quanto ha influito nella vostra crescita?

«Moltissimo. Apulia Digital Maker è stata fondamentale nel formare nuovi talenti, alcuni dei quali sono poi entrati a far parte del nostro team. L’ITS di Foggia ha preparato giovani altamente specializzati, che hanno trovato da noi un ambiente stimolante in cui sviluppare le loro capacità. HGV è una delle pochissime realtà del Sud Italia in grado di sviluppare competenze digitali e artistiche di livello nazionale. E questo ci permette di competere con aziende più grandi e strutturate».

Prima con la pubblicità si lavorava con ritmi e dinamiche più compassati, adesso anche con il digitale tutto è più accelerato?

«Grazie ad Apulia Film Commission, la Puglia è diventata molto più attrattiva per le produzioni cinematografiche. Questo è stato possibile grazie all’intuizione dell’amministrazione regionale guidata da Nichi Vendola, che ha puntato fortemente sul settore audiovisivo. Negli ultimi anni, il comparto si è sviluppato enormemente e aziende come la nostra hanno potuto avvicinarsi a progetti un tempo impensabili. Ora, il nostro obiettivo è fare il salto di qualità, ampliando ulteriormente le nostre competenze. Tuttavia, ci scontriamo con la mancanza di spazi adeguati per lavorare. Mi chiedo come sia possibile che non si pensi a una riorganizzazione dell’Ente Fiera di Foggia, con l’obiettivo di valorizzare e supportare le imprese del territorio. Con l’Accademia di Belle Arti di Foggia, potremmo creare importanti sinergie, ma servirebbero spazi adeguati per la realizzazione delle scenografie. I padiglioni della Fiera di Foggia sarebbero perfetti per questo scopo. Inoltre, potremmo fornire servizi tecnici alle troupe cinematografiche che scelgono la Puglia per girare le loro produzioni finanziate da Apulia Film Commission. Alcune scene dell’ultimo film di Sergio Rubini sono state girate proprio sulla spiaggia di Mattinata, e in quella sede, sempre per conto di Apulia Film Commission, abbiamo realizzato il Museo del Cinema. Sono esempi concreti di come si potrebbe stimolare la creatività e l’economia del territorio. E invece vedo distrazione su questi temi, se non addirittura una certa ostilità da parte delle istituzioni. Se non si interviene con una visione chiara e lungimirante, l’Ente Fiera di Foggia rischia di morire su sé stesso, senza mai diventare un vero polo di sviluppo per le imprese creative del territorio».

Le ricostruzioni di Villa Faragola, di Piazza Carmine di San Severo e di altri luoghi storici quanto rientrano nel patrimonio culturale della provincia di Foggia? Sono paragonabili alla “mena delle pecore” di epoca borbonica?

«Quando firmiamo la realizzazione di questi progetti al di fuori della provincia di Foggia, notiamo che l’interesse è molto più alto. Uno spezzone della nostra ricostruzione dell’antica Ercolano prima dell’eruzione del Vesuvio è stato trasmesso dal programma di Rai Tre “Alle falde del Kilimangiaro”, e sempre Rai Tre Puglia ha recentemente dedicato un servizio al nostro lavoro, mettendo in evidenza il valore della ricerca e dello studio alla base dei nostri docufilm. Tuttavia, c’è un problema di fondo: spesso notiamo che alcuni progetti di valorizzazione storica vengono finanziati dalle amministrazioni locali senza una vera programmazione, quasi solo per far girare i bandi pubblici. Questa mentalità è dannosa, perché non si comprende fino in fondo l’importanza di un lavoro di qualità. Non si tratta solo di produrre contenuti digitali o di realizzare ricostruzioni scenografiche. Il vero obiettivo dovrebbe essere accrescere il valore culturale di un luogo, e di conseguenza anche il senso di appartenenza e di identità della comunità locale. In provincia di Foggia e in tutta la Puglia ci sarebbe moltissimo da fare in tal senso. Ci auguriamo che il nostro lavoro possa stimolare una maggiore sensibilità su questi temi. Spesso, gli enti pubblici pensano prima alla gestione dei servizi essenziali, e questo è comprensibile. Ma amministrare un territorio non significa solo garantire il funzionamento della macchina burocratica. Purtroppo, devo constatare con rammarico che mentre il mondo corre avanti con strumenti tecnologici sempre più avanzati, una parte della politica locale è ancora ferma a schemi superati, come se stesse usando un telefono a gettoni in un’epoca di smartphone di ultima generazione».

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