“Non ho mai parlato del tentato omicidio di Roberto Sinesi né con Pietro Antonio Nuzzi né con Andrea Romano; di quell’agguato non so niente, anche considerato che all’epoca dei fatti ero detenuto”. È questa la posizione assunta da Emiliano Francavilla, uomo di vertice del clan omonimo federato con i Sinesi, interrogato in videoconferenza dal carcere di L’Aquila nell’ambito del processo che vede imputato Giuseppe Albanese, detto “Prnion”, accusato del triplice tentato omicidio di Roberto Sinesi, della figlia Elisabetta e del nipotino di 4 anni.
L’attentato, avvenuto il pomeriggio del 6 settembre 2016 nel rione Candelaro, si inserisce nella lunga faida interna alla Società foggiana, culminata tra il 2015 e il 2016 con una serie di regolamenti di conti tra i clan Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza: tredici mesi di sangue con dieci sparatorie, tre morti e undici feriti.
Secondo l’accusa, basata sulle rivelazioni di quattro collaboratori di giustizia, Albanese sarebbe stato uno dei tre sicari che, a bordo di una Fiat 500 rossa, aprirono il fuoco con mitra e pistola contro la Fiat 500 nera su cui viaggiavano Sinesi e la figlia. Il boss rimase ferito gravemente al petto, mentre il bambino fu colpito alla spalla. Sinesi, nonostante le ferite, rispose al fuoco e mise in fuga i killer.
Francavilla smentisce i pentiti
A tirare in ballo Emiliano Francavilla erano stati due pentiti: Pietro Antonio Nuzzi di Altamura, collaboratore dal 2017, e Andrea Romano, ex esponente della Sacra Corona Unita, passato dalla parte della giustizia nel 2020.
Nuzzi, nell’udienza del 13 febbraio 2024, aveva dichiarato di aver assistito a un rimprovero ad Albanese da parte di due esponenti del clan Moretti nel carcere di Foggia: gli avrebbero contestato di aver sparato nonostante la presenza di un bambino. Inoltre, sempre secondo Nuzzi, Francavilla gli avrebbe confidato che Elisabetta Sinesi aveva riconosciuto Albanese come uno dei sicari.
Romano, invece, nell’udienza del 30 aprile 2024, aveva raccontato di due conversazioni avute nel carcere di Tolmezzo con Francavilla, nel corso delle quali quest’ultimo avrebbe parlato dell’agguato, indicando Albanese come uno degli esecutori. Secondo Romano, un mese dopo quell’attacco, Albanese scampò a un tentato omicidio (l’agguato nel bar H24) ordinato dagli stessi Sinesi-Francavilla come vendetta per la sparatoria di Candelaro.
Francavilla: “Non ho mai avuto rapporti con Sinesi”
Nella sua deposizione, Francavilla ha negato ogni coinvolgimento e ha contestato la credibilità dei pentiti. “Con Nuzzi sono stato solo tre giorni in carcere a Foggia, non lo conoscevo prima. Già allora girava voce che potesse pentirsi”, ha dichiarato, escludendo di avergli mai riferito informazioni sul tentato omicidio.
Quanto a Elisabetta Sinesi, Francavilla ha precisato che è la moglie di suo fratello Antonello, ma che l’ha vista solo una volta in carcere a Tolmezzo quando venne a fargli conoscere il nipote. “Quel colloquio era intercettato, potete ascoltare quello che ci siamo detti”, ha aggiunto, suggerendo che l’audio possa smentire le dichiarazioni dei collaboratori.
Sul rapporto con Albanese, il boss ha confermato di conoscerlo da anni, ma ha escluso il suo coinvolgimento nella sparatoria: “Per come lo conosco io, non è persona che va facendo queste cose”.
Il processo continua
Il tribunale ha rigettato la richiesta della difesa di interrogare nuovamente Nuzzi, Romano e gli altri due collaboratori che hanno accusato Albanese: il foggiano Carlo Verderosa e il sammarchese Patrizio Villani. Nella prossima udienza sarà sentito un altro pentito, il viestano Danilo Della Malva.