Condannati in primo grado tre medici della casa di cura “Villa Igea” per omicidio colposo in relazione alla morte di Lucia Alba Disilluso, la paziente ricoverata nella clinica foggiana dal 15 al 21 maggio 2018 e poi trasferita d’urgenza al Policlinico Riuniti, dove morì il 1° giugno a causa di una peritonite.
Il giudice monocratico Loretta Plantone ha inflitto una condanna a sei mesi per Giuseppe Trincucci e a quattro mesi per Mariangela Accettulli e Alessandro Toma, con pena sospesa per tutti e tre. La sentenza accoglie in parte la richiesta della Procura di Foggia, che aveva sollecitato tre condanne, così come avevano fatto gli avvocati costituiti parte civile per i familiari della vittima. Gli imputati dovranno inoltre risarcire i danni, la cui entità sarà quantificata in un’eventuale causa civile.
I difensori dei tre medici hanno preannunciato ricorso in appello, sostenendo che non vi fu alcuna colpa medica né ritardi nella diagnosi, in quanto i sintomi della paziente non facevano sospettare una peritonite.
L’accusa: “Omesse indagini, poteva essere salvata”
L’inchiesta della Procura di Foggia, inizialmente, vedeva coinvolti anche i sanitari del Policlinico Riuniti, che ebbero in cura la paziente dopo il trasferimento dalla clinica. Al termine delle indagini, il pm chiese il rinvio a giudizio per quattro medici di Villa Igea, ma uno fu prosciolto in udienza preliminare, mentre gli altri tre furono rinviati a giudizio e ora condannati.
Secondo l’accusa, tra il 18 e il 21 maggio 2018, i medici della clinica non avrebbero effettuato gli esami necessari per individuare la perforazione intestinale che poi portò la paziente alla morte.
“Lucia Disilluso fu ricoverata il 15 maggio per gravi disturbi alimentari presso l’unità di neurologia. Quando le sue condizioni si aggravarono a partire dal 19 maggio, furono omesse indagini strumentali ed esami di laboratorio per accertarne la causa”, sostiene il capo d’imputazione.
L’accusa ritiene che, se gli esami fossero stati eseguiti, sarebbe stato possibile rilevare segni indiretti della perforazione intestinale e intervenire per tempo, evitando il decesso per shock settico e insufficienza multiorgano.
La donna fu trasferita il 21 maggio al Policlinico Riuniti, dove i medici tentarono di salvarla con un intervento chirurgico e terapie intensive, ma senza successo.
La difesa: “Nessun sintomo di peritonite, accuse infondate”
Di parere opposto il collegio difensivo, che contesta la ricostruzione della procura e ribadisce l’assenza di segnali clinici riconducibili a una peritonite nel periodo di ricovero a Villa Igea.
“I medici imputati devono essere assolti: la paziente non aveva febbre, né segni di shock settico o sintomi specifici di una perforazione intestinale”, sostengono gli avvocati.
Alla luce della sentenza di primo grado, la difesa ha già annunciato ricorso in appello, con l’obiettivo di ottenere l’assoluzione.
La vicenda, riportata dalla Gazzetta del Mezzogiorno, ha suscitato grande attenzione, sia per le implicazioni giuridiche sia per le ripercussioni sul tema della responsabilità medica nelle strutture sanitarie private. La battaglia giudiziaria, dunque, è tutt’altro che conclusa.