Un solo nome, quello dei fratelli Sarni, affianca il dominio di Autogrill sulle autostrade italiane. Ma ora il gruppo che in un trentennio ha sviluppato e potenziato la filiera dei centri commerciali tra il Barese, la provincia di Foggia, l’Abruzzo e le Marche (le gallerie più note: Mongolfiera, GrandApulia, Monforte, Sarni Bistrò, Il Molino) e che ha lanciato la linea dei “Sarni Oro”, i preziosi per tutte le tasche venduti negli ipermercati, sta per spiccare il suo salto di qualità più identitario sul business delle stazioni di servizio. Partendo da un’idea antica, come quando i Sarni nella natìa Ascoli e dintorni gestivano le pompe di benzina. Oggi però siamo in pieno «upgrade»: non più solo distribuzione di carburanti, ora il gruppo farà anche import dei prodotti petroliferi. Oggi il gruppo Sarni è una potenza di fuoco che fattura 450 milioni di euro e dà lavoro a 2500 persone, ma su queste basi poggiano i piani per crescere ancora.
Ma andiamo con ordine. La storia del gruppo di Ascoli Satriano comincia negli anni ’60 quando i fratelli si lanciano nel business degli affari partendo da un insospettabile piccolo bar di famiglia (alle porte del paese), poi con i distributori di benzina. Per dovere di sintesi abbiamo focalizzato l’attenzione ai primi degli anni ’70 quando i Sarni compiono il primo salto di qualità affacciandosi sulla rete nazionale di Autostrade per l’Italia con la gestione diretta delle prime stazioni di servizio sull’A14 nel tratto Foggia-Pescara. Comincia così una scalata inarrestabile, sono oltre duecento le stazioni di servizio e di ristorazione di cui la famiglia foggiana si è aggiudicata le concessioni. Anche se all’inizio sembrava illusorio pensare che il piccolo anatroccolo potesse sottrarre quote di mercato all’ex monopolista (per i ristoranti) Autogrill. Un business che non conosce flessione quello delle autostrade: oggi fra pedaggi al casello e acquisti nelle aree di servizio, gli affari producono ricavi vicini al miliardo di euro (dati primo trimestre del 2024) con un incremento di 33 milioni rispetto al corrispondente periodo del 2023. Numeri consolidati e ottenuti anche grazie al contributo delle insegne di Sarni che svettano su buona parte delle aree di servizio del Centro-Sud (ma se ne trovano regolarmente anche al Nord) al punto che gli “impianti bianchi” (solo ristorazione) della casa foggiana sono un brand riconoscibile per milioni di automobilisti. C’era un tempo in cui entrare con la propria auto in una stazione di servizio significava automaticamente “andare in autogrill”, tanto fosse connesso il legame tra l’area di servizio propriamente detta e il marchio divenuto il primo operatore al mondo nei servizi di ristorazione per chi viaggia. Servizio sempre più apprezzato dagli automobilisti che cominciò timidamente ad affacciarsi sulla scena alla fine del 1959 con lo storico primo autogrill di Fiorenzuola d’Arda e che conobbe una progressiva espansione dopo l’inaugurazione dell’intero tratto Milano-Napoli dell’Autostrada del Sole nel 1964.
La storia del gruppo nasce negli anni Sessanta, dal piccolo bar alle porte di Ascoli Satriano
A quel tempo i Sarni erano poco più che ragazzini, ma già si occupavano dell’impresa di famiglia, un bar alle porte di Ascoli Satriano, dove tuttora i fratelli fanno ritorno a casa a ritemprarsi dalle fatiche di un’attività d’impresa sempre più frenetica, cresciuta a dismisura e che ora preannuncia nuove svolte imprenditoriali.
Un successo imprenditoriale che prende spunto, come accennato in apertura, dalla tradizione di famiglia e dalle origini genuine. Adesso la family sta puntando dritto sul marchio “Sarni Oil”, le stazioni di servizio sull’autostrada: ma dalla distribuzione di carburanti, il passo successivo sarà l’acquisto diretto e la distribuzione in proprio dei carburanti. I Sarni hanno infatti acquisito la licenza per la distribuzione del “proprio” carburante, ovvero acquistato alla fonte senza più intermediari. Le navi cisterna dei Sarni arriveranno nei porti della penisola «a breve», dicono fonti aziendali. Oggi i fratelli gestiscono su tutta la rete nazionale 102 stazioni di ristorazione, più 104 stazioni per la distribuzione dei carburanti. «La vendita diretta di carburante sarà il nostro passaggio ulteriore – afferma Antonio Sarni, in questa intervista concessa in esclusiva a “L’Immediato” – non intendiamo fermarci, ma aumentare sempre più il nostro livello di produzione e di mercato. Se ci fermassimo sarebbe pericoloso per la forza di un gruppo che oggi dà lavoro a 2500 persone e contribuisce alla crescita del livello economico e sociale del paese con un occhio di riguardo alla provincia di Foggia, il nostro luogo del cuore che non abbiamo mai dimenticato, né mai lo faremo».
Partiamo allora dai fondamentali per spiegare la genesi di un impero costruito in provincia e che oggi fattura circa 500 milioni di euro. In tutto nove figli, ma nell’impresa entrano solo i 5 fratelli maschi. E le quattro sorelle?
«Le nostre quattro sorelle non si sono mai sentite attratte dal desiderio e dalla curiosità di fare impresa con noi. E’ stato un processo andati avanti per gradi, il bar di famiglia nasce nel 1953 ma già allora i miei genitori e successivamente noi fratelli eravamo incuriositi dall’idea e dalla volontà che si potesse fare di più. Le nostre quattro sorelle hanno sempre supportato e seguito con noi le fasi di questa crescita. Ma ognuna poi ha voluto occuparsi di altro, lasciando a noi maschi le redini delle decisioni più strategiche per la nostra attività».
C’è comunque sempre e solo la famiglia al vertice del gruppo. Vogliamo ricordare chi sono gli altri co-protagonisti di questo piccolo-grande miracolo di provincia e di cosa si occupano?
«Alessandro è il primogenito, ha 77 anni e si occupa degli acquisti per tutto il segmento della ristorazione del nostro gruppo. Poi ci sono io, Antonio, di tre anni più giovane, responsabile dei centri commerciali e della gestione delle oreficerie “Sarni Oro” da Vasto al Sud della penisola, mentre Nicola che ha 71 anni si occupa dell’attività delle oreficerie da Vasto a tutto il Nord. Quindi Teodoro, settant’anni l’anno prossimo, un po’ il tappabuchi del nostro gruppo: interviene quando si verificano problemi di qualsiasi natura, un ruolo il suo delicatissimo. Infine Carmine, il più piccolo, nato nel 1960 a cui è affidato il compito di occuparsi delle gare per le aree di servizio, ruolo anche questo particolarmente strategico per la nostra crescita sulla rete autostradale».

A tutto questo sopravvive ancora il bar Sarni alle porte di Ascoli Satriano.
«Certamente, il bar è sempre là. E’ ancora nostro anche se lo abbiamo dato in gestione a un operatore locale. E’ stato il nostro trampolino di lancio, il punto di partenza dal quale non ci separeremo mai».
Quando nasce il gruppo Sarni, quando è arrivata l’occasione per svoltare finanziariamente?
«Da quando abbiamo cominciato a prendere in gestione le aree di servizio sulle autostrade è cambiata la struttura della nostra società che ha tuttavia mantenuto i caratteri dell’impresa familiare. Eravamo negli anni 1973-74, pochi anni dopo l’apertura dell’A14. Sul tratto Foggia-Pescara c’eravamo già noi con le nostre aree di servizio. Prima come gestori di carburanti, poi abbiamo cominciato a partecipare alle gare per la ristorazione».
Una novità che arriva in realtà dopo una ventina di anni da quegli inizi.
«Il marchio Sarni nasce con la ristorazione sulle aree di servizio, negli anni 1994/95. Noi eravamo sempre pronti a concorrere alle gare sia per la ristorazione che per la gestione delle pompe di benzina. Ma non nella stessa area di servizio, non può esserci un unico conduttore per entrambi i servizi».
Chi viaggia in autostrada da qualche decennio ha dovuto abituarsi alle vostre stazioni, prima c’era solo Autogrill.
«Siamo presenti da Bolzano a Canicattì. Da trent’anni sulle autostrade, cominciando da quelle del Sud. Ci sentiamo imprenditori del territorio anche partendo dalle cose facciamo».
La svolta negli anni Settanta, con l’avvio dei servizi in autostrada: prima i carburanti sulla A14 (Foggia-Pescara), poi la ristorazione
E’ stato difficile affiancare il monopolio degli Autogrill?
«Non c’è mai stato alcun monopolio di Autogrill, le gare sono sempre state aperte. L’importante è avere i requisiti, disporre della capacità finanziaria per presentare un’offerta credibile e funzionale al servizio da erogare. Quando ci siamo accorti di aver raggiunto determinate caratteristiche abbiamo provato a fare il nostro ingresso in un settore certamente molto particolare. Oltretutto le gare per le stazioni di servizio sono specifiche, si partecipa per ciascuna stazione e non possono esserci proposte di tipo cumulativo».
Rispetto a tutti gli altri gestori di stazioni di servizio tenete ben salda la seconda posizione dietro Autogrill oppure c’è in vista un’ipotesi di sorpasso?
«Siamo sempre secondi, una posizione che ci incoraggia a fare sempre meglio. Anche se tengo a precisare che la nostra non è una forma di competizione. Le nostre 102 stazioni di servizio per la ristorazione e le altre 104 stazioni per la distribuzione di carburanti ci permettono di restare vigili sul mercato e di conquistare, questo sì, altre posizioni laddove se ne presenti l’opportunità».
Quando ad esempio avrete l’ok per distribuire il “vostro” carburante. Può fare previsioni su quando potrà succedere?
«Abbiamo la licenza da due anni per ritirare le navi di carburante già raffinato e poterlo rivendere liberamente nelle nostre stazioni. Ma non c’è ancora il via libera formale».
Il vostro carburante riflette i prezzi di mercato e in che misura?
«Vorremmo acquistarlo direttamente proprio per perseguire una politica di maggior risparmio a beneficio del consumatore. Ci piacerebbe togliere qualche centesimo in più, laddove possibile. Nelle nostre stazioni di servizio a Foggia già lo facciamo: all’incrocio in via Bari abbiamo la pompa di benzina più economica della città. Adesso apriremo un altro distributore in via Napoli».
Avete messo nel mirino anche il distributore della Mongolfiera?
«Per il momento no, quell’impianto viene gestito da un’altra compagnia (Q8: ndr) che si è aggiudicata la gara. Quando scadrà quell’accordo commerciale certo che parteciperemo anche noi alla prossima gara. Noi facciamo sempre così, interveniamo quando ci sono delle dismissioni e sempre in presenza di gare. Non ci interessa mettere il naso negli affari altrui».
La regola qual è, andare sempre avanti per non rischiare di restare impantanati?
«È la legge del mercato, chi si ferma in realtà torna indietro e si annienta da solo. Noi non vogliamo fare passi indietro e per non farne devi per forza portarti più in avanti. Abbiamo avuto sempre questo tipo di impostazione, i fatti credo che ci abbiano dato ragione. E non intendiamo fermarci, almeno fino a quando ne avremo le forze».
La vostra è la prima generazione dei Sarni. La seconda è già pronta?
«Abbiamo tredici fra figli e nipoti, saranno certamente loro il nostro futuro e in parte qualcuno è già insieme a noi con funzioni più o meno operative. Ma oggi ci siamo ancora noi».
Se dovesse sintetizzare in una parola la chiave del nostro successo quale sceglierebbe?
«Il basso profilo. Noi abbiamo sempre avuto questa impostazione, siamo abituati a far parlare le cose che facciamo. È la nostra caratteristica, ma non siamo gli unici. Ci sono molte altre realtà d’impresa in questo territorio che lavorano in silenzio».
Eppure non è stato tutto rose e fiori. Ad esempio sui centri commerciali.
«I centri commerciali in questa provincia nascono con i Sarni, nel 1997 a Foggia con la Mongolfiera, poi a San Severo con il Pianeta Conad ed a Manfredonia il centro commerciale Leclerc. Non è stato facile in nessuno di questi investimenti evitare di finire nelle mire della magistratura».
“Non è stato facile in nessuno di questi investimenti evitare di finire nelle mire della magistratura”
Con il GrandApulia l’ennesima svolta giudiziaria vanificò l’apertura alla vigilia dell’inaugurazione.
«Fu sequestrato a fine 2016, venne poi riaperto un mese dopo. Abbiamo perso un mare di soldi per evitare che gli investitori della galleria scappassero a gambe levate. Se ci penso mi viene ancora una certa agitazione».
Siete finiti sotto inchiesta per accuse di gravi irregolarità, tra queste ricordiamo l’omessa bonifica dell’ex sito industriale, la realizzazione di una discarica abusiva di rifiuti speciali.
«Ci siamo difesi, abbiamo sempre sostenuto la nostra correttezza in quello che abbiamo fatto. Purtroppo le inchieste giudiziarie sulle nostre attività sono una costante quando investiamo in provincia di Foggia. Perchè lo stesso non accade quando apriamo attività a Termoli, Pescara o in altre località della riviera adriatica?».
Si diceva nel 2016, quando apriva il GrandApulia che i centri commerciali fossero al capolinea. Dopo quasi dieci anni la scommessa sembra ampiamente vinta. Come se lo spiega?
«Sono andate al capolinea le mega strutture, quelle che propongono un’offerta merceologica generalizzata. Oggi non è più così, in galleria ci sono solo ditte specializzate, i consumatori cercano quello specifico prodotto. E poi non si va al centro commerciale per acquistare il televisore, o le scarpe. Può starci anche questo, ma è un di più».
Il GrandApulia resterà isolato nell’area industrial/commerciale di Borgo Incoronata?
«No, puntiamo a potenziare l’offerta con nuovi marchi. Puntiamo su brand di successo come Bricoman, Decathlon, Primark quest’ultimo forse il più difficile di tutti a portare in provincia di Foggia. Purtroppo l’area d’interesse non è ancora la più appetibile per certe catene commerciali, rispetto ad altre zone ci sono percentualmente meno acquirenti in grado di poter spendere. Comunque non disperiamo e soprattutto non molliamo la presa».
Puntiamo su brand di successo come Bricoman, Decathlon, Primark
Però va detto che alcuni marchi che vanno per la maggiore nel GrandApulia non solo sono arrivati, a quanto pare registrano buoni introiti altrimenti sarebbero già andati via.
«Ma abbiamo pagato un sacco di soldi per far venire alcuni brand di successo come Zara e H&M. Abbiamo dovuto far trovare loro i locali già pronti, non credevano che avrebbero trovato da parte nostra tutta questa disponibilità».
Perchè non ci credevano?
«E’ innegabile come questo territorio conti una brutta reputazione sul piano della sicurezza e della tranquillità sociale. Poi magari le cose dall’interno non appaiono così negative, anzi ci sono anche delle positività sulle quali non per primi puntiamo per rilanciare i nostri investimenti. Ma è una fatica giorno dopo giorno».
Fatica comunque ben riposta se investire con successo da più di trent’anni in questa provincia.
«La verità è che siamo pazzi, nel senso buono del termine. E comunque teniamo molto al nostro territorio. Siamo nati qui e vogliamo crescere ancora restando qui. Siamo persone perbene, così almeno ci considerano in tutta Italia. Poi quando annunciamo qualcosa qui ecco che i tempi per le autorizzazioni si diluiscono, che le attese si raddoppiano prima di ottenere le autorizzazioni. Hanno indagato su di noi quando abbiamo aperto Mongolfiera, GrandApulia e anche su San Severo. I miei fratelli non vorrebbero più fare investimenti in provincia di Foggia, sono io che li spingo a restare ed a incrementare la nostra presenza».

Ma Foggia che provincia è? Sul piano socio-economico il vostro è un punto di osservazione molto interessante.
«Non è facile definire il livello socio-economico di una provincia così grande e dispersiva, con una densità di popolazione piuttosto rarefatta. Diciamo subito che qui devi sgomitare per andare avanti, non si stendono tappeti rossi agli imprenditori locali. Ma forse è una legge che vale ovunque, nessuno è profeta in patria no? Noi però in altre regioni siamo stati sempre incoraggiati a investire, qui se fai richiesta di un capannone ci vogliono due anni per averlo… a Termoli, Pescara e su su a salire bastano pochi mesi. Troppa burocrazia, così mettono i bastoni tra le ruote».
Però continuate a mantenere a Foggia il vostro quartier generale, lei anche la residenza.
«Io sì, gli altri miei fratelli no. Abbiamo a Foggia ed a Chieti i nostri due quartier generali, la testa pensante del gruppo è sempre in provincia di Foggia».
Pescara è un po’ la vostra seconda patria, ma se lei potesse suggerire un consiglio su come migliorare Foggia seguendo quegli stessi parametri di riferimenti su cosa suggerirebbe di puntare?
«Non c’è molto da suggerire, se non la capacità per l’imprenditore di poter fare leva su uffici disponibili, su una capacità di ascolto che altrove c’è e in Capitanata un po’ meno. Gli imprenditori andrebbero incoraggiati un po’ di più a investire in provincia di Foggia, manca la cultura dell’agevolazione del primo passo. Non mi riferisco ai capitali, solo meno burocrazia. Noi non abbiamo mai cercato finanziamenti pubblici per i nostri investimenti, abbiamo sempre impiegato capitali nostri. Solo a Foggia e in provincia fra i centri commerciali e la “Città del cinema” abbiamo lasciato sul territorio oltre 150 milioni euro».
Se fai richiesta di un capannone nel Foggiano ci vogliono due anni per averlo… a Termoli, Pescara e su su a salire bastano pochi mesi
Un ritorno però c’è stato e continua a esserci, altrimenti sareste vocati alla beneficenza.
«Non lo metto in dubbio, anzi siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti in termini di ritorno economico. Però abbiamo dovuto fronteggiare le nostre difficoltà, a causa di contenziosi giudiziari abbiamo tenuto chiuso il centro commerciale della Mongolfiera per 3 anni. Il GrandApulia è stato sequestrato per venti giorni e per ogni giorno perduto ci abbiamo rimesso in risarcimenti ai vari investitori. Ci crediamo e siamo andati avanti, questa provincia deve crescere e non può rimanere isolata. Però notiamo che da Termoli in poi c’è un fiorire di iniziative non indifferente, da Cerignola andando verso Sud è lo stesso. Qui invece c’è un vuoto di impresa, fateci caso…».
Perchè secondo lei, ha provato a darsi una spiegazione?
«Non saprei, forse è mancata la politica per il bene del territorio».
Negli anni ’70 Foggia e la Capitanata tagliavano traguardi sull’industria, il turismo e l’agricoltura su cui si campa d rendita ancor oggi. C’erano ben altre motivazioni.
«E’ mancato un coordinamento politico e tra gli enti locali, non c’è stata una chiara politica di programmazione economica. Prendiamo il caso dell’aeroporto che continua a far tanto discutere: oggi si vola, d’accordo, ma gli orari per Milano non sono ancora congeniali alle esigenze degli imprenditori e di chi si muove per lavoro. Bisognerebbe poter andare e tornare in giornata. E anche sulla riuscita degli altri voli (Venezia, Torino, Bergamo: ndr) sono scettico».
Ha mai preso un volo da Foggia?
«Preferisco salire sul Frecciarossa, lo prendo alle 4 del mattino e in serata faccio ritorno».
Avrà preso un volo da Bari o da Milano.
«Certamente, mi muovo anche da Pescara. Se arrivo a Milano alle 9 del mattino posso fare tre riunioni e poi rientro. Con gli orari attuali non è possibile farlo partendo da Foggia».
Gli orari dei voli dall’aeroporto “Gino Lisa” non funzionano per gli imprenditori, bisognerebbe poter rientrare in giornata
La differenza tra Foggia e Pescara solo questione di diverso approccio con le imprese?
«L’imprenditore a Pescara sa di trovare un territorio reattivo, in provincia di Foggia non c’è ancora questa connessione di progettualità. Ricordo che abbiamo impiegato dieci anni per finire il GrandApulia».
Il calcio resta per il vostro gruppo un tabu. Però non lesina sulle sponsorizzazioni: Sarni è stato main sponsor del Pescara, sulla maglia del Foggia campeggiano da tempo i vostri marchi. Ma rilevare un club proprio no?
«La sponsorizzazione del Pescara è durata appena un anno. Con il Foggia è diverso, ci siamo da diversi anni. Se mi chiede di rilevare la società però le rispondo senza indugio di no, non è il nostro mestiere. E poi entrare nel calcio significa entrare in altre dinamiche. Non ci interessa, dobbiamo tutelare il lavoro dei nostri dipendenti».
Tutti i grandi gruppi, o almeno la maggior parte, prima o poi fanno la loro comparsa nel calcio. Questioni di visibilità alla base, ma anche di sostanza: se fatto bene l’investimento è anche un affare lo dimostrano gli esempi di Udinese e Atalanta.
«Non lo farei mai, per il semplice motivo che ho visto principalmente tante altre società portare i libri in tribunale a causa dei cattivi investimenti in una squadra di calcio. È un business che non fa per noi».
Con il Foggia allora cos’è, un rapporto di odio/amore?
«Abbiamo i nostri marchi sulle maglie, non siamo mai mancati. Ecco, per noi il Foggia è un veicolo di visibilità, restiamo agganciati a una platea così grande. E’ anche un modo per dire ai foggiani che noi stiamo qua, non siamo mai andati via. E mai lo faremo. Avremmo per la verità voluto lasciare un altro tipo di impronta su questa città e sulla provincia, ma temo che non ci siamo ancora riusciti e chissà se ci riusciremo».
Cosa intende per lasciare un’impronta, gratitudine infinita?
«Intendo dire che la nostra esperienza di imprenditori non deve essere considerata come un atto dovuto, c’è un valore intrinseco che non viene fuori quando si parla di noi».
Cosa risponde allora a chi sostiene che dai centri commerciali alla città del cinema avete preso tutto voi?
«Che sono accuse ridicole e ingenerose. Chi dice questo sa che le cose non stanno così e anzi tradisce una certa incapacità ad assumere il controllo delle proprie azioni. Noi abbiamo investito nostri capitali e ci siamo proposti con le nostre idee perchè abbiamo sempre avuto il coraggio delle nostre azioni. Mi pare che i fatti ci abbiano dato ragione».